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  1. FANFICTION GRANDE OMBRA - 5

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    Grande Ombra fanfic
    By joe 7 il 10 Dec. 2015
     
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    FANFICTION GOLDRAKE: LA GRANDE OMBRA - 5
    (precedente puntata: qui. La prima puntata è qui.

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    MYRAIN

    La cena era stata meravigliosa.
    Il cibo di Fleed ha delle somiglianze incredibili con quello della Terra, pensa Venusia. Actarus fa un cenno per chiamare il cameriere: è il momento di portare via i piatti. Hanno parlato di tante cose: i loro ricordi della vita sulla Terra, il figlio appena nato, le piante del giardino che Venusia cura amorevolmente. Di solito, a tavola, evitano di parlare di argomenti gravi, per poter passare un momento sereno in mezzo alle fatiche della giornata. Ma in genere lo fanno dopo mangiato, e solo se necessario: e di argomenti gravi ce ne sono purtroppo in abbondanza. Questa misteriosa “grande ombra”, l’assenza di comunicazioni con la Terra, la sensazione di un’imminente minaccia. Per tranquillizzarsi un po’, Venusia vuole parlarne adesso con Actarus. Ma, inaspettatamente, quando i camerieri si sono allontanati, Actarus si alza da tavola e cammina verso di lei.
    “Hai mangiato bene, Venusia?” dice Actarus, mettendosi alle spalle di Venusia, che era rimasta seduta.
    “Bè, sì, Actarus” risponde lei, un po’ sorpresa dal suo comportamento. “Vuoi dirmi qualcosa?”
    Actarus mette le mani sulle spalle di Venusia.
    “So che sei in pensiero per queste cose che ci stanno accadendo. Ma c’è sempre speranza: stanno lavorando in continuazione per ripristinare i contatti con la Terra e quella “cosa” nello spazio è tenuta sotto osservazione. Goldrake è al massimo della potenza, per ogni evenienza. Solo, mi spiace dirti queste cose proprio oggi.”
    “Cosa intendi dire?” risponde l'altra, voltandosi verso di lui. Avviene in un attimo: come dal niente, una collana di diamanti le appare davanti al petto.
    “Buon compleanno, Venusia.”
    Lei arrossisce, turbata. Era così preoccupata che si era dimenticata del suo compleanno! Abbassando gli occhi per l’imbarazzo, osserva la collana, sollevandola con una mano. E’ una meraviglia, con dei gioielli così brillanti a formare un semicerchio sul petto e incastonati in una nera ossidiana di Fleed, molto preziosa.
    “Actarus, non dovevi…insomma, è troppo…cioè, ti ringrazio, ma è troppo bella…”
    “Neanche la metà di te” risponde Actarus, guardandola negli occhi sorridendo.
    Il bacio avviene istantaneo e naturale. Una volta staccati, Actarus porge la mano a Venusia.
    “Le sorprese non sono finite. Sua Altezza la Regina mi vuole seguire?” dice con un inchino.
    “Smettila di prendermi in giro, Actarus! Cos’hai combinato stavolta?” risponde lei, cercando di essere seria, ma non riesce a non sorridere.
    Actarus è felice: almeno ora Venusia ha dimenticato la situazione ed è tornata a sorridere di cuore. Sa che ha sofferto molto dentro di sé per via del senso di minaccia e di oppressione che davano l’”ombra” e l’assenza di rapporti con la Terra, senza mai farlo vedere. Ma Actarus conosce Venusia, e sa bene quello che prova.
