Il blog di Joe7

  1. "PARASITE", IL FILM VINCITORE DELL'OSCAR 2020

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    Cristianesimo
    Parasite
    By joe 7 il 12 Feb. 2020
     
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    IL FILM "PARASITE": ESSERE POVERO NON SIGNIFICA ESSERE SENZA PECCATO

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    "La povertà è una disgrazia, non un merito. Non basta essere poveri per essere giusti. E non è vero che i poveri abbiano solo diritti e i ricchi solo doveri: davanti a Dio tutti gli uomini hanno esclusivamente dei doveri." 1

    Alla notte degli Oscar, questo 2020 ha visto vincitore il film sudcoreano Parasite, di Bong-Joon-Ho: ha vinto ben quattro premi Oscar (miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale, miglior film internazionale). Joker, il favorito, che era candidato a 11 Oscar, ne ha vinti solo due: l'Oscar per miglior attore protagonista e per la miglior colonna sonora. Parasite, quindi, è stato il vero boom del 2020.

    Ed è un vero e proprio pugno nell'occhio per chi, come i cattolici di sinistra, sospira per i mitici "poveri", piange per i "poveri". La categoria dei "poveri" infatti è vista da loro come quella dei soli santi, dei soli giusti, dei soli innocenti, sempre preda dei ricchi, che sono sempre cattivi, perchè hanno la grana, guadagnata - ovviamente - sempre in modo disonesto. Questo film infatti fa vedere che le miserie umane ci sono anche tra i mitici "poveri", adorati dai pauperisti e buonisti di ogni sorta. Che non ne hanno mai incontrato davvero uno.

    Questo film, infatti, è un ritratto spietato di una lotta fra poveri e poi dei poveri contro i ricchi. Un film politicamente scorretto, che merita il premio, se non altro perché ci mostra la povertà senza poesia e senza sensi di colpa. Perché anche i poveri non sono senza peccato.

    Com’è noto, con l’Academy Award, detto anche premio Oscar, il cinema americano premia se stesso. Perciò, nulla spetterebbe al cinema altrui. Tuttavia, poiché i film americani incassano anche, se non soprattutto, al di fuori dei confini degli States, un premio, uno solo, lo si dà anche al «miglior film straniero». Quest’anno infatti la statuetta - insieme ad altre tre assai prestigiose: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale - è andata a un film coreano (Corea del Sud, ovviamente), Parasite, che onestamente lo merita davvero.

    Tuttavia, Hollywood ha dovuto premiarlo con grande imbarazzo, perché la trama di questo film contraddice in toto il marxismo liberal della Mecca del Cinema. Infatti, il titolo vuol dire proprio «parassita» ed è la storia di una famiglia di poveri che fa le scarpe ad altri poveri per installarsi da parassita in casa di una famiglia di ricchi. In tutta la vicenda, gli unici buoni, compassionevoli e morali sono proprio i ricchi, della cui ingenuità e disponibilità i «parassiti» approfittano indegnamente fino a cagionare la rovina di chi ha avuto il solo torto di accoglierli con fiducia.

    C’è un’unica scena osé, va detto subito, che il regista poteva risparmiarsi senza nulla togliere alla storia. Ma va detto che questo è vero per tutti i film: fino alla rivoluzione sessuale del '68 il cinema ha resistito benissimo per decenni senza scene bollenti. E' una scena senza nudi, solo toccamenti. Tuttavia, la cosa fa riflettere: il #metoo non è altro che l’ennesima attrice cui il produttore ha indicato il divano preventivo se voleva una parte. Avuta la parte, il regista le indica il divano su cui dovrà avere rapporti con un collega attore talvolta mai visto prima del ciak. Però il produttore finisce nei guai per molestie, il regista no. Misteri di Hollywood. Ma torniamo al film.

    La trama in breve è questa: una bella famiglia ricca con due figli e splendida casa dà lavoro a un autista e una governante. La famiglia parassita ha due figli giovani che, truccando carte e mentendo professionalmente, riesce a far licenziare autista e governante per farsi assumere al loro posto. Per giunta, il figlio-parassita fa innamorare di sé la figlia adolescente dei ricchi, mentre sua sorella, vera mente del complotto, plagia l’altro figlio dei ricchi, un bambino. L’autista viene fatto cacciare col semplice espediente di lasciare nell’auto del padrone un paio di mutande femminili (della parassita), la governante la si fa passare per tubercolotica (ketchup nei kleenex) colpevole di avere taciuto la sua malattia contagiosa. Tutti e quattro i parassiti si installano dunque nella stupenda magione e brindano al successo delle loro malefatte. Ma la vecchia governante torna alla carica e non diciamo il motivo perché da qui in poi cominciano i colpi di scena. Solo che a questo punto si scatena una guerra tra poveri che finirà in tragedia, e a farne le spese saranno tutti.

    Ma i veri perdenti saranno i ricchi, che pagheranno salatissimo il fio di essersi fidati del loro prossimo meno abbiente. Se c’è una morale che a noi può interessare è questa: i poveri non sono categoria eletta, hanno il peccato originale come tutti; anzi, talvolta la loro avidità, esasperata dall’invidia, può rivelarsi davvero micidiale.

    La povertà evangelica, quella cristiana, infatti, è la povertà del cuore: povertà dello spirito, non della roba. Cioè di chi si riconosce sempre povero e bisognoso davanti a Dio e si abbandona con fiducia a Lui. Una virtù da acquisire con fatica e da mantenere tramite la preghiera. Ben altra cosa rispetto al semplice "non avere".


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    1 Don Camillo a Don Chichì in "Don Camillo e i giovani d'oggi" di Guareschi (pubblicato anche col titolo "Don Camillo e Don Chichì").

    Fonte: Rino Cammilleri: Parasite, i poveri non sono senza peccato. da cui è stato tratto questo articolo.


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    Edited by joe 7 - 14/6/2023, 20:02
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