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  1. FANFICTION LA GRANDE OMBRA - 48

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    Grande Ombra fanfic
    By joe 7 il 28 April 2016
     
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    FANFICTION GOLDRAKE: LA GRANDE OMBRA 48
    JEEG CONTRO SHIZURI: DIM MAK, IL TOCCO DI MORTE

    Se volete seguire la storia sul blog, la prima puntata è qui
    Invece, se la volete seguire sul forum, la prima puntata è qui

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    Immagine trovata qui.


    RIASSUNTO:
    Dopo la guerra contro Vega, Actarus e Venusia si sono sposati e sono andati a vivere su Fleed come re e regina. Però il loro figlio appena nato, Rex, è stato rapito da un essere misterioso, l’Oscuro, che comanda un esercito sterminato: vuole sacrificare Rex, quando, tra diversi giorni, sette stelle saranno allineate. Actarus ed altri amici organizzano il salvataggio di Rex, dando la caccia ai cristalli che possono sconfiggere l’Oscuro. Intanto, Venusia, sotto il falso nome di Hikaru, si è iscritta tra le Amazzoni di Jezabel, il braccio destro dell’Oscuro, per salvare Rex: ora è arrivata a Darkhold, il mondo/castello dell’Oscuro. Dopo alcune vicissitudini, Actarus finisce in coma e Jeeg Robot e Miwa devono combattere contro Shizuri, la Signora delle Nevi, una dei sei Generali dell’Oscuro, che ha appena rapito Miwa e lasciato il cristallo in mano a Jeeg, per motivi misteriosi…(Nota: in questa storia, Alcor e Koji sono due persone diverse).


    Nell’astronave delle Amazzoni, Venusia – conosciuta qui col falso nome di Hikaru - è perplessa. Si è appena svegliata all’improvviso gridando il nome di Actarus: forse l’ha sognato in modo molto intenso e si è svegliata di colpo col ricordo di lui ancora forte. O forse era qualcos’altro. Actarus che è morto? Taci! grida a se stessa. Sono sicura che è vivo! Non devo pensarci! Devo pensare solo a trovare Rex!
    Si guarda in giro. E’ ancora buio e si trova nella stalla delle Diatrymas, in mezzo ai loro versi e all’odore pesante degli animali. Chissà come sono ridotta adesso, riflette Venusia. Si guarda un momento. Indossa vestiti sporchi e laceri. Ha le mani macchiate di fango e sangue. Se avessi uno specchio e mi guardassi la faccia, credo che mi metterei a urlare, pensa. Al piano superiore ci sono le terme: sarà meglio che mi dia una ripulita. Chissà dov’è Ney? si chiede, guardandosi attorno, ma non c’è nessuna traccia della piccola elfa. Raccoglie le sue cose nella borsa a tracolla e la sua spada. Ricorda bene l’avvertimento di Shigure: “Non lasciare mai – ripeto, MAI – la tua spada. Nella situazione in cui sei, è l’unico aiuto che hai.”
    Sarà difficile fare il bagno con la spada addosso. Ma sarà meglio che ci faccia l’abitudine. Dovrò essere pronta per quando arriveremo a Darkhold.

    Venusia infatti non si è ancora accorta che l’astronave è già atterrata a Darkhold da tempo.

