Il blog di Joe7


Replying to DIVINA COMMEDIA DI NAGAI E DI DANTE: PARADISO, CANTO 16 (prima parte)

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  1. Posted 3/3/2024, 18:05
    CITAZIONE (Andrea Micky 3 @ 3/3/2024, 17:42) 
    Grazie per la spiegazione sul compleanno: era una cosa che volevo sapere da tanto.
    Bello anche il discorso sulla nobiltà: quella che io ritengo più importante é la nobiltà d'animo, ossia quando una persona si comporta coraggiosamente.

    Alla nobiltà di sangue, infatti, dovrebbe conseguire anche la nobiltà d'animo: e visto che non era certo una cosa automatica, è per questo che si educavano severamente i principi e i figli di nobili, perchè imparassero l'autocontrollo, il rispetto per gli altri, la cultura, la disciplina, l'uso delle armi e così via. Ma, nonostante questo, sappiamo che ci sono stati dei nobili che lo erano anche nell'animo e altri che non lo erano affatto. Tuttavia, l'insegnamento che avevano ricevuto, insieme alla fede, ha aiutato di certo molti nobili ad essere tali anche nell'animo. Per esempio, ogni cavaliere doveva iniziare la sua carriera come scudiero, cioè come servo di un altro cavaliere: cosa che insegnava l'umiltà e la pratica della vita.

    La nobiltà d'animo non riguardava solo il coraggio, per quanto questo sia importante (infatti erano i nobili, insieme ai suoi uomini, che rischiavano la vita di persona combattendo per conto del Re e del loro paese). Riguardava anche l'educazione, il rispetto, il sapere come comportarsi, cosa dire, come vestirsi, come mangiare. Per non parlare della cultura e delle pratiche religiose, l'essere consapevoli cioè della propria fede e viverla seriamente facendo della nobiltà un servizio.

    Lady Oscar era diventata famosa anche perchè, oltre ad essere un personaggio ben realizzato, rappresentava la nobiltà migliore: infatti era nobile sia di stirpe che d'animo. Oltre all'eleganza, al portamento, alla cura della propria persona, all'abilità delle armi, eseguiva anche il dovere di difendere Maria Antonietta e di aiutare chi era nel bisogno, come la povera Rosalie.

    Una persona affine a Lady Oscar e realmente vissuta, per esempio, era la contessa Matilde di Canossa, che visse nel 1100: nobile, religiosa e guerriera. Combatté contro i Re francesi per difendere il Papa e la Chiesa, oltre a proteggere tutti quelli del suo dominio (la regione della Toscana e altri territori).
  2. Posted 3/3/2024, 17:42
    Grazie per la spiegazione sul compleanno: era una cosa che volevo sapere da tanto.
    Bello anche il discorso sulla nobiltà: quella che io ritengo più importante é la nobiltà d'animo, ossia quando una persona si comporta coraggiosamente.
  3. Posted 2/3/2024, 17:22
    PARADISO CANTO 16 - QUINTO CIELO DI MARTE: SPIRITI COMBATTENTI PER LA FEDE - CACCIAGUIDA PARLA A DANTE (prima parte)
    (primo post: qui; precedente post: qui)

    Nobilt
    Qui Dante parla della nobiltà e di altri argomenti, prima di entrare nel vivo del Canto. Immagine presa qui.


    NOBILTA'

    Dante inizia il Canto rivolgendosi direttamente alla nobiltà come concetto, chiamandola "nobiltà di sangue". Infatti, ci sono diversi tipi di nobiltà, in genere tre: la prima è la nobiltà di sangue, che è la più nota. Ovviamente è quella di chi proviene da una famiglia nobile, cioè dichiarata tale per investitura del Re (e la nobiltà di Dante è proprio quella di sangue, visto che il suo avo Cacciaguida fu nominato Cavaliere, cioè Nobile, da Re Corrado III). E' da ricordare che solo i Re possono dare l'onore della nobiltà alle persone: se oggi ci sono pochi nobili, è perchè ci sono pochi Re.

    Poi c'è la nobiltà di spada, che è derivata dai Cavalieri nominati nobili dal Re e con una tradizione all'uso delle armi: cioè una stirpe di combattenti. Non è il caso di Dante, anche se lui ha combattuto in varie battaglie: ma l'uso delle armi non faceva parte della tradizione degli Alighieri. Comunque la distinzione tra nobiltà di sangue e di spada non è netta: sono comunque nobiltà che provenivano dalle casate più antiche.

