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  1. FANFICTION LA GRANDE OMBRA - 57

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    Grande Ombra fanfic
    By joe 7 il 16 May 2016
     
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    FANFICTION GOLDRAKE: LA GRANDE OMBRA 57
    IL PASSATO DI KOJI KABUTO

    Se volete seguire la storia sul blog, la prima puntata è qui
    Invece, se la volete seguire sul forum, la prima puntata è qui

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    Immagine di Nivalis da Deviantart


    RIASSUNTO: Actarus e Venusia si sono sposati e sono andati a vivere su Fleed come re e regina. Il loro figlio appena nato, Rex, è stato rapito dalla spietata Jezabel, per conto di un essere potente e misterioso, l’Oscuro, che lo sacrificherà quando sette stelle saranno allineate. Actarus, insieme coi suoi amici (Alcor, Maria, la squadra Getter, Mazinga Z, Grande Mazinga, Boss, Daitarn, Jeeg), parte con Goldrake sull’astronave Cosmo Special per arrivare a Darkhold, il castello-pianeta dell’Oscuro. Durante il viaggio, affrontano i Generali dell’Oscurità per prendere i cristalli che possono sconfiggere l’Oscuro. Intanto, dopo diverse peripezie, Venusia è riuscita ad arrivare a Darkhold, inserendosi tra le Amazzoni col falso nome di Hikaru. Alla fine, esce dall’astronave delle Amazzoni per cercare suo figlio in quel mondo. Actarus alla fine rivela a tutti chi è l’Oscuro: il suo antenato Davan Shakari, un tempo dittatore di Fleed e creatore di Goldrake… (Nota: in questa storia, Alcor e Koji sono due persone diverse)

    A Bedlam, le porte si aprono all’improvviso, lasciando entrare l’imponente figura avvolta da un nero lucente. Tutti quanti, anche gli spietati Lupi Neri, si fanno subito da parte lasciandola passare. Alla fine, solo il loro comandante resta in piedi di fronte all’intruso e, con un leggero sorriso, china appena il capo e dice:
    “Ti saluto, o Jezabel la Sanguinaria. A cosa dobbiamo l’onore della vostra visita?”
    “Non ho tempo per te, comandante Sagara. Fammi parlare con Sukeli, alla svelta”
    “Avevo già capito che eravate qui per lui. L’ho già chiamato, arriverà a momenti”
    “Anticipi tutto come al solito, eh, Sagara?“
    “E’ un dono che ho, mia signora”
    Jezabel non risponde. Sanosuke Sagara, il comandante dei Lupi Neri, è tra i pochi che non tremano alla sua presenza: il suo sguardo sfrontato e i suoi modi vagamente insolenti sono sempre mitigati da un’abile parlantina. Quest’uomo è molto più di quanto sembra, riflette lei. Non riesco ancora ad inquadrarlo. Sukeli arriva quasi di soppiatto, inchinandosi leggermente davanti a Jezabel.
    “Hanno detto che mi cercavi. Vuoi parlarmi?”
    Lei annuisce, e Sukeli fa un cenno verso Sagara. Lui capisce e si allontana silenziosamente, in tutta tranquillità, seguito dallo sguardo perplesso di Jezabel.
    “Si può sapere dove l’hai trovato, quello?” chiede seccata al sacerdote nero.
    “In un posto lontano. Cosa c’è, ne sei attratta?”
    “Meglio per te non scherzare, Sukeli. Ricorda che devi obbedienza non solo all’Oscuro, ma anche a me. Voglio parlarti in privato”
    “Allora seguimi” risponde lui, facendo da guida lungo i corridoi labirintici di Bedlam. Jezabel, mentre lo segue, intuisce l’orrore e il dolore che ristagnano tra queste mura e, nonostante sia chiamata la sanguinaria, prova disagio. Per natura lei è una combattente, non una torturatrice. Si sente completamente estranea al mondo di Sukeli, ma, anche se lo disprezza, adesso ha bisogno di lui. Alla fine, arrivano in una sala di ricevimento, dove il sacerdote-scienziato si versa un bicchiere di vino e lo porge a Jezabel.
    “Gradisci? E’ del pianeta Katsudon. Un ottimo distillato”
    “No. Veniamo al punto. Ho parlato con Duke Fleed quando sono stata sulla Cosmo Special”
    “Lo so cos’hai fatto” risponde lui, sorseggiando il vino “Potevi ammazzarli tutti, già che c’eri. La sanguinaria forse perde colpi, adesso?”
    “Tu non sei un guerriero, Sukeli, e non puoi capire. Ho ucciso i miei nemici sempre guardandoli negli occhi. Ammazzare di sorpresa è quello che fate tu e i tuoi topi neri”
    “Non dovresti chiamare così i Lupi Neri, Jezabel. Inoltre, per una volta, potevi fare un’eccezione al tuo assurdo senso dell’onore. E’ la vittoria che conta, mi pare. I mezzi sono irrilevanti”
    “Saresti un pessimo comandante di guerra, Sukeli. Ne parli come se ci fossimo solo noi e quei quattro gatti nella Cosmo Special. Non ti rendi conto che mondi interi ci stanno osservando? Che molti ora sono dubbiosi della reale forza dell’Oscuro? Se li avessi ammazzati tutti, sarebbe stato un segno di debolezza, non di forza: sarebbe stato come dire che quei robot ci avrebbero sconfitto e quindi per batterli abbiamo dovuto usare dei sotterfugi. Le rivolte e la speranza di vittoria si sarebbero moltiplicate.”
    “E tu pensi davvero che loro torneranno indietro dopo il tuo…’avviso’? Credo che non lo avrebbero fatto nemmeno se tu fossi riuscita ad ammazzare Koji Kabuto”
    “Lo so. Ma un avviso volevo farlo. Inoltre, ho visto bene la loro situazione: i piloti sono esausti e i robot che hanno combattuto, anche se riparati, non sono al pieno delle loro forze. Più lottano, più si indeboliscono. Non hanno davvero speranza di vincere, nonostante le loro vittorie; anzi, paradossalmente, proprio a causa delle loro vittorie. Comunque, non sono venuta qui per parlare di loro. Ho bisogno dei tuoi incantesimi per trovare una persona”
    “Ah. E chi sarebbe?”
    “Venusia di Fleed. Pensavo che fosse morta, ma adesso comincio a pensare che sia ancora viva. Voglio sapere dov’è”
    “Ah, quella donnina che ti ha sfregiato” risponde Sukeli, sogghignando nel vedere la stizza di Jezabel.