    Jocasta, il capitano della Terza Divisione delle Amazzoni, si mette il mantello e lo stemma della sua divisione. E’ stata convocata da Jezabel: a dire il vero, non si aspettava di essere chiamata così presto. Forse c’è di mezzo la faccenda di Shigure, pensa. Da tempo la spadaccina è una spina nel fianco delle Amazzoni: si è cercato spesso di eliminarla, ma la sua mostruosa abilità con la spada la rende un avversario semplicemente impossibile da affrontare. Forse Jezabel vuole intervenire di persona.
    Passando per i corridoi prima di uscire dall’astronave, incontra una persona che è appoggiata al muro e la stava aspettando a braccia conserte. Porta due spade ai fianchi e ha i capelli lunghi, lisci e neri, insieme a uno sguardo freddo e spietato. Isparana.
    “Cosa vuoi?” chiede Jocasta, infastidita. Isparana è sempre stata un elemento difficile, per quanto sia in gamba con le spade. Sempre solitaria, non si è mai integrata fino in fondo con le altre amazzoni.
    “Ho saputo che lei sta andando da Jezabel, capitano” risponde la donna.
    “Certo. E con questo?”
    “Posso accompagnarla?” chiede, sorridendo ambigua.
    “Sei fuori di testa, Isparana. Jezabel di solito riceve solo i capitani. Perché vuoi vederla?”
    “Avrei delle informazioni importanti da darle. Mi faccia venire con lei, non se ne pentirà”
    Jocasta sospira.
    “E’ fuori discussione. Non ho intenzione di portare al capo supremo delle Amazzoni un argomento che non conosco. Se ci tieni tanto, dillo a me e glielo riferirò io.”
    Isparana diffida. Se è Jocasta a dire tutto a Jezabel, si prenderà lei il merito. Ma io non ho nessuna intenzione di essere messa da parte, pensa.
    “Preferirei dirglielo io, capitano. Non è un argomento pericoloso. La prego, mi faccia venire con lei!”
    Jocasta la fissa negli occhi e dice con voce secca:
    “E’ qualcosa che riguarda Hikaru, vero?”
    Isparana resta spiazzata e non sa cosa dire: “Bè…ecco…”
    All’istante, un coltello appare a poca distanza dal volto di Isparana, tenuto fermamente in mano da Jocasta. La spadaccina dalle due spade sobbalza e indietreggia.
    “Stammi bene a sentire, Isparana” dice il capitano con voce calma e bassa, che fa ancora più paura di una voce gridata “Non voglio rogne. E’ chiaro? Non so cosa hai saputo di Hikaru e non mi interessa saperlo. Non so nemmeno perché vuoi andare a dirlo proprio a Jezabel, ma farla coinvolgere negli affari della nostra divisione è l’ultima cosa che voglio. Se vuoi dire qualcosa a Jezabel, dovrai farlo attraverso di me. Altrimenti, per il tuo bene, ti consiglio di tacere. Sono stata chiara?”
    Isparana si appiattisce al muro, spaventata. I coltelli di Jocasta sono terribili e nessuno nella divisione oserebbe affrontarli. Annuisce stizzita, senza parlare, tenendo le labbra strette e i denti serrati. Jocasta rinfodera il coltello.
    “Mi fa piacere che ci siamo capiti”
    Poi si allontana, seguita dallo sguardo furioso ma impotente di Isparana.

    Venusia si immerge con gioia nell’acqua calda, lasciando sul bordo l’asciugamano e tenendo in mano la spada, sospirando per il piacere. Le sembra che sia passata una vita dall’ultima volta che aveva fatto il bagno. Ora si sente più rinvigorita. Il fondo della piscina calda delle terme è poco profondo e morbido: Venusia si distende rilassandosi beata. Si era pulita con una spugna e sapone: nonostante l’ostacolo della spada da tenere in mano, era riuscita a fare un buon lavoro. Inoltre, in questo momento nelle terme non c’è nessuno, cosa che permette un po’ di calma e raccoglimento. Per la prima volta da chissà quando, Venusia sorride.
    All’improvviso, una voce la fa sobbalzare. Una voce maschile.
    “Veramente un ottimo spettacolo, chèrie
    Sfoderare la spada e colpire dietro di sé è questione di un istante, per Venusia. L’ha fatto automaticamente quasi senza pensare: l’allenamento di Shigure è andato più in profondità di quanto credeva. Ma la spada ha colpito il vuoto. Eppure qualcuno c’era. Venusia non capisce: ma, all’improvviso, sente un applauso e la stessa voce che dice:
    Marveilloux, quel colpo di spada! Je suis enchantè!
    Venusia si volta davanti e osserva un uomo in piedi all’altro lato della piscina delle terme.
    Come cavolo ha fatto ad arrivare lì in un attimo? Sono dieci metri!
    E’ alto, vestito con giacca e pantaloni neri; ha i capelli anch’essi neri, corti e curati. Il suo sguardo è profondo e inquietante nello stesso tempo. Sorride soddisfatto, di fronte al rossore di Venusia. Imbarazzata, cercando di coprirsi mentre è ancora immersa nell’acqua, lei esclama, serrando l’elsa della spada:
    “E tu chi diavolo sei? Cosa ci fai qui?”
    L’altro si inchina ossequiosamente, mettendo una mano davanti come se fosse in una cerimonia e risponde con voce suadente:
    “Hai ragione, ma chèrie, sono imperdonabile: mi sono dimenticato di presentarmi. Sono il Comandante Sagara. Sanosuke Sagara dei Lupi Neri.”
    I Lupi Neri? Chi sono? E cosa ci fa un uomo in mezzo alle Amazzoni? si chiede Venusia.