    Infine, c'è una nobiltà più recente, dei tempi di Dante, chiamata nobiltà di toga: si tratta di quelle famiglie che avevano raggiunto la nobiltà grazie al servizio prestato al Re. Chiaramente, tutte e tre queste nobiltà venivano concesse solo dal Re.

    Dante, parlando della nobiltà di sangue, dice che è ben poca cosa: tuttavia, sulla Terra, dove l'uomo è debole e attratto dai beni terreni, è tenuta in grande considerazione. E di questo, dice il poeta, io non me ne dovrò stupire: infatti, proprio qui, in Paradiso, dove ora l'uomo è attratto solo da Dio...io, Dante, me ne sono vantato davanti a Cacciaguida, nel sentire che lui, il mio avo, era stato nominato Cavaliere da re Corrado.

    O poca nostra nobiltà di sangue, (O nobiltà di sangue, che sei poca cosa,)
    se gloriar di te la gente fai (se induci la gente a vantarsi)
    qua giù dove l’affetto nostro langue, (sulla Terra dove il nostro affetto è più debole,)

    mirabil cosa non mi sarà mai: (non me ne potrò mai stupire: )
    ché là dove appetito non si torce, (infatti, là dove il nostro appetito non si volge ai beni terreni,)
    dico nel cielo, io me ne gloriai. (intendo dire in Paradiso, io me ne vantai.)

    La nobiltà, però, è come un mantello, dice Dante, che si accorcia presto, poiché il tempo, di giorno in giorno, lo taglia, se non gli si "aggiunge del panno"; cioè, diventa una cosa vana, se non è mantenuta dai discendenti. Essere nobili, infatti, è una responsabilità da mantenere, non è un privilegio di cui vantarsi. Il nobile, per il fatto di essere tale, dovrebbe essere colui che difende chi ha bisogno; colui che combatte nel nome del Re; colui che cura la propria eleganza, la sua disciplina, il controllo di sè, il rispetto per gli altri, il rispetto per le donne. Inoltre, essere nobili significava anche sposare chi ti è stato scelto di sposare, per mantenere la stirpe: non si poteva sposare chi ti pare. Non c'era allora l'idea dell' "amore romantico": ogni matrimonio era un impegno. Ci si voleva bene, certo, ma non si fantasticava dietro la favola del Principe Azzurro o dietro la bomba sexy da sposare. Nel matrimonio ci si accettava l'un l'altro, pur con tutti i difetti che ciascuno ha: e con questo realismo si andava davvero avanti. "Noblesse obbligé", si diceva un tempo: cioè, "i nobili hanno degli obblighi". In sostanza, essere nobili è essere un modello per tutti, e questo costa. E non sempre questo modo di pensare è stato rispettato.

    0007-013
    "Per favore...ci salvi"

    0007-015
    "Io sono di stirpe nobile, e proteggerò tutta questa gente!"


    Qui sopra vediamo Noelle Silva, la ragazza di Black Clover, che appartiene appunto alla famiglia nobile dei Silva: sa di essere nobile, e, in quanto tale, vuole proteggere chi non lo è, perchè sa che questo è il suo dovere. Non si sente mai superiore agli altri perchè non sono nobili, ma piuttosto si sente responsabile per loro. Oppure, in Goldrake, è la nobiltà di Actarus/Duke Fleed, sia quella d'animo che quella di stirpe, che lo porta a difendere la Terra. La nobiltà - rettamente intesa, ovvio - si ispira alla santità, perchè richiama le qualità migliori dell'uomo. E infatti la nobiltà è nata col Cristianesimo.

    IL "VOI" A CACCIAGUIDA

    Il poeta torna poi a rivolgersi a Cacciaguida, dandogli per rispetto del "voi" e non del "tu" come ha fatto prima: una forma di cortesia che fu usata per la prima volta a Roma, nei riguardi di Giulio Cesare, quando prese il potere, secondo la tradizione, e che ora i Romani non seguono più.

    Dal ‘voi’ che prima a Roma s’offerie, (Col "voi", che fu offerto per la prima volta a Roma)
    in che la sua famiglia men persevra, (e il cui popolo ora non segue quest'uso,)
    ricominciaron le parole mie; (le mie parole ripresero rivolgendosi (a Cacciaguida)

    L'idea di Dante del "voi" che nacque con l'avvento di Cesare era molto diffusa nel 1300. Ma sembra che questo modo di rivolgersi col "voi" onorifico nacque nel 300. I popoli del Lazio, sin dai tempi di Dante, sono soliti usare del "tu" anche con persone di riguardo; da qui la critica di Dante.

