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  1. FANFICTION LA GRANDE OMBRA - 54

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    Grande Ombra fanfic
    By joe 7 il 11 May 2016
     
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    FANFICTION GOLDRAKE: LA GRANDE OMBRA 54
    LA STORIA DI SAYAKA YUMI

    Se volete seguire la storia sul blog, la prima puntata è qui
    Invece, se la volete seguire sul forum, la prima puntata è qui

    85b


    RIASSUNTO: Actarus e Venusia si sono sposati e sono andati a vivere su Fleed come re e regina. Il loro figlio appena nato, Rex, è stato rapito dalla spietata Jezabel, per conto di un essere potente e misterioso, l’Oscuro, che lo sacrificherà quando sette stelle saranno allineate. Actarus, insieme coi suoi amici (Alcor, Maria, la squadra Getter, Mazinga Z, Grande Mazinga, Boss, Daitarn, Jeeg), parte con Goldrake sull’astronave Cosmo Special per arrivare a Darkhold, il castello-pianeta dell’Oscuro. Durante il viaggio, affrontano i Generali dell’Oscurità per prendere i cristalli che possono sconfiggere l’Oscuro. Intanto, dopo diverse peripezie, Venusia è riuscita ad arrivare a Darkhold, inserendosi tra le Amazzoni col falso nome di Hikaru. Prima di allontanarsi dall’astronave delle Amazzoni dove si trova, difende una ragazzina, l’elfa nera Ney, dai maltrattamenti delle guerriere. (Nota: in questa storia, Alcor e Koji sono due persone diverse)

    Venusia osserva in silenzio la piccola elfa Ney, con un misto di apprensione e preoccupazione. La bimba è bendata in testa e ha un braccio al collo. Ci sono diversi lividi in tutto il corpo, ma per fortuna nessun osso rotto.
    Come si fa a picchiare così una bambina? Mai vista una cosa simile, si chiede lei perplessa. Ha dovuto insistere anche con la dottoressa perché non la voleva curare: pensava che le avrebbe portato sfortuna. Alla fine, Venusia ha ottenuto almeno un letto per l’elfa e la possibilità di curarla e bendarla lei.
    Cosa posso fare adesso? Se la lascio qui, è sola. Se la porto con me, rischia molto, pensa indecisa. Ney apre gli occhi e si guarda intorno. Vede Venusia e le sorride stanca. Lei la accarezza su una guancia e le chiede:
    “Come stai adesso? Un po’ meglio?”
    “Sì, grazie, Hikaru”
    Venusia fa ancora fatica ad accettare di essere chiamata in quel modo. Ma meno gente sa chi è e meglio è. Alla fine, decide: qui almeno Ney ha un riparo. Se viene con lei, rischia davvero molto.
    Devo trovare mio figlio Rex in quest’inferno. Non posso assolutamente portare qualcuno con me. Faccio già fatica a sopravvivere da sola.
    “Ascolta, Ney. Io devo andare, ho un impegno urgente. Riposati qui: ti lascio questo zainetto. Contiene roba da mangiare e qualche soldo. Così non sarai costretta a rubare”
    “Dove vai?” chiede lei, preoccupata.
    “Non posso dirtelo. Però spero di rivederti presto”
    Lo spero davvero, pensa Venusia: ma sente che sarà difficile. Ney rimane perplessa, mentre Venusia si alza e le stringe le mani, dicendo: “Abbi cura di te, mi raccomando”
    “Hikaru…prima che tu te ne vada…volevo chiederti una cosa…”
    “Sì?”
    “Come hai fatto ad entrare in berserk così presto? Sono solo pochi giorni che sei qui. Ci vogliono anni perché una nuova amazzone raggiunga quello stadio”
    Venusia resta senza parole.
    “Ma di che parli? Quando mai sarei andata in berserk?”
    “Bè, non lo sei diventata, ma stavi per farlo. Quando mi hai difesa, i tuoi occhi stavano diventando bianchi: è il sintomo dello stato di berserk. Non te n’eri accorta?”
    L’osservazione di Ney è come una mazzata per Venusia. Io…in berserk? Io…come Jezabel? Sto…sto diventando come lei? Spaventata, sente di non aver altra scelta: Devo andar via da qui al più presto! Ho paura di quello che posso diventare qua dentro!
    “Ecco…io…non me n’ero proprio accorta…grazie per avermelo fatto notare, Ney. Ora devo proprio andare. Riguardati. Appena posso, tornerò!”
    Venusia si allontana e, sulla soglia della porta, si sforza di sorridere e di dare un ultimo saluto alla piccola elfa. Poi si avvia, all’inizio con calma, poi camminando più alla svelta e infine correndo. Fuori! Fuori! Devo andarmene subito via da qui! Questo posto mi sta cambiando in un modo che non avrei mai immaginato!
    All’uscita dell’astronave, due amazzoni di guardia la osservano, sospettose.
    “Dove vai con quella borsa a tracolla?”
    “Ho un impegno“ inventa Venusia “Fatemi passare, per favore”
    Dopo un momento di incertezza, le amazzoni la lasciano uscire. Venusia si allontana in tutta fretta. Mentre una delle guardie la osserva svanire in lontananza, chiede dubbiosa all’altra:
    “Ma starà mica disertando?”
    “Scherzi?” risponde l’altra “Sai bene cosa fa il capitano Jocasta ai disertori. Per il suo bene, spero che quella novellina non sia stata così stupida da provarci”
    Mentre Venusia inizia a percorrere da sola le vie di Darkhold, un’ombra la segue in silenzio. Isparana attende il momento giusto per colpire.