    Davanti al Castello reale di Niffelheim, il reame di ghiaccio, si alza un vento improvviso che fa comparire due figure. Una ha i capelli bianchi e indossa un kimono elaborato; tiene in mano una catena di ghiaccio alla quale sono collegate due manette dello stesso materiale che imprigionano i polsi e le caviglie dell’altra figura, una donna dai capelli corti e un cerchietto in testa, con addosso una tuta aderente che la protegge dai venti e dal freddo gelido. Miwa e Shizuri, la Signora delle Nevi, osservano l’enorme costruzione che appare loro davanti, la prima con muto stupore e la seconda in un silenzio anonimo.
    “Come…come siamo venuti qui? Eravamo sulla cima di quella montagna un attimo fa…” dice Miwa sorpresa, guardandosi intorno “Hai usato il teletrasporto?”
    “No. In genere non lo faccio: ho comandato a Zuu Shiin, il vento, che può portare chi voglio in ogni parte del pianeta e oltre” risponde Shizuri con voce pacata. Poi tira verso di sé la catena, trascinando Miwa e incamminandosi verso l’entrata del castello. “Andiamo” dice decisa.
    Miwa cerca di resistere, ma la forza della Signora delle Nevi le rende impossibile resistere alla trazione della catena. A malincuore si incammina, seguendola come meglio può, con le catene alle gambe che ostacolano i suoi passi.
    Cerchiamo di stare calmi e di guardarci intorno, pensa Miwa. Prima o poi troverò il modo di fuggire. Di sicuro Hiroshi sarà sulle mie tracce. Intanto devo far finta di essermi rassegnata, così abbasseranno la guardia.
    Ad un certo punto, la donna pilota osserva con curiosità le due file di statue di ghiaccio davanti all’ingresso, che delimitano la strada di accesso. Sono immagini di persone in uno stato di sofferenza, in particolare una donna in ricchi abiti e collane. A Miwa viene in mente un orribile sospetto.
    “Quelle statue…non sono statue?” dice, indicandole e reprimendo un brivido che non è di freddo.
    “Quelle statue non sono statue, maestà” risponde Shizuri “Comincia a dirlo. Comunque la tua osservazione è giusta. Una volta erano uomini. Hanno fatto delle cose sbagliate e li ho puniti. Osservali bene. Ti serviranno come ammonimento.”
    Ossignore, pensa Miwa, sono in balia di una pazza assassina.
    Appena Shizuri e Miwa si avvicinano all’enorme portone, questi si apre senza fare rumore. I due salgono gli scalini ed entrano. Dopodichè il portone si chiude e rimangono all’aperto solo le statue, bloccate in un eterno grido di dolore.