    Il re e la regina camminano l’uno di fianco all’altra fino a raggiungere l’accesso verso la sala del trono. I soldati della guardia reale si fanno da parte, esponendo le spade inguainate e mettendole ritte sul pavimento in segno di saluto. Davanti al portone, un uomo dalla corporatura agile e potente li saluta con riverenza: è Amauta, il capitano della guardia reale.
    “Vi saluto, Maestà” dice Amauta, inginocchiandosi.
    Actarus gli fa cenno di alzarsi e gli mette una mano sulla spalla.
    “Sono contento di vedere che sei sempre in forma, Amauta”
    Il capitano Amauta è una leggenda su Fleed: ai tempi dell’invasione di Vega, faceva parte di una banda di ribelli che, con tattiche di guerriglia, assediavano gli avamposti di Vega sparsi su Fleed, ed era il terrore dei comandanti veghiani. Non solo ha capacità tattiche e strategiche invidiabili, ma pure un fisico temprato unito ad un’abilità eccezionale della spada: la sua tecnica Kasumigiri troncherebbe di netto una colonna di marmo come fosse aria.
    Actarus e Amauta si conoscono e si stimano a vicenda, sapendo bene ciascuno quanto ha sofferto – e combattuto – l’altro. Più che ad un incontro tra un re e un capitano della guardia reale, sembra di assistere ad un incontro tra due ex-commilitoni. Venusia aveva visto l’abilità della tecnica della spada di Amauta ed era rimasta impressionata. Vederlo insieme ai soldati della guardia reale la fa sentire più tranquilla.
    “Volete entrare nella stanza del trono, maestà?” chiede il capitano.
    Actarus annuisce, e, ad un cenno di Amauta l’enorme portone di marmo si apre cigolando. Una volta entrati, il portone si chiude alle spalle di Actarus e Venusia.
    La stanza del trono fa un certo effetto, così deserta. Venusia si guarda intorno: anche se ormai sono anni che è regina, fa ancora fatica a credere che è lei a sedersi su quel trono. In fondo, si sente ancora come una che lavora al ranch: aveva sognato più volte di essere ancora lì a badare ai cavalli o a mungere le mucche. E le capita di svegliarsi di soprassalto, quando questi sogni sono particolarmente intensi, sentendo talvolta persino il profumo del fieno e dell’erba. Alzando gli occhi, osserva il simbolo reale di Fleed: la stella a otto punte, in mezzo ai due troni.
    “Stai osservando il simbolo reale?”dice Actarus, facendo distogliere Venusia dalle sue fantasie.
    “Ah…sì, Actarus, lo stavo guardando senza un motivo particolare.”
    “Se ti interessa, in questa bacheca attaccata al muro c’è una copia esatta della stella: è fatta di gren, lo stesso materiale di Goldrake.”
    “Ah, sì?” dice Venusia, osservando con attenzione l’oggetto. “E’ molto duro il gren?”
    “Praticamente, è uno dei metalli più resistenti dell’universo.”
    “Ma il King-Goli aveva strappato il braccio a Goldrake, quella volta.”
    “Certo. Quel mostro era il risultato di anni di sperimentazioni di Vega sul gren. In condizioni eccezionali, si può spezzare. Ma è molto, molto difficile: non è un caso che ci sia riuscito solo quel mostro e nessun altro, né prima né dopo.”
    Venusia osserva la stella: non è molto grande, si potrebbe tenere in mano. E Goldrake è fatto di quel materiale lì. Fa una certa impressione saperlo, pensa lei.
    “Comunque, non siamo qui per questo, Venusia. Ecco cosa volevo farti vedere.”
    Actarus, spostando una tenda, mostra un grande macchinario, simile a un’enorme porta, con uno spazio vuoto in mezzo. Venusia non capisce.