    Nello stesso tempo, nella roccaforte di Bedlam, Sukeli, il sacerdote nero, ha un sussulto.
    Nel castello-mondo di Darkhold, Bedlam è il luogo più temuto, subito dopo la Torre della Solitudine dell’Oscuro. E’ una roccaforte gigantesca, grande quanto una città, difesa da più mura concentriche e sorvegliata dagli elementi migliori dell’esercito dei Lupi Neri. Laggiù si effettuano i sacrifici umani, ogni giorno, amministrati dai Sacerdoti Neri comandati da Sukeli. Inoltre, si fanno esperimenti scientifici avanzatissimi in continuazione sulle persone prigioniere: i Sacerdoti Neri sono anche scienziati altamente qualificati, tutti, nonostante il nome, vestiti di un camice bianco. Al centro di Bedlam, oltre agli altari dei sacrifici, ci sono computer, macchinari e costruzioni scientifiche avanzatissime. Approfondimenti e ricerche matematiche, meccaniche, fisiche sono effettuati in continuazione, insieme alle sperimentazioni sulle vittime e alle continue immolazioni dei sacrifici.
    In tutto questo spaventoso ed allucinante regno, Sukeli è il capo indiscusso. Insieme a Jezabel, è a fianco dell’Oscuro e si può dire che sia la sua “anima nera”. Vestito anche lui di una tunica-camice, è anche un intelligentissimo uomo di scienza. Il suo sguardo sospettoso e penetrante è in qualche modo sottolineato dai suoi sottili baffi bruni e dal pizzetto a punta sul mento. Proprio mentre stava esaminando complicatissime formule matematiche, aveva percepito un sussulto, come descritto prima. In quel momento, capisce che lei è qui.
    Soddisfatto, Sukeli lascia un momento i suoi calcoli e scende verso la sezione dove si trova il materiale umano da sperimentare o da sacrificare. Entra in una stanza riservata e rinchiusa da apparecchi scientifici e sigilli magici, osservando, rinchiuso in un globo trasparente, un bimbo che dorme tranquillo sotto l’effetto dell’incantesimo del sonno. Il figlio di Venusia, Rex. Sukeli lo contempla in silenzio. Il sacrificio perfetto tra poco sarà pronto.
    “Dovresti essere contento, bambino” dice con voce sibilante “ho appena percepito la presenza di tua madre. E’ qui e ti sta cercando. Tra poco verrà a trovarti. Tutto sta andando ancora meglio di come speravo”
    Socchiudendo gli occhi, Sukeli sorride, e il suo volto, deformato dal ghigno e illuminato dalle fredde luci delle macchine elaboratici, ha qualcosa di satanico.

