PARADISO CANTO 10 - QUARTO CIELO DEL SOLE - I 12 SPIRITI SAPIENTI DELLA PRIMA CORONA: PAOLO OROSIO, SEVERINO BOEZIO, ISIDORO DI SIVIGLIA (quinta parte)(primo post: qui; precedente post: qui)PAOLO OROSIO
Tra i motivi delle persecuzioni dei Cristiani a Roma, c'era anche l'accusa di aver portato delle disgrazie, perchè loro non adoravano gli dei romani. Paolo Orosio (e Sant'Agostino), con le loro opere, hanno confutato questa tesi, difendendo il Cristianesimo.
Siamo sempre nel Quarto Cielo del Sole, dedicato agli Spiriti Sapienti. San Tommaso d'Aquino continua la presentazione dei 12 spiriti sapienti della prima corona: prima lo stesso San Tommaso, poi Sant'Alberto Magno (il suo maestro), Graziano (col suo diritto canonico), Pietro Lombardo (monaco), Re Salomone e Dionigi l'Areopagita. Ora tocca a
Paolo Orosio, la cui opera storica aiutò sant'Agostino:
Ne l’altra piccioletta luce ride (Nell'altra luce più piccola ride)quello avvocato de’ tempi cristiani (quell'avvocato dei tempi cristiani (Paolo Orosio)del cui latino Augustin si provide. (della cui opera in latino si avvalse sant'Agostino.)Paolo Orosio nacque a Tarragona, in Spagna, nel 390. Presi gli ordini sacerdotali, si recò in Africa per completare gli studi di teologia con S. Agostino: già da allora nacque, forse, quell'amicizia e quella consonanza di interessi culturali che portò alla stesura dell'imponente
"Historiarum Libri VII adversus paganos", cioè
"I sette libri di storie contro i pagani".
Si tratta di un'opera storica che abbraccia il periodo compreso fra la creazione di Adamo ed oggi (cioè il 417, la data della realizzazione dei sette libri). Quella stesura era stata sollecitata da Agostino come controprova storica della sua opera
"De civitate Dei",
"La città di Dio": scritta tra il 413 e il 427, è un'opera monumentale, realizzata dopo il Sacco di Roma compiuto dai Visigoti di Alarico. Fu scritta sia per confutare le accuse dei pagani, che attribuivano ai cristiani la responsabilità della caduta della Città Eterna, sia per confortare i cristiani sgomenti. La tragedia dell'invasione dei Visigoti diventa infatti per Agostino un evento nodale, che gli permette di rileggere l'intera vicenda dell'umanità da un punto di vista più ampio, utilizzando l'immagine delle «due città»: quella di Dio e quella di questo mondo, realtà nelle quali l'aspetto storico e quello escatologico sono inscindibilmente legati. L'opera appare come il primo tentativo di costruire una visione organica della storia dal punto di vista cristiano.
Tornando a Paolo Orosio, i sette libri dell'
Historiarum costituiscono
la prima storia universale cristiana:
- Il primo libro descrive la creazione del mondo fino alla fondazione di Roma;
- il secondo libro parla della storia di Roma fino al sacco della città (quindi fino a tempi allora recenti); poi cambia registro e parla della storia dell'Impero Persiano fino a Re Ciro e della storia della Grecia fino alla battaglia di Cunassa, in cui i Greci sconfissero i Persiani e uccisero Re Ciro;
- il terzo libro parla della storia dell'impero macedone sotto Alessandro Magno e i suoi successori, con la storia romana contemporanea;
- il quarto libro torna a parlare della storia di Roma fino alla distruzione di Cartagine (si tratta di approfondimenti);
- gli ultimi tre libri trattano ancora della storia romana, dalla distruzione di Cartagine fino alla caduta di Roma e ai giorni dell'autore.