    “Che cos’è quella cosa, Actarus?”
    “Il mio regalo di compleanno: sono sicuro che ti piacerà di più della collana.” risponde Actarus, con un’aria misteriosa.
    Venusia non sta più nella pelle dalla curiosità.
    “E dimmi una buona volta che cos’è! Lo sai che di macchine non ci capisco niente!”
    “Visto come guidavi il Delfino Spaziale, ho i miei dubbi. A ogni modo, questo è un teletrasportatore: con questo è possibile trasferirsi da Fleed alla Terra e viceversa in un attimo.”
    “Cosa?” Venusia non crede alle sue orecchie.
    “Proprio così.” risponde Actarus.
    “Ma…avevi detto che non è possibile comunicare con la Terra adesso!”
    Il volto di Actarus si rabbuia un poco.
    “Purtroppo è vero, e di conseguenza nemmeno il teletrasportatore funziona: l’avevamo già provato. Ma il giorno prima che si interrompessero le comunicazioni, funzionava benissimo. Si potevano mandare oggetti e animali senza problemi. Bisognava ancora sperimentarlo per le persone, ma eravamo a buon punto. Non te ne avevo parlato prima, perché volevo esserne sicuro. Ma quando questa storia sarà finita, potrai andare sulla Terra e tornare come attraverso una porta. E una volta installato un altro teletrasportatore anche sulla Terra, pure i nostri amici potranno fare lo stesso.”
    Venusia, ancora incredula per quello che ha sentito, si avvicina alla macchina, toccandola con cautela.
    “Stai tranquilla, è spenta.” dice Actarus con un sorriso.
    “Bè…meno male, non vorrei combinare qualcosa.”
    “L’energia del teletrasportatore è molto grande, infatti: bisognerà usarlo con attenzione. Ma non preoccuparti, l’utilizzo è molto semplice e sicuro. Perché avvenga un pasticcio, devi proprio andarlo a cercare. Un po’ come i fili elettrici della luce.”
    “Chiaro.” risponde Venusia e, voltandosi verso Actarus, aggiunge: “Caspita, Actarus, è un regalo bellissimo…non vedo l’ora di provarlo, appena possibile!” e abbraccia il re di Fleed euforica. “Sapessi quante volte ho avuto nostalgia del ranch di mio padre, di quelle sere d’estate…”
    “Lo so, Venusia.” dice Actarus abbracciandola.
    “Sai” dice Venusia, guardandola negli occhi “in questi anni ho cominciato a capire la nostalgia che avevi tu quando stavi in mezzo a noi sulla Terra.”
    Actarus non risponde subito. Accarezzando Venusia, risponde:
    “Sì, e la cosa strana è che a volte provo nostalgia della Terra persino io che ora sono a casa mia. E’ destino per me essere un nostalgico!” conclude con una risata.
    Venusia stringe più forte Actarus e ad un certo punto dice:
    “Però vorrei farti anch’io un regalo, Actarus.”
    “Sì? E quale sarebbe?”
    “Un fratellino o una sorellina per Rex.”
    “Eh?” Actarus arrossisce di colpo.
    “Già” aggiunge Venusia con un sorriso malizioso, accarezzando Actarus al volto “Povero bambino, tutto solo…non pensi che abbia bisogno di qualcuno come lui che gli stia vicino?”
    “Ehm…ma per fare un bambino bisogna essere in due.”
    “Davvero? Non lo sapevo, sai.” risponde Venusia facendo gli occhi della finta tonta. “E’ un argomento che conosco così poco. Su, andiamo a dormire, così intanto me lo spieghi.”
    Decisamente, la Venusia di un tempo non mi avrebbe mai parlato così…pensa Actarus, accompagnando sottobraccio Venusia con un’aria falsamente rassegnata.