    Actarus cammina pian piano con difficoltà, aiutato da Maria, che lo sostiene, quasi come un bimbo ai suoi primi passi. Actarus è sulla via di guarigione e si sta riprendendo velocemente, ma non è ancora del tutto indipendente. I suoi muscoli però, pian piano, stanno diventando sempre più veloci nel rispondere agli stimoli. Non manca molto alla guarigione completa. Alla fine, arrivano nell’hangar dove si trova l’enorme mole di Goldrake, ancora disteso a terra dopo lo scontro che aveva fatto con tutti gli altri robot, quando Actarus era sotto l’influenza dell’Oscuro.
    “Non so se sia una buona idea tornare lì dentro a guidarlo” esclama Maria, dubbiosa.
    “Stai tranquilla, Maria. Ho proprio la sensazione che l’Oscuro non riesca più ad influenzarmi mentalmente. Ad ogni modo, non voglio guidarlo adesso: voglio solo vedere com’è messo”
    Toccando la superficie liscia di metallo del robot-samurai, Actarus ha un moto di sorpresa.
    “Ma cosa…è impossibile!”
    “Che succede?” chiede subito Maria, allarmata. Se la storia si ripete, stavolta Goldrake lo riduco in trucioli, pensa subito lei.
    “I sigilli si sono pienamente ristabiliti. Goldrake è esattamente come prima, adesso”
    Maria, dubbiosa, tocca anche lei la superficie di Goldrake, scandagliandolo mentalmente. Stupita, si accorge che suo fratello ha detto il vero. I sigilli sono pienamente operativi. Non è più un pericolo ora guidare il robot.
    “Ma come è possibile?” chiede lei, incredula.
    “Credo che sia stato l’enorme abbassamento della temperatura che abbiamo subito a causa della Regina delle nevi. In effetti, i sigilli si possono ripristinare solo in condizioni criogeniche. Senza volerlo, Shizuri ci ha fatto un favore” risponde Actarus.