    Jeeg Robot ha cercato da ogni parte sulla cima della montagna, ma non ha trovato nulla. Anche se adesso ha il cristallo, non può tornare indietro senza Miwa.
    Dove diavolo l’avrà portata, quella specie di bambola di porcellana? si chiede furente. Aspetta…parlava di Miwa come cameriera del palazzo. Ma certo, il Castello della Signora delle Nevi! Devo trovarlo!
    Jeeg sale in fretta verso la vetta più elevata della montagna, guardando verso l’orizzonte in ogni direzione. Gli occhi di Jeeg si illuminano, usando una capacità raramente usata: quella di vedere come in un cannocchiale anche a distanze elevatissime. Di sicuro il castello sarà lontano, e non può più volare senza i missili perforanti. E senza il cervello elettronico del Big Shooter non può usare gli astrocomponenti, che gli avrebbero permesso il volo. Comunque, in questo blizzard che soffia dappertutto è meglio lasciar perdere l’idea di volare. Ma Jeeg ha già in mente la soluzione perfetta. Potrà macinare miglia in un attimo. Continuando a scrutare, all’improvviso Jeeg osserva una catena montuosa dalla forma un po’ strana. Piuttosto regolare. Troppo regolare…gli occhi di Jeeg usano il massimo ingrandimento possibile dell’immagine: si vede chiaramente che quegli enormi ammassi di ghiaccio sono delle mura. E, al di là delle mura, delle torri altissime e dei tetti, con tante immagini di gargoyle e mostri appesi sulle mura o sotto le finestre: tutto di un ghiaccio brillante.
    Se non è il Castello quello, ci va molto vicino, pensa Jeeg/Hiroshi.
    E’ distante diverse centinaia di miglia. Non c’è tempo da perdere. Jeeg scende rapidamente dal monte e si avvicina ai due cannoni del Big Shooter, che Miwa aveva sganciato prima che l’astronave finisse distrutta. Chiama Antares, il cavallo di metallo, che esce subito e si avvicina a Jeeg. Senza dire nulla, Antares ritira la sua testa all’interno del suo stesso corpo, lasciando aperto l’ingresso per Jeeg, che vi entra subito, diventando così un centauro.
    In questo modo, pensa, potrò correre molto velocemente, nonostante l’ostacolo della neve.
    Manda i raggi delta, che partono dal suo petto e si solidificano, diventando delle corde, con le quali lega i due cannoni del Big Shooter: ora potrà trascinarli con sé. La neve attutirà l’attrito e il loro peso si sentirà meno. Una volta che si è assicurato che i cannoni siano saldamente legati, Jeeg alza il braccio ed indica una direzione precisa, gridando:
    “Antares, al galoppo!”
    Il corpo metallico del cavallo si impenna, restano per un attimo sospeso sulle sue zampe posteriori, per poi iniziare a correre con gran velocità, macinando miglia e spazzando via di lato tutta la neve che attraversa, trascinando i cannoni del Big Shooter.

    Miwa osserva con soggezione gli enormi saloni del castello. Pensava che tutto l’interno fosse di ghiaccio, invece è in marmo e mattoni, pieno di arazzi, mobili lavorati, lampadari enormi e preziosi. Le guardie abbassano la testa al cammino di Shizuri. Appena erano entrate nel castello, la Signora delle Nevi aveva dissolto le catene di ghiaccio di Miwa, dicendo:
    “Spero che non sarai tanto stupida da tentare la fuga. Seguimi.”
    Miwa da allora la sta seguendo lungo un corridoio illuminato da candelabri d’oro che mostrano quadri e affreschi preziosi. Alla fine, arrivano in un salone riccamente decorato dove due file di cameriere si inchinano salutando con rispetto Shizuri.
    “Bentornata, maestà. Tutto bene?” chiede una di loro, chiaramente la più importante.
    “Tutto a posto, grazie, Hildico” risponde lei; poi, indicando Miwa, aggiunge: “Occupati di lei e portala nella Sala Blu. Arriverò tra poco”
    Hildico è sorpresa. La Sala Blu è la sala di ricevimento per gli ospiti più importanti, seconda d’importanza solo alla Sala del Trono. Quindi quell’ospite dev’essere di alto rango, pensa.
    Shizuri si allontana e la donna saluta con deferenza Miwa:
    “Buongiorno, madame. Sono la sovrintendente del palazzo. Mi chiamo Hildico. Se vuole seguirmi…”
    L’ancella fa strada a Miwa, che la segue senza capire cosa sta succedendo.
    “Dove mi portate?” chiede lei, sospettosa.
    “A farle cambiare i vestiti. Faremo in un attimo, non si preoccupi.”
    “E perché volete farmeli cambiare?” chiede sorpresa Miwa.
    “Siete stata invitata da Sua Maestà Shizuri nella Sala Blu. Perdonate, ma i vestiti che indossate sono…come dire…troppo aderenti. Non sono adatti all’etichetta.”
    Miwa non sa cosa pensare. Non doveva fare la cameriera? Qui invece la stanno trattando da signora. Quella Shizuri proprio non la capisco, pensa.