    Nel latino classico, come pure nel greco, non c’erano "forme di rispetto": tutti si davano del tu. Un’eco di quest’uso si nota nella Commedia di Dante, che si rivolge con il tu a quasi tutti i personaggi che incontra, tranne in pochissimi casi, nei quali, in segno di rispetto, Dante tributa il voi: per esempio, Farinata degli Uberti e Brunetto Latini ("Siete voi qui, ser Brunetto?") nell'Inferno; Guido Guinizelli nel Purgatorio; e, ovviamente, Cacciaguida in Paradiso.

    cortesia
    "Tu, voi, lei": tutte forme di cortesia, da rispettare per mantenere il rispetto di se stessi. E non è riservata ai nobili: è richiesta a tutti.



    LA RISATA DI BEATRICE

    Tornando al poema: quando Dante dichiara che si rivolgerà col "voi" a Cacciaguida, Beatrice, che sta un po' in disparte, sorride della debolezza di Dante, e sembra la dama che tossì durante l'incontro fra Lancillotto e Ginevra. Qui Dante fa riferimento alla dama di Malehaut, che, nel romanzo francese di Lancillotto e Ginevra, assiste, non vista, al primo colloquio d'amore fra i due, e allora manifesta la sua presenza tossendo:

    onde Beatrice, ch’era un poco scevra, (allora Beatrice, che stava un po' in disparte,)
    ridendo, parve quella che tossio (ridendo, sembrò colei che tossì)
    al primo fallo scritto di Ginevra. (al primo compromettente incontro di Ginevra con Lancillotto (di cui è scritto nei romanzi francesi.)

    il "primo fallo" della regina è il compromettente incontro, non il bacio, che avviene con Lancillotto ("scritto" vuol dire "narrato"). Inoltre, Dante non ha detto esplicitamente a voce che userà il "voi": l'ha solo pensato. Ma bisogna ricordare che in Paradiso Beatrice può leggere nel pensiero di Dante, quindi aveva già capito la sua intenzione.

    Lancillotto-e-Ginevra
    La regina Ginevra lega il suo fazzoletto al braccio di Lancillotto, prima che parta per la guerra.


    IL COMPLEANNO

    Dante si rivolge all'avo come suo capostipite ("voi siete il padre mio"), e dichiara che quanto gli ha detto (la sua nomina a Cavaliere) lo ha riempito di gioia e d'orgoglio ("voi mi levate sì, ch’i’ son più ch’io": cioè, "voi mi sollevate a tal punto che io sono superiore a me stesso"). Quindi gli domanda chi furono i suoi antenati, cioè le persone che erano state a loro volta gli avi di Cacciaguida. Inoltre, gli chiede in che anno sia nato Cacciaguida.

    A quei tempi, infatti, era più importante la data di morte, in cui si raggiungeva il Paradiso, che la data di nascita. Il compleanno era poco festeggiato, quindi, nel Medioevo. Quello che si festeggiava, piuttosto, era l'onomastico, cioè il giorno in cui si festeggia il Santo del quale si portava il nome.

    Il compleanno, o genetliaco (letteralmente “relativo alla nascita”), nel mondo antico e pagano era, invece, una consuetudine. Non dobbiamo pensare, naturalmente, a una celebrazione simile a quella attuale e diffusa in tutta la popolazione: molto probabilmente, l’usanza di festeggiare il compleanno coinvolgeva solo i cittadini benestanti. Per esempio, nel Vangelo, Salomè aveva danzato durante la festa di compleanno del re Erode.

    Questa usanza scomparve nel Medioevo con l’avvento del Cristianesimo, perchè era considerata un'usanza pagana: inoltre, l’uomo nasce macchiato dal peccato originale, quindi non c'è alcun motivo per festeggiarne la nascita, perchè, anche se la nascita di qualcuno era sempre una gioia, si trattava comunque di entrare nelle tribolazioni e nella battaglia per la propria salvezza. "Vita militia est", "la vita è una battaglia" dice il Libro di Giobbe della Bibbia: questo era il pensiero cristiano. Cioè, la battaglia contro il proprio peccato e per il proprio miglioramento. Sin dal momento della nascita, si inizia a combattere. Quindi non si festeggiava l'inizio della battaglia, ma la sua fine, cioè la vittoria: il giorno della morte, appunto.

    Per questo si festeggiava il giorno della morte, cioè della vittoria sul peccato, soprattutto per i santi: infatti, la data in cui si festeggiano i Santi è la data della loro morte, cioè il giorno in cui erano entrati in Paradiso. Per esempio, Don Bosco è morto il 31 Gennaio 1888 e viene festeggiato appunto il 31 Gennaio. Quindi la morte - quando è buona, cioè si muore in grazia di Dio - anche se è un dolore per gli altri, per chi si è salvato diventa un buon motivo per fare festa.