E' di sostegno alla
Civitate Dei di Agostino perchè in quel libro, tra le altre cose, Agostino dimostra che l'Impero Romano non era protetto dagli dèi pagani, ma aveva sofferto di varie calamità tanto prima quanto dopo l'affermarsi del Cristianesimo come religione ufficiale. I libri di Agostino e Orosio servivano quindi a confutare la tesi pagana secondo la quale l'aver abbandonato gli dèi romani era stata la causa delle calamità che avevano portato al sacco di Roma da parte dei barbari e alla fine dell'impero romano d'Occidente. Agostino voleva che questo fosse dimostrato, attraverso l'opera di Orosio, in un'opera storica a sé stante, analizzando per intero la storia di tutti gli imperi e delle popolazioni dell'antichità, con l'idea fondamentale che Dio e la Provvidenza determinano i destini delle nazioni. Agostino sosteneva che due imperi principalmente avevano governato il mondo: quello di Babilonia, a est, e quello di Roma, a ovest: Roma aveva ricevuto l'eredità di Babilonia tramite gli imperi Macedone e poi Cartaginese. Quindi ci furono quattro grandi imperi nella storia: un'idea ampiamente accettata nel Medioevo. Si trattava, in sostanza, di libri di
apologetica: cioè, dal termine greco “apologia”, che significa “dare una difesa”: infatti l’apologetica cristiana, dunque, è la scienza che fornisce una difesa a favore della fede Cristiana.
Infatti l'opera storica di Orosio, ben conosciuta da Dante, come da tutto il Medioevo, insieme ai suoi scritti contro le posizioni eretiche di Pelagio e di Priscilliano, gli valsero l'appellativo di
"avvocato dei tempi cristiani": da qui il termine "avvocato", benchè non lo fosse di nomina. Le
Historiae furono uno dei testi di storia antica più accreditati nel Medioevo; fu persino l'unico libro di storia scritto in latino conosciuto dal mondo islamico per oltre un millennio. Di Paolo Orosio non si sa quello che accadde alla fine della sua vita, nè si hanno delle sue reliquie: si pensa sia morto in un naufragio.
SEVERINO BOEZIO
Severino Boezio cerca di difendere i cristiani dalla violenza del re degli Ostrogoti e ariano1 Teodorico: questi, livido di rabbia e di follia, lo fa incarcerare e giustiziare.
Il successivo spirito beato, che è l'ottavo, o
"l'ottava luce", presentato da Tommaso d'Aquino è
Severino Boezio, la cui opera spiega la fallacia del mondo e il cui corpo giace nella basilica di San Pietro in Ciel d'Oro, a Pavia:
Or se tu l’occhio de la mente trani (Ora, se l'occhio della tua mente fai scorrere)di luce in luce dietro a le mie lode, (di luce in luce dietro alle mie parole,)già de l’ottava con sete rimani. (ti resta da scoprire chi sia l'ottava luce.)Per vedere ogni ben dentro vi gode (Dentro vi gode colui che ora vede il sommo bene (Severino Boezio)l’anima santa che ‘l mondo fallace (l'anima santa che dimostra la fallacia del mondo)fa manifesto a chi di lei ben ode. (a chi legge bene le sue opere.)Lo corpo ond’ella fu cacciata giace (Il corpo da cui essa fu strappata giace sulla Terra)giuso in Cieldauro; ed essa da martiro (nella basilica di S. Pietro in Ciel d'Oro; e dal martirio)e da essilio venne a questa pace. (e dall'esilio terreno la sua anima giunse a questa pace.)Severino Boezio (480-524), venerato come Santo, fu filosofo e scrittore latino della tarda antichità: anzi, fu uno dei più illustri uomini di cultura del suo tempo. La sua attività di raccolta e trasmissione della cultura classica (aritmetica, geometria, musica, ma anche filosofia, soprattutto Aristotele e Platone) fu premiata dalla vasta diffusione dei suoi scritti nella scuola medievale. Fu il principale collaboratore del re ostrogoto
Teodorico, ricoprendo la carica di
magister officiorum.