    Koji Kabuto e la moglie Sayaka Yumi stanno lavorando attorno ai loro robot e il primo esamina le simulazioni del Mazinga Z sul computer vicino, mentre Sayaka, con una chiave inglese in mano e un cacciavite tra i denti, sta sistemando un groviglio di fili di un circuito di Afrodite A. Il suo robot femmina è stato ricostruito da zero, sotto i suoi progetti e insistenze: praticamente, è tutta una sua opera. L’ha rinforzata usando la lega Z e i pugni a razzo, aggiungendo altre armi difensive. La sua calotta di cristallo, che sovrasta la testa del robot, apparentemente è di vetro, ma in realtà è composta da una superlega Z ancora più indistruttibile della normale e tutta trasparente. Invece di essere l’area più fragile del robot, in realtà è la più resistente e pericolosa: prendendola di mira con l’intenzione di distruggerla, gli avversari in questo modo fanno mosse prevedibili e rimangono scoperti, permettendo a Sayaka-Afrodite dei letali attacchi a sorpresa. In sostanza, un’ottima trappola.
    Però, proprio ora che dovrebbe essere pronta, Afrodite A ogni tanto fa i capricci e Sayaka ci deve lavorare in continuazione, tra un’imprecazione e l’altra. La sua tuta è tutta unta di grasso, mentre i capelli, anche se raccolti e coperti, si sporcano facilmente. Non è certo questo il posto per una ragazza, pensa. Ma non ho nessuna intenzione né di stare indietro, né di essere un peso per Koji! Stavolta Afrodite A si farà onore!
    “Calmati, Sayaka” le dice ad un tratto Koji, che si era voltato a vederla armeggiare, interrompendo il lavoro di computer.
    Asciugandosi il sudore della fronte, Sayaka esclama:
    “Questa maledetta macchina fa sempre quel che le pare…”
    “Come te…ti somiglia molto, in effetti” replica lui, sorridendo.
    “Come ti permetti?” si inalbera Sayaka “Afrodite A è una meraviglia, e tu sei solo un cafone che non ha il minimo rispetto per le donne!”
    Certo che è carina quando si arrabbia, pensa Koji. Persino con la tuta addosso.
    “La sforzi troppo” risponde lui “Ogni volta è la stessa storia, Sayaka: nei test di prova, la usi sempre fino all’estremo. Per forza che ogni tanto qualcosa parte. Devo essere io adesso a insegnarti come guidare un robot? Tu che hai insegnato a me come guidare Mazinga?”
    “Non mi incanti con queste sviolinate, Koji” risponde Sayaka, chiudendo gli occhi e alzando il mento in modo altezzoso. Coi pugni ai fianchi, tenendo in mano la chiave inglese, e guardando dal basso all’alto il suo robot, continua: “Afrodite A deve essere sempre pronta a combattere con Mazinga Z. Voglio che sia una compagna perfetta! Ecco perché la uso in quel modo: voglio conoscere bene i suoi limiti, per usarla al meglio!” conclude, spalancando le braccia.
    “Per questo, quindi” replica Koji, afferrando un libretto di manutenzione e sfogliandolo distrattamente “hai dovuto cambiare 5 dinamo, 7 radiatori, 14 sospensori e 23 giunture, per non parlare di vernici, chiodi e bulloni. Ti avverto che le riserve stanno per finire e Afrodite A non ha ancora combattuto”
    “Bè…” ammette Sayaka, imbarazzata “forse ho esagerato un pochino…”
    L’esagerazione sembra essere la caratteristica di Sayaka, riflette Koji divertito. All’improvviso, un bip dal computer lo fa trasalire e si volta, osservando il video. La simulazione è finita. Bene,pensa lui. Però mancano alcuni dati. Devo andarli a prendere.
    “Ah, adesso funziona” esclama intanto Sayaka, estasiata, mentre gli occhi di Afrodite A si accendono. Koji si alza ed inizia ad allontanarsi. “Dove vai?” chiede lei.
    “Devo andare nella nostra cabina a prendere i dati di base del Mazinga. Così la simulazione del computer sarà completata e Mazinga diventerà ancora più facile da guidare.
    “D’accordo” risponde lei, chiudendo il groviglio di fili con una lastra di superficie metallica, fissandola in un complesso gioco ad incastro. Mentre Koji si allontana, Sayaka contempla soddisfatta la sua Afrodite A. Il legame tra lei e quel robot è qualcosa che nessuno può capire. Nemmeno Koji. Ero stata la prima in assoluto sulla Terra a guidare un robot gigante, pensa Sayaka. E forse ero la prima in assoluto ad averne bisogno…conclude, sospirando.