    Tra i sette pianeti dell’Oscurità, quello che si avvicina di più come aspetto all’Acheronte, dove risiede l’Oscuro, è lo Stige. Dall’astronave di ritorno, Garuda osserva con soddisfazione quel pianeta: è il centro del suo impero. Da lassù può contemplare lo Stige come se potesse tenerlo in mano. Un regime di terrore sottomette le varie razze di quel mondo, che vivevano in pace prima di essere invase da Garuda e dall’Ombra.
    Al generale dell’oscurità quel mondo era piaciuto sin dalla prima volta che l’aveva visto: aveva deciso che sarebbe stato la base del suo futuro impero. Un impero basato sulla paura e sul terrore garantiva fedeltà assoluta, e il pianeta capitale doveva dare il buon esempio di sottomissione. Da lì, il suo dominio aveva allargato i confini ben oltre l’Ombra: ma la sua brama di potere non è mai sazia, anzi aumenta ad ogni successo, ad ogni conquista.
    Un giorno verrà in cui io e l’Oscuro ci affronteremo. Non vedo l’ora che arrivi: alla fine, anche il castello di Darkhold sarà mio. Che soddisfazione poi vedere la faccia di Jezabel…ma non devo dimenticare gli altri generali.
    Ogni volta che incontra l’Oscuro, il desiderio di sfidarlo si fa sempre più forte: ma deve trattenersi, non è ancora il momento.
    Mentre medita su questi argomenti e altri simili, l’astronave atterra sul torrione più alto del suo castello. I servi sulla vedetta si avvicinano subito a Garuda, salutandolo ossequiosamente, tremando dentro di sé nel timore di dire una sola parola o gesto fuori posto che possa infuriare il loro signore. Diversi uomini sono morti di sua mano per un errore simile, e per questo i servi sono più vigili che mai. Uno di loro gli toglie il mantello, mentre Garuda consegna il suo elmo ad un altro, scendendo lungo le scale che portano alla corte interna, dove è presente la sala del trono. Una volta seduto sullo scranno, un’ancella gli porge una coppa nella quale versa il vino. Garuda beve in silenzio, poi chiama il maggiordomo di corte, il sovrintendente più importante del castello.
    “Boris!”
    “Sì, mio signore?”
    “Chiama Myrain.”
    “Sarà fatto, mio signore!”
    Boris si allontana rapidamente.
    Intanto, Garuda riflette. Una bestia dell’abisso, ha detto l’Oscuro. Strano: normalmente, per un’invasione, si fa un bombardamento a tappeto e si fanno avanzare le truppe. Le bestie dell’abisso servono solo quando si incontrano resistenze molto grandi, che di solito dopo il loro intervento non sono più tali. Chissà cos’ha in mente. Comunque, sono curioso di vedere quanto sia forte questo Goldrake…
    Tra tutti i sei generali dell’oscurità, solo Garuda può mandare le bestie dell’abisso, esseri infernali che vivono in un’altra dimensione ignota. Ma non può farlo da solo: simili bestie devono essere richiamate dalla loro dimensione, e per questo è necessaria un’ evocatrice. In tutto l’universo, le evocatrici sono rare: incontrarne una è quasi un miracolo. Ma Garuda l’aveva trovata, tra il popolo degli elfi: la bionda Myrain. Gli elfi sono una delle tante razze che vivono nello Stige (ovviamente, il pianeta non si chiamava così allora: ma il suo nome originale è stato dimenticato). Se gli elfi e le altre razze non sono sotto un regime fin troppo disumano, questo è dovuto proprio grazie ai servigi di Myrain: un’evocatrice è molto preziosa per Garuda.
    Ad un tratto, in fondo alla sala del trono c’è un brusio: Myrain sta arrivando. La sua bellezza fa sempre attirare gli sguardi di tutti. L’elfa compare all’ingresso, camminando con grazia e mostrando l’aspetto diafano caratteristico della sua gente. I suoi vestiti ondeggiano insieme ai suoi movimenti, e i capelli biondi si muovono ad ogni passo. Il suo viso regolare, con gli occhi di un azzurro intenso, insieme con le orecchie a punta, attira sempre l’attenzione – e l’ammirazione – degli osservatori.
    Myrain si ferma di fronte al trono e si inginocchia davanti a Garuda, dicendo con una voce che sembra quasi un canto:
    “Mi avete chiamato, o mio signore?”
    Persino Garuda rimane perplesso per un momento prima di parlare. Ogni volta che vede Myrain, ne rimane stupito come se fosse la prima.