Boezio, nel clima di rilancio della cultura classica, concepì l'ambizioso progetto di tradurre in latino le opere di Platone e Aristotele. Inoltre, il suo trattato sulla musica,
"De institutione musica" fu estremamente influente sulla musica medievale, sia sulla teoria che sulla pratica; fu lo scritto medievale più diffuso sulla musica. Era definito l'ultimo dei romani ed il primo degli Scolastici, per la funzione che svolse di mediatore fra il pensiero classico, romano e greco, e il nascente pensiero cristiano medievale.
Il re degli Ostrogoti, Teodorico, ariano convinto, però, difese con la violenza la diffusione dell'arianesimo, minacciando di morte i cattolici se si dovesse venire a sapere che gli ariani erano stati in qualche modo maltrattati:
"Io ucciderò dieci cattolici per ogni ariano che l'Imperatore di Bisanzio oserà maltrattare!" Teodorico, nei suoi ultimi anni, diventò sempre più sospettoso di tradimenti e congiure. Le violenze e gli omicidi si susseguirono, con la distruzione di molte chiese cattoliche.
Boezio, uomo di grande cuore, tentò invano di far ragionare il sovrano:
"Sire" supplicò
"non macchiarti di atroci delitti..." "Osi difendere i cattolici? Soldati, arrestatelo!" Boezio fu condannato a languire per due anni nel carcere più duro. Ma la furia di Teodorico non si placò: ordinò a papa
Giovanni I di andare di persona a Bisanzio, dall'Imperatore Giustino, con questo avviso:
"Tu devi convincere l'Imperatore Giustino a rispettare gli Ariani! Se non ci riuscirai, bada! Distruggerò le tue chiese una dopo l'altra e passerò a fil di spada tutti i cattolici!" Più che la tolleranza, Teodorico desiderava l'annientamento del Cattolicesimo.
Giovanni I obbedì, per cercare di rabbonire il re, e si recò a Bisanzio, dall'Imperatore Giustino, che lo accolse con tutti gli onori. Il Papa chiese all'Imperatore di non essere troppo severo con gli ariani (cosa difficile da fare, vista la loro prepotenza verso i cattolici) e ripartì per l'Italia. Teodorico, però, non fu soddisfatto dell'esito della missione pontificia: appena Papa Giovanni I tornò in Italia a Ravenna, lo catturò e lo mise in prigione senza acqua nè cibo, facendolo morire di fame. La stessa sorte toccò ai vescovi che lo avevano accompagnato a Costantinopoli.
Intanto, nel periodo trascorso in carcere, Boezio scrisse la sua opera più letta e più tradotta: il
"De consolatione philosophiae" ("La consolazione della filosofia"), in cui l'autore, sul modello dei dialoghi platonici, immagina di tessere un colloquio, in prosa e con versi, con la Filosofia, venuta di persona a consolarlo dell'immeritata condanna.
Infine, Boezio fu giustiziato, insieme ai ministri Albino e Simmaco, con una corda attorcigliata alla testa, fino a fargli schizzare gli occhi (era la "garrota", cioè lo strangolamento), poi fu finito a bastonate e decapitato. Il suo corpo fu poi sepolto in un'urna nella
basilica di S. Pietro in Ciel d'Oro (
"Cieldauro", come dice Dante), sempre a Pavia. Papa Leone XIII (1810-1903) ne approvò il culto per la Chiesa in Pavia: è festeggiato il 23 ottobre.
Tornando a Teodorico, dopo la morte di Boezio il re ostrogoto cominciò ad essere tormentato da visioni e da fantasmi: morì all'improvviso il 30 Agosto del 526, spaventato da una testa di pesce sul piatto in cui credette di ravvisare il volto di Severino Boezio, che lui aveva fatto assassinare tanto ingiustamente.
Teodorico, ormai impazzito, resta sconvolto nel vedere le fattezze di Boezio, da lui condannato, nel pesce che gli viene servito in tavola.