    Tutto era cominciato quando lei era una bambina. Sua madre, Reika Yumi, era morta all’improvviso, e lei era rimasta sola con suo padre, il famoso professor Gennosuke Yumi. Uno scienziato col camice bianco che non aveva né il tempo né la capacità di occuparsi di una bambina. All’inizio non andavano molto d’accordo. Il dolore per la perdita della madre era stato molto forte per Sayaka. Si sentiva sola ed abbandonata da tutti. A scuola era diventata un problema: era brava con lo studio, ma molto litigiosa, soprattutto coi maschi. Forse, nel suo inconscio, pensava che fossero stati gli uomini a portare via sua madre. Chi lo sa? Neanche lei saprebbe dare una risposta sicura. Forse un’antipatia istintiva. O un vedere l’uomo come un rivale anziché un compagno o un’altra metà. Comunque, almeno con le ragazze andava d’accordo. Però le sue esplosioni di violenza erano preoccupanti. I bambini a scuola la evitavano come la peste, per quanto fosse carina d’aspetto: la chiamavano “maschiaccio”, o peggio, sottovoce. Ad un certo punto, nelle scuole superiori, fu chiamato dagli insegnanti anche il padre, il professor Yumi, per dirgli, preoccupati, che Sayaka stava diventando una teppista. Quasi ogni giorno tornava a casa con qualche livido o ferita dovuta ad azioni spericolate o alle lotte coi ragazzi. Più di una volta, lei e suo padre avevano litigato per questo.
    “Sayaka, non capisco” diceva il professor Yumi “Sei una ragazza intelligente, sei brava con lo studio, hai una casa, puoi comperare quello che vuoi…perché vuoi litigare con tutti? Che senso ha?”
    “Sono loro che litigano con me, papà” rispondeva cocciuta lei “Io sto con le ragazze, ma poi qualche ragazzo si avvicina e fa il cretino, prende in giro me o le mie amiche e finisce sempre così. Che c’entro io? E’ colpa loro!”
    “Se tu fossi più gentile coi ragazzi, allora non dovresti più litigare con loro!”
    “Non mi fido. Cerchi di essere gentile e poi se ne approfittano. Alla larga!” concludeva lei, allontanandosi da un Yumi rassegnato.
    Intanto, il progetto “Mazinga” andava avanti: i disegni tecnici del professor Juzo Kabuto, il collega di Yumi e suo maestro, erano segretissimi, ma le conoscenze di base avevano permesso a Yumi di progettare robot giganti non deputati al combattimento. In accordo con Juzo, iniziò la costruzione di un robot gigante dalle fattezze femminili, come prototipo di strumento usato per la pace. Sarebbe stato utile come gru o come mezzo di trasporto in condizioni impossibili per l’uomo, o per tanti altri scopi. Persino a scopo medico: la costruzione di un robot antropomorfo permetteva di conoscere ancora meglio la struttura del corpo umano e il suo funzionamento, che a tutt’oggi resta un mistero in molti punti. Siccome non era stata costruita come strumento bellico, ma come aiuto per l’uomo, Yumi decise di darle il nome della dea greca dell’amore, che si prende cura dell’uomo: Afrodite, con l’aggiunta di “A”, come per dire “la prima”.
    Manca solo il pilota, rifletteva Yumi.
    “E perché non una pilota, professore?” chiese il professor Morimori, il suo assistente.
    “Una donna pilota?”
    “In effetti, credo che il robot, in questo modo, sarebbe più semplice da utilizzare. Una pilota donna, un robot donna. Un connubio perfetto” aggiunse il secondo assistente, il professor Dossori.
    “Sayaka è brava con le moto e le macchine, ed è anche un tipo un po’ vivace. Forse riuscirebbe a pilotarla, secondo me” concluse il terzo assistente, il professor Sewashi.
    Mia figlia? Non dite sciocchezze!”
    Nonostante le proteste di Yumi, i suoi assistenti insistettero, interessati alla possibilità di avere una pilota il più presto possibile, senza dover fare delle ricerche e selezioni, che comportavano sempre una notevole spesa di tempo e soldi. Alla fine, Yumi cedette: forse, pensava, usare Afrodite A potrebbe aiutare Sayaka ad essere meno violenta…
    Sayaka non dimenticò mai più il giorno in cui suo padre la portò per la prima volta nell’hangar riservato dell’Istituto Fotoatomico, dove vide con sorpresa le enormi fattezze di Afrodite A. Dire che rimase stupita fu il minimo.
    “Io guidare quella? Ma stai dicendo sul serio, papà?”
    “Bè, ecco…” rispose lui, imbarazzato “…pensavo che ti avrebbe fatto piacere. Sai, ti piace tanto la moto…”