    Alla Cosmo Special ci sono dei problemi. Tutto inizia con le due donne pilota, Keiko e Yuriko, che avvertono un certo rallentamento nei motori.
    Keiko, la prima pilota, è seccata. Tipo focoso, dai capelli rossi e corti, non capisce niente di meccanica; il suo forte è guidare le astronavi e basta. Non ha mai capito perché cavolo funzionano.
    “Cosa succede adesso?” sbotta.
    “Un abbassamento di temperatura nella Sala Macchine” risponde Yuriko, la seconda pilota, giocando nervosamente coi suoi capelli lunghi e neri e osservando con attenzione i quadranti. Anche lei conosce la guida delle astronavi, però, in pratica, è l’esatto contrario di Keiko: con le macchine e i computer è un genio. Si racconta persino che sia riuscita a riparare un computer pentadimensionale con un cacciavite, uno scotch e uno stuzzicadenti. Vero o falso che sia, la sua abilità è leggenda; inoltre, anche se è cresciuta in mezzo alle macchine, ha un atteggiamento più femminile della sua compagna.
    “Che rottura” replica Keiko “Puoi fare qualcosa?” Però non ottiene risposta. Voltandosi, vede la collega che osserva i quadranti preoccupata. “Ehi! Che succede? Ti sei incantata?”
    “Incredibile…” sussurra Yuriko senza rispondere e fissando spaventata la consolle di comando “La temperatura sta scendendo dappertutto. Lentamente, ma costantemente. Eppure non ci sono fughe o aperture. Non capisco…”
    All’improvviso, la rossa Keiko avverte che il volante di comando è diventato più freddo. Anzi, non si muove più. Cerca di muoverlo, ma sembra diventato un macigno.
    “Maledizione, qui sta andando tutto a…” esclama, insieme ad un mucchio di imprecazioni colorite.
    “Stà calma, Keiko, non è il momento di perdere la testa questo!” dice l’altra, premendo affannosamente i comandi di controllo e ispezione. La rossa si alza seccata dalla seggiola e si dirige verso l’uscita, premendo il bottone per aprire la porta automatica.
    Almeno prendiamo qualcosa da bere, pensa.
    Ma la porta non si apre. Keiko preme in continuazione il bottone, ma non succede nulla. Furiosa, spara una pedata al portone, urlando:
    “E apriti, pezzo di..” ma non riesce a concludere la frase perché la pedata ha avuto effetto solo sul suo piede dolente.
    “E’ inutile, Keiko. Tutti i portoni ora sono bloccati. La nave sta perdendo energia.”
    “Cosa? E gli altri, allora, come faranno?” chiede lei spaventata.
    “Non lo so. Di sicuro, comunque, se ne sono accorti”
    Infatti, tutti i piloti della Cosmo Special si accorgono che il loro fiato è diventato visibile e cominciano a sentire brividi di freddo. I comandi elettronici o funzionano scarsamente o sono fuori uso. Alcor e Maria cercano di riunire tutti in un punto, quando all’improvviso lei pensa a suo fratello in coma.
    “Actarus! Alcor, Duke è in pericolo, in queste condizioni! Tu pensa agli altri, io vado da lui!”
    Senza attendere risposta, Maria corre verso le stanze dell’infermeria, col cuore in gola.