    La Chiesa, come ho detto, riconosceva solo la celebrazione dell’onomastico, perché commemorava i santi e i martiri. Inoltre, nel Medioevo solo le persone di cultura conoscevano la propria data di nascita, mentre gli altri abitanti spesso ignoravano non solo il giorno, ma persino l’anno nel quale erano nati. A loro, infatti, non importava nulla di sapere quando erano nati: che vantaggio dava il saperlo? Importava piuttosto impegnarsi per salvare la propria anima e andare in Paradiso: cioè, morire bene.

    In parrocchia, più che la data di nascita, si registrava (e si registra ancora adesso) la data di battesimo, cioè il giorno in cui si era entrati a far parte del Corpo Mistico di Cristo, cioè si è diventati cristiani di fatto, e la data della cresima, in cui si confermava in modo consapevole il battesimo ricevuto.

    battesimo
    La data del Battesimo è la data più importante del cristiano, perchè è in quel giorno che diventa cristiano, cioè fa parte del Corpo Mistico di Cristo. E' il primo passo verso la Salvezza.


    Nell'entrata nell'Età Moderna, cioè nell'Umanesimo e Rinascimento ('400-'500), tornò l'interesse per la conoscenza della data di nascita (ma non ancora per la celebrazione del compleanno). Alla base di questo cambiamento fu, purtroppo, il profondo rivolgimento culturale provocato dall’Umanesimo e dal Rinascimento, che fecero aumentare l’attenzione solo per la vita terrena, considerata la sola degna di interesse, trascurando quindi quella eterna, considerata irrilevante. O non c'è, o ci salviamo lo stesso, tanto Dio perdona tutti, si pensava erroneamente. Inoltre, la Riforma protestante, che aveva abolito il culto dei santi, fece perdere valore alla ricorrenza dell’onomastico.

    Intorno al '500, la celebrazione del compleanno si affermò in alcune famiglie aristocratiche europee e, lentamente, raggiunse tutta la popolazione. Nell’800 la consuetudine di festeggiare il compleanno si diffuse in tutta la popolazione dei Paesi occidentali, assumendo gradualmente forme simili a quella attuali.

    La celebrazione divenne popolare in tutti i Paesi occidentali e si sono affermate numerose consuetudini, in primis l’uso delle candeline e la canzoncina “Tanti auguri”. Nel resto del mondo, invece, la celebrazione del compleanno è meno comune: nei Paesi islamici, per esempio, non è accettata, e così pure in Africa e in Cina.

    L'ALTRA RICHIESTA DI DANTE

    Oltre agli avi di Cacciaguida e alla sua data di nascita, Dante gli chiede anche a quanto ammontava la popolazione di Firenze a quei tempi, e quali erano le principali famiglie fiorentine. L'anima di Cacciaguida si illumina per la gioia di rispondere, simile a un carbone avvolto dalla fiamma che si avviva al soffiare del vento. Poi inizia a rispondere alle domande.

    "Ditemi dunque, cara mia primizia, ("Dunque ditemi, caro mio antenato,)
    quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni (chi furono i vostri avi e quali furono gli anni)
    che si segnaro in vostra puerizia; (che si annoverarono nella vostra fanciullezza;)

    Dante chiama Cacciaguida "primizia", "cioè capostipite".

    ditemi de l’ovil di San Giovanni (ditemi quanti erano allora gli abitanti dell'ovile di S. Giovanni (di Firenze)
    quanto era allora, e chi eran le genti (e quali erano le famiglie)
    tra esso degne di più alti scanni." (più ragguardevoli all'epoca.")

    Firenze è chiamata "l'ovile di San Giovanni": infatti, il patrono di Firenze è S. Giovanni Battista, al quale s'intitolava il battistero. Richiama il luogo ("ovile") che consacra i cittadini di Firenze alla fede cristiana (come "pecore che seguono il Buon Pastore"); è anche simbolo di quell'ideale di vita tranquilla che sarà vagheggiata poi da Cacciaguida nel corso del Canto.

    Come s’avviva a lo spirar d’i venti (Come il carbone tra le fiamme diventa più incandescente, se soffia il vento,)
    carbone in fiamma, così vid’io quella (così io vidi quella)
    luce risplendere a’ miei blandimenti; (luce che risplendeva allettata dalle mie parole;)

    Nel seguito ci sarà la risposta di Cacciaguida.

    (Continua)

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