    La donna cercata da Jezabel in questo momento è assai vicina, ma non ha certo un aspetto minaccioso. E’rannicchiata in un riparo nascosto nell’immenso castello, mentre cade una pioggia continua. Dopo aver corso a perdifiato, non solo per l’ansia di trovare Rex, ma anche per un’oscura paura che le era salita dentro, alla fine si era resa conto di essere completamente sola. La paura che aveva sentito era fortissima, irrazionale, un vero e proprio panico, ed era causata dal fatto che qualcosa dentro di lei stava cambiando. Da quando si era accorta che poteva entrare in berserk senza accorgersene, non è più sicura di se stessa. Può ammazzare qualcuno senza accorgersene. Disperata, nel rifugio pensa: Cosa faccio? Non riesco più a controllarmi.
    Non ha più appoggi, sicurezze, nulla. Le sembra impossibile che solo pochi giorni fa era una regina di un pianeta e viveva accanto all’uomo che amava e ad un figlio che la faceva gioire. I letti morbidi, gli splendidi saloni, i coloratissimi giardini, i numerosi vestiti. Qui ha freddo e prova angoscia, osservando un mondo cupo, pieno di toni scuri e ancora più intristito dalla pioggia. Le strade strette sono tutte lastricate di porfido grigio e attraversate da gente di ogni risma: solo nella stradina dove c’è il rifugio di Venusia non ci passa nessuno, forse perché è un quartiere abbandonato. Camminando prima per le vie, Venusia aveva visto un’infinità di alieni, soprattutto in forma umanoide, spesso con cicatrici (forse, guerrieri o gladiatori), o con corazze piuttosto uniformi (probabilmente dei soldati) o con vestiti in pelle (mercenari o mercanti). Ogni tanto le strade si aprivano su vaste piazze piene di tendoni e negozi dove si vendeva di tutto: dagli schiavi alle armi, da ricche vesti a preziosi diamanti. Le luci cercavano di illuminare quanto possibile quest’ambiente sinistro, dove tutti si muovevano accigliati e con un’aria pericolosa. Guardando in alto, Venusia aveva visto anche diversi robot giganti e astronavi che solcavano i cieli nuvolosi: non ne aveva mai visti così tanti. Inoltre, in lontananza, aveva visto anche delle specie di colonne di fuoco da dove uscivano in continuazione mostri meccanici e non, con mille forme e strutture, come se fossero tutti creati da quelle fiamme. Quando alla fine si era messo a piovere, Venusia, vinta dalla stanchezza e dallo sconforto, aveva trovato un rifugio appartato e si era nascosta lì in attesa che finisse la pioggia. Ma non accennava a diminuire: i lampi illuminavano tutto di bianco in un attimo ed erano accompagnati da tuoni molto forti.
    In mezzo a quella desolazione, Venusia, rannicchiata su se stessa, seduta in posizione fetale, osserva con occhio assente le gocce di pioggia che cadono, pensando ad Actarus. Le sembra quasi di vedere il suo volto; ma anche quello rassicurante di Procton, quello buffo di Rigel, suo padre, o quello semplice e schietto di Mizar, suo fratello. Il sorriso di Maria, persino il fastidio che provava quando vedeva Banta litigare con Alcor. Quanto le sembra lontano tutto ciò.
    Dove siete tutti? pensa. All’improvviso, qualcosa dentro di lei si spezza: sente che non ce la fa più. Inizia a piangere silenziosamente, mentre i lampi ogni tanto illuminano tutto in modo accecante.
    Non si accorge dei passi che si stanno avvicinando a lei, fino a che alza la testa, sorpresa nell’avvertire quel rumore costante. Vede qualcuno, ma i lampi e il buio rendono difficile il riconoscimento.
    “Povera Venusia” dice una voce beffarda “così lontana da casa. Così lontana dalla mamma. Vieni da me, piccola Venusia, che ti darò la pace eterna”
    Lei, stupita, scatta su uscendo subito dal rifugio, incurante della pioggia che torna a battere su di lei. Quello sguardo spietato e quasi folle. Il sogghigno del cacciatore che ha finalmente trovato la sua preda. I capelli neri, lisci e lucenti, che brillano ancora di più ora che sono bagnati. E’ lei.
    “Isparana?” dice Venusia sorpresa.
    L’amazzone estrae le due spade che luccicano sotto i lampi, mentre un tuono più forte degli altri rimbomba echeggiando lungo la strada vuota.