    La Sala Blu ha effettivamente le pareti di un colore tendente al blu, con divani, tavolini e persino un camino con un fuoco scoppiettante. Miwa indossa una veste tipica di una dama di corte.
    Ci manca solo che compaia Lady Oscar e siamo a posto, pensa lei.
    Invece entra Shizuri, che osserva Miwa e la sala con l’aria distaccata di sempre, ma con una certa soddisfazione per l’ottimo lavoro dell’ancella.
    “Grazie, Hildico, puoi ritirarti”
    L’ancella si inchina e si allontana, chiudendo la porta. Ora nella sala sono rimaste solo loro due. Shizuri si siede su un divano e mostra l’altro a Miwa.
    “Non vuoi sederti?”
    “Va bene, maestà” risponde Miwa con sarcasmo, adagiandosi sul divano.
    “Non chiamarmi “maestà” in quel modo. Mi sento presa in giro. Se non ti va, chiamami allora Shizuri e basta. Ma almeno fallo con rispetto” risponde lei, prendendo una tazza e versandovi dentro una bevanda simile al tè. Poi la porge a Miwa, che non la prende. Shizuri non ci fa caso e versa nella sua tazza, iniziando a bere con calma. Ad un certo punto, Miwa non ce la fa più e sbotta:
    “Adesso basta! Parliamoci chiaro. Perché mi avete portata qui? Cosa volete da me?”
    “Quante domande. Già che ci sei, perché non mi chiedi dove sono stata poco fa?”
    “Perché? Dove siete stata?”
    “All’osservatorio astronomico. I miei scienziati hanno identificato la vostra astronave. La Cosmo Special, se non erro”
    Miwa resta senza parole.
    “Non parli più? Non vuoi sapere cos’ho fatto dopo?”
    La pilota del Big Shooter sente come un nodo allo stomaco. “Cosa…cosa avete fatto?”
    “Credo che tu sappia ormai cos’è il Dim Mak. L’hai visto in azione due volte, mi pare. Il tocco di morte, hai presente?”
    Il nodo allo stomaco si fa più stretto.
    “S…sì”
    “Bene. Però forse non sai che il Dim Mak agisce anche a distanza. Persino a una distanza come quella tra questo pianeta e la Cosmo Special.”
    Miwa, con una mossa brusca, fa cadere a terra la sua tazza, che si rompe con un suono secco e si alza in piedi.
    “Li hai ammazzati?” grida con voce strozzata.
    “A metà, per ora. Il Dim Mak non uccide subito, a distanze così grandi. Lo fa in un tempo un po’ più lungo” risponde, bevendo la tazza.
    Miwa si sente tremare dentro di paura e di rabbia. Actarus. Tetsuya. Boss. Sayaka. Tutti…tutti tramutati in neve o in statue di ghiaccio.
    “Di cosa ti preoccupi? Adesso non sono ancora morti. Certo, lo saranno tra un po’ ” replica con calma Shizuri.
    “Sei un mostro! Cosa vuoi da noi? Da me?”
    “Un mostro…già. Hai proprio ragione” dice lei, guardando un attimo il fuoco del camino. Poi torna a fissare Miwa. “Se vuoi sapere le mie intenzioni, siediti. E ascoltami bene”
    Miwa obbedisce senza parlare, fissando duramente Shizuri.
    “Perché tu capisca bene cosa voglio, è necessario che ti dica qualcosa di me. Vedi, il mio obiettivo non sei tu. E’ Jeeg Robot. Hiroshi Shiba.”
    “Hiroshi? Ti…ti interessa lui?”
    “Non nel senso che intendi. Ma, se vuoi, parliamo in quel senso. Tu lo ami?”
    “Eh?”
    “Lo ami?”
    “Bè…sì” dice Miwa, un po’ arrossita e stizzita.
    “Molto?”
    “SI’!” dice lei, in fretta e con foga.
    “Capisco. E lui? Ti ama?”
    “Bè…credo di sì, certo, mi…mi ama, insomma”
    “Molto?”
    “S…sì, sono sicura di sì…ma perché me lo chiedi?”
    Shizuri non risponde. Si alza e si avvicina al fuoco, voltando la schiena a Miwa.
    “Anch’io avevo una persona che mi amava molto. E che io amavo molto.”
    Miwa è sorpresa da questa rivelazione e non sa che dire.
    “Vuoi sapere com’è finita?” continua lei.
    L’altra non sa perché, ma non vuole saperlo.
    “L’ho ucciso con le mie mani. Con la massima gioia” risponde in tutta tranquillità, senza variazioni di voce.

    Continua qui


    Edited by joe 7 - 29/4/2016, 14:36
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