    “Sì, Myrain” replica Garuda, scuotendosi e tornando in sé “ti ho chiamato per evocare una bestia dell’abisso. Voglio Kandura.”
    Myrain sa a cosa servirà quel mostro, ma non ha scelta: se non lo evoca, la sua stirpe sarà sterminata, insieme alle altre: ben pochi sopravviverebbero alla furia del generale. E ogni volta che fa un’evocazione, si sente morire dentro, perché sa che sceglie la distruzione di un popolo per la salvezza del suo. E ogni volta si chiede se fa la cosa migliore. Nonostante questo, risponde:
    “Sarà fatto, mio signore.”
    Detto questo, Myrain si alza e si allontana, sotto gli sguardi di tutti. Nient’altro è stato detto da lei, come sempre: e Garuda non vuole darlo a vedere, ma è infastidito. Sa che tutti hanno paura di lui e tremano ad un suo cenno: Myrain no, non trema. Certo lo rispetta, ma non lo teme. E questo Garuda lo sente come un limite al suo potere, ma non sa come rimediare.
    Myrain sale lungo le scale del castello, raggiungendo un ampio spiazzo all’aperto su una torre. Nessuno la accompagna: l’evocazione dev’essere fatta solo dall’evocatrice e, se un altro fosse presente, perderebbe la vita e forse anche l’anima. Con un gesso, l’elfa traccia dei simboli sul pavimento di pietra, ponendosi poi al centro di essi. Sta in piedi, immobile e concentrata, a mani giunte e ad occhi chiusi per un certo tempo. Poi, all’improvviso, batte due volte le mani ed inizia a danzare. Una danza armonica, dove i drappi dei vestiti danno alla sua figura l’impressione di camminare sull’aria. Durante questa danza, si sente un suono, che però non proviene dalla bocca di Myrain: e il suono diventa una musica che si fa sempre più forte e ritmata, fino a diventare tutt’uno con l’elfa. Il respiro di Myrain diventa affannoso: l’evocazione è impegnativa, soprattutto quella di una bestia dell’abisso.
    Ad un tratto, qualcosa compare a mezz’aria: un disco piatto, composto di luce, che si muove. Myrain si ferma: l’evocazione è stata compiuta. Dal disco pian piano compare un gigantesco mostro, dalle enormi braccia e i denti come quelli di uno squalo, senza nessuna traccia di collo tra la testa e il tronco. E’ Kandura, uno dei più potenti mostri dell’abisso.
    Myrain si accascia per terra sulle ginocchia, sfinita, mentre Kandura urla con voce di tuono, spaventando tutti coloro che vivono nel castello. Anche Garuda sente l’urlo, ed è soddisfatto: l’evocazione è riuscita. Con un gesto, scompare per poi apparire sulla torre, davanti al mostro.
    “Kandura, ti ordino di andare su Fleed. Devi devastare tutto ciò che vedi.”
    La bestia dell’abisso, urlando, alza un pugno per schiacciare il piccolo essere arrogante che parla davanti a lui: ma Garuda blocca il colpo con una mano sola, senza sforzo.
    “Hai una grande forza, ma non è contro di me che devi usarla. E ora parti!” conclude urlando.
    Kandura, impressionato, si allontana salendo in aria verso Fleed.
    Garuda osserva il mostro fino a quando scompare all’orizzonte. Poi si volta e nota Myrain che si è appena rialzata: si inchina verso di lui e si allontana in silenzio. Garuda rimane perplesso. Senza nemmeno rendersi conto di ciò che sta facendo, alza una mano, come per chiamarla, ma poi si ferma. Si volta e appoggia il piede su un merlo della torre, guardando il panorama. Tutto quello che vede è suo, lo sa bene. Tuttavia, si guarda intorno a sé, e vede che non c’è nessuno accanto a lui. D’un tratto, si sente stranamente solo.

    COMMENTO

    Il personaggio di Myrain ha diverse origini: fisicamente somiglia all'elfa Deedlitt di Lodoss War, ma è anche un'evocatrice come Salomè , nemica del robot Ginguiser (per essere precisi, non faceva direttamente lei l'evocazione, ma lasciamo stare). Il nome viene da un personaggio di Ka-Zar, il Tarzan della Marvel. Myrain era una ragazza di cui lui si era innamorato. Boris, il maggiordomo di corte, è un omaggio al Dottor Destino della Marvel, che è appunto padrone di uno Stato (Latveria), vive in un castello e ha come suo fedele, appunto, Boris.

    image image Destino


    (Il seguito qui)

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    Edited by joe 7 - 1/2/2020, 22:48
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