    Una voce proveniente dall’intercom fa sobbalzare i piloti riuniti che avevano appena finito di sentire il racconto di Actarus. Una delle piloti della Cosmo Special, Keiko, ha aperto il contatto.
    “Sire, sta arrivando qui una flotta di astronavi. Però sembra che non vogliano attaccarci. L’astronave ammiraglia ha chiesto il permesso di attraccare”
    “Chi sono?” chiede Actarus.
    “Dicono di essere un popolo che ha deciso di ribellarsi all’Ombra e di allearsi con noi”
    Strano, così all’improvviso. Una trappola? si chiede Actarus. E, guardandosi attorno, nota la stessa perplessità sul volto degli altri piloti.
    “Keiko, dì loro che mandino qui i loro rappresentanti. Solo un’astronave può avvicinarsi. Puntate i cannoni, per sicurezza”
    “Ricevuto”
    “Può essere un inganno o no. Ad ogni modo, stiamo all’erta” conclude Actarus “Ci stiamo avvicinando al pianeta del prossimo Generale dell’Oscurità: massima vigilanza!”
    Gli altri annuiscono. Meglio non sottovalutare nulla.
    Dopo circa una decina di minuti, si sente un rumore di passi: le porte della sala si aprono ed entra Keiko, col fucile laser in mano, che accompagna due uomini che portano una corazza sul petto, coperta da una veste con l’immagine stilizzata di una testa dorata di leone. Portano dei mantelli blu e una spada al fianco. Inchinandosi leggermente in segno di saluto, il primo, coi capelli biondi e lo sguardo ferino, si presenta:
    “Sono il Capitano Maltholm dell’Armata del Leone d’Oro, prima divisione.”
    Così pure il secondo, dai capelli castani, baffi curati e una benda sull’occhio:
    “Io sono il Capitano Kraus della stessa armata, seconda divisione. Siamo gli araldi di Sua Maestà”
    “Vi do il benvenuto a bordo della Cosmo Special. Chi è il vostro re?”
    “Sta arrivando in questo momento, sire” risponde Maltholm.
    Al suo arrivo, i piloti si alzano quasi tutti dalla sedia per lo stupore. E’ una donna dai capelli bianchi, con una veste riccamente decorata e uno sguardo fiero e determinato. I suoi lineamenti sono armoniosi e perfetti, in una fredda bellezza. Hiroshi e Miwa non credono ai loro occhi. E’ venuta davvero.
    “Sono la regina Shizuri di Niffelheim. Ti saluto, re di Fleed.”