    Sayaka rimase perplessa, osservando immobile, dalla ringhiera, gli occhi meccanici del gigantesco robot dalle fattezze femminili.
    “Ma quella, papà, non è certo una moto…come hai detto che si chiama?”
    “Afrodite A.”
    “E l’hai fatta tu?” chiese lei, sempre più stupita.
    “Sì. Sai, per costruirla mi sono basato sulle misure di tua madre. In proporzione, Afrodite A ha il suo stesso fisico. Non so se ho fatto bene, ma mi sembrava un modo per onorare la sua memoria.”
    “La mamma? E’ fatta come la mamma?” ribatté incredula Sayaka. Si voltò, fissando Afrodite con più intensità. Ecco perché mi sembrava familiare, pensò. La faccia. Le spalle. I fianchi. Il petto. Le gambe. E’ vero. La stessa forma slanciata. Mia mamma. Reika Yumi. Entrare in Afrodite, sarà come essere ancora con lei. Devo essere io a pilotarla. Solo io e nessun altro!
    Da allora, Sayaka e Afrodite divennero quasi una cosa sola. I suoi progressi nell’utilizzo di Afrodite sorpresero sia Yumi che gli altri assistenti.
    “Incredibile” dissero “E’ come se Afrodite A agisse da sola, invece di essere guidata! Professor Yumi, sua figlia è un genio! Sembra essere nata apposta per pilotarla!” Infatti, la sua abilità nel guidare il robot femmina era tale da poter insegnare con facilità l’utilizzo del Mazinga Z anche ad un ragazzo inesperto e incapace come era allora Koji Kabuto.
    Da quando iniziò a pilotare Afrodite, Sayaka era diventata più tranquilla, anche se le sue reazioni a volte scattavano ancora: aveva sentimenti di attrazione-repulsione per Koji. Voleva stargli vicino, ma non voleva essere messa da parte. Con l’arrivo di Koji e Mazinga, Afrodite A iniziò a combattere: ma era scarsamente attrezzata. I missili pettorali erano l’unica cosa che si poteva installare in un robot costruito inizialmente per la pace. Mazinga Z, invece, era stato costruito espressamente per la guerra, come pure Minerva X. Avevano chiesto a Sayaka se voleva guidare Minerva X, dopo la distruzione di Afrodite A per opera dei mostri del Dottor Hell. Quell’avvenimento fu per Sayaka un enorme dolore: era quasi come se sua madre fosse morta un’altra volta. Comunque, lei rifiutò l’idea: Minerva aveva avuto una sua “coscienza”, non se la sentiva di guidare un robot che una volta era “vivo”. Allora fu costruita Dianan A, una via di mezzo tra Minerva e Afrodite, ma Sayaka non riuscì mai ad integrarsi bene con essa, nonostante fosse ben più potente della precedente. Dopo la sconfitta di Hell e di Mikene, Sayaka, che aveva studiato in America insieme a Koji, iniziò la sua personale progettazione di Afrodite A, composta di Japanum, lo stesso materiale di Mazinga Z, e con tutte le armi possibili.
    Inoltre, era diventata un’eccellente maestra di guida di robot: tra le sue allieve, Sayaka ricorda con piacere l’orgogliosa Asuka Soryu Langley e l’entusiasta Noa Izumi, che la stupirono per il loro alto potenziale di guida robotica. Chissà dove sono adesso e che strada prenderanno, si chiede Sayaka, pensando a loro. Comunque, Sayaka può dire di ritenersi soddisfatta. Sua “madre” era stata “ricostruita” ed era diventata più forte che mai.

    Koji entra nella cabina, accendendo le luci e prendendo la chiave USB che contiene i dati base di Mazinga Z, da inserire nel computer e concludere la simulazione. Fa per uscire, ma la porta non si apre. Strano, pensa. Insiste, ma non succede niente. Cavolo, sono bloccato qui! Preme l’intercom, ma si accorge che non funziona: sembra spento, come pure il cellulare. Maledizione, ma che sta succedendo adesso? si chiede preoccupato.
    “Finalmente hai capito che non puoi andartene da qui, Koji Kabuto” dice una voce fredda e beffarda. Koji si volta di scatto, e vede una donna dai capelli neri, con un’armatura scura, splendente, seduta con tranquillità sulla sedia del tavolo al centro della stanza.
    Come cavolo ho fatto a non vederla? si chiede stupito. Lo sguardo di quella donna, quasi simile a quello di un serpente, lo mette a disagio. Indietreggiando, chiede:
    “Chi diavolo sei?”
    “Forse hai sentito parlare di me. Mi chiamano Jezabel” risponde lei, con un sorriso che mostra dei canini che brillano.

    Continua qui.


    Edited by joe 7 - 12/5/2016, 17:24
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