Un'altra tradizione narra che un cavallo nero si presentò a Teodorico, che volle montarlo a tutti i costi. Il cavallo, insensibile alle redini, iniziò a correre con il cavaliere incollato alla sella, finché giunse al Vesuvio e rovesciò Teodorico nel suo cratere. Lo racconta Carducci nella sua poesia
"La leggenda di Teodorico":Sul castello di Verona
batte il sole a mezzogiorno,
(...)
ed il re Teodorico
vecchio e triste al bagno sta.
(...)
e d'un tratto al re da canto
un corsier nero nitrí.
Nero come un corbo vecchio,
e ne gli occhi avea carboni.
era pronto l'apparecchio,
ed il re balzò in arcioni.
Ma i suoi veltri ebber timore
e si misero a guair,
e guardarono il signore
e no 'l vollero seguir.
In quel mezzo il caval nero
spiccò via come uno strale
e lontan d'ogni sentiero
ora scende e ora sale:
via e via e via e via,
valli e monti esso varcò.
Il re scendere vorría,
ma staccar non se ne può.
(...)
Ecco Lipari, la reggia
di Vulcano ardua che fuma
e tra i bòmbiti lampeggia
de l'ardor che la consuma:
quivi giunto il caval nero
contro il ciel forte springò
annitrendo; e il cavaliero
nel cratere inabissò.
Ma dal calabro confine
che mai sorge in vetta al monte?
non è il sole, è un bianco crine;
non è il sole, è un' ampia fronte
sanguinosa, in un sorriso
di martirio e di splendor:
di Boezio è il santo viso,
del romano senator.L'opera di Boezio ebbe grande diffusione nel Medioevo, specie per le citazioni indirette di Aristotele, i cui testi non erano ancora noti direttamente. L'importanza di Boezio per la trasmissione della cultura del pensiero antico è grandissima. Le sue opere furono fondamentali per Dante non solo nel periodo della sua formazione, ma anche in seguito, quando, nel momento critico della morte di Beatrice, in lui si concretizzò la nuova acquisizione spirituale e poetica, il passaggio, cioè, dall'amore-passione all'amore-introspezione.
Basilica di S. Pietro in Ciel d'oro, a Pavia: qui, oltre ai resti di S. Severino Boezio, è sepolto anche Sant'Agostino. Nel 1796, le truppe di Napoleone Bonaparte spogliarono la chiesa, che fu sconsacrata e usata come stalla o deposito, mentre i frati vennero cacciati e i conventi affidati ai militari: cose di ordinaria amministrazione per Napoleone e i suoi, che fecero così per tutte le chiese d'Italia. Per forza che ai cristiani i Napoleonici non piacevano: quella infatti era la loro vera Libertè, Egalitè, Fraternitè. Delle navate crollarono e la chiesa rimase aperta all'esterno, con gravissimi danni anche per gli affreschi sopravvissuti. Successivamente, fu restaurata.
ISIDORO DI SIVIGLIA
S. Isidoro di Siviglia e il nichilismo del Nome della Rosa di Umberto Eco: due visioni antitetiche.
Tommaso d'Aquino ora presenta
Isidoro di Siviglia a Dante:
"Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro / d’Isidoro". Santo e dottore della Chiesa (560 circa - 636), fu arcivescovo di Siviglia. Grande uomo di cultura, fu un instancabile compilatore di opere enciclopediche, in cui raccolse e tramandò tutto il sapere dell'epoca, partendo da fonti classiche e cristiane.