    Nel frattempo, Maria, seduta accanto al letto di Koji, si sta sforzando di contattarlo mentalmente. Il pilota è in uno stato di coma profondo: serrando la sua mano e chiudendo gli occhi, Maria fa entrare il suo spirito in un’altra dimensione, la mente di Koji. Si guarda intorno, confusa: attorno a lei tutto è buio e cupo. Poi vede all’improvviso delle immagini di Koji: è entrata nei ricordi del pilota.
    Dio mio, pensa Maria, quanto somiglia ad Alcor! Anche la pettinatura, l’atteggiamento…ogni cosa! All’improvviso, si è accorta di essere arrossita. Che sto combinando? Devo concentrarmi…non distrarti, maledizione! O Koji non tornerà mai più come prima!
    La proiezione astrale di Maria penetra più profondamente fino ad arrivare nel cuore dei ricordi di Koji, ristrutturando a poco a poco le funzioni mentali del ragazzo. All’improvviso, Maria vede un’esplosione terribile e Koji da bambino che scappa da una casa in fiamme, con un neonato in braccio. Il bimbo avrebbe voluto restare in quella casa, dove c’erano i suoi genitori, ma sua madre era stata categorica:
    “Koji, prendi tuo fratello Shiro e scappa via da qui! Subito!”
    Il bimbo aveva mille domande, ma il tono della madre non ammetteva discussioni: con in braccio suo fratello, nato da poco, che piangeva, era scappato saltando dalla finestra e, correndo, si era allontanato dalla casa, mentre sentiva dei rumori di mitragliatrici e delle grida. Poco dopo, la casa esplodeva in una rosa di fiamme. Si era nascosto tra le rocce, mettendo una mano sulla bocca del neonato perché tacesse. Delle persone andavano avanti e indietro, con degli strani elmi a forma di teschio e due corna. Illuminati dalle fiamme, sembravano demoni infernali. Il cuore di Koji batté forte, quando vide un mostro metà uomo e metà tigre che urlava agli altri colpendoli duramente con un frustino.
    Maria è sconvolta: non pensava che la vita di Koji fosse iniziata in un modo così drammatico. Quasi non ci sono ricordi prima di quest’evento. Istintivamente, sente di riconoscere quelle persone: in un certo modo, la coscienza di Koji le sta spiegando ogni cosa. Quelle persone erano gli uomini di Mikene, guidati dallo spietato Duca Gorgon, il mostro metà uomo e metà tigre. Non erano ancora pronti per l’invasione della Terra e dovevano agire in segreto. Il padre di Koji, il Dottor Kenzo Kabuto, era riuscito a scoprire la loro esistenza ed era diventato un pericolo per Mikene. Un commando guidato dal Duca Gorgon fece la strage, uccidendo non solo i genitori di Koji e Shiro, ma anche tutti i loro parenti e conoscenti. Lo sterminio doveva essere totale. Gorgon guardò la casa che stava bruciando, insoddisfatto. All’appello, mancavano i due figli di Kabuto da eliminare. Non solo: anche il vecchio Yuzo Kabuto, il nonno di Koji, non era ancora stato trovato. Il piccolo Koji si era nascosto bene, perché conosceva quel posto dietro casa: ci aveva giocato tante volte e sapeva come nascondersi. Rannicchiato nel buco che aveva fatto una volta per gioco, e che aveva coperto con frasche, sudava freddo, impaurito e spaventato, continuando a tenere una mano sulla bocca del piccolo Shiro.
    