Fece molte opere, tra cui la
Regola dei Monaci e la
storia della Spagna. E' noto soprattutto per gli
"Etymologiarum libri", detti anche
"Libro delle etimologie" o
"Libro sull'origine delle cose": si tratta di un'ampia opera di 20 volumi, di fondamentale importanza nel Medioevo: ebbe infatti una grandissima diffusione. Nel raccogliere tutta la conoscenza che allora si sapeva (grammatica, matematica, geometria, musica, astronomia, medicina, legge, la Chiesa Cattolica, Dio, gli angeli, le lingue, le città, i paesi, l'architettura, l'agricoltura, ecc.), davano molto risalto all'
etimologia, cioè all'origine delle parole. Infatti, si riteneva - e giustamente - che le parole hanno una corrispondenza con le cose:
"nomina sunt consequentia rerum", cioè "i nomi sono la conseguenza delle cose" diceva, infatti, la filosofia scolastica, che diceva che le cose esistono, sono riconoscibili e definibili. Ogni parola cui si faccia ricorso per descrivere qualcosa, spesso contiene l’essenza della cosa stessa: per esempio, il vino (
vinum) è così chiamato perché "rinfresca" le vene (
venae) di nuovo sangue. Isidoro si serve insomma dell'arte dell'etimologizzare come strumento di comprensione del mondo intorno a lui, incoraggiando i lettori a fare lo stesso. Infatti Dio è Parola: per questo si deve dare molta importanza alle parole.
Fu uno straordinario sintetizzatore della scienza antica e un maestro dell’Europa medioevale, accanto a Gregorio Magno ed altri. Morì il 4 aprile del 636 (il giorno della sua festa è appunto il 4 Aprile), e il suo corpo fu deposto nella cattedrale di Siviglia, accanto alle spoglie del fratello Leandro e della sorella Fiorentina, anche loro santi. Papa Giovanni Paolo II lo designò nel 2002 come
patrono di Internet e di chi ci lavora, essendo stato l'autore della prima enciclopedia mai scritta (antesignana di Internet, appunto, attraverso cui è possibile accedere a tutto lo scibile umano, e dei database, in quanto raccolte di dati ordinati e classificati).
La concretezza di Isidoro, con le sue "etimologie", sono tutta un'altra cosa dal nichilismo del
"Nome della rosa" di Umberto Eco, che, oltre a mostrare un medioevo di fantasia, è un libro che si conclude con una frase che è l'esatto contrario di quell'affermazione della Scolastica:
"Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus", cioè:
"La rosa primigenia esiste solo nel nome, possediamo soltanto nudi nomi" (Bernardo di Cluny). E' una frase che era già implicita nel titolo ed è il cuore del messaggio del libro di Eco. Dice infatti che delle cose abbiamo solo i nomi, ma non sappiamo definirle: in questo modo, però, si rifiuta sia la realtà, che la scienza, che la verità, in un delirio nichilistico che è l'esatto contrario del cristianesimo, che dice invece che le cose sono
vere e riconoscibili.Infatti, Umberto Eco abbandonò la fede cristiana e diventò un "nominalista": cioè non credeva che esistessero verità universali (tanto meno Dio), ma solo nomi convenzionali, che non sanno definire la realtà. In sostanza, si tratta di una
sfiducia completa nelle risorse della ragione, a cui è preclusa la possibilità di conoscere il vero delle cose, cioè la loro essenza, in ultima analisi la
verità. E' la riproposizione dello scetticismo per cui la verità non esiste, e se esiste non si può conoscere, e se si può conoscere non si può comunicare. E si arriva così al nichilismo moderno che fu caro a Nietzsche (che però finì pazzo).
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1 Ariano: seguace dell'eresia ariana, predicata dal prete alessandrino
Ario e basata sulla negazione della natura pienamente divina di Cristo, considerato inferiore a Dio Padre e creato da Lui. Nel 325 il Concilio di Nicea condannò l'arianesimo e definì l'ortodossia cristiana cattolica, secondo cui il Figlio e il Padre sono consustanziali, cioè sono entrambi Dio, nelle parole del Credo che si dicono ancora oggi: "Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, Unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli:
generato, non creato,
della stessa sostanza del Padre, per mezzo di Lui tutte le cose sono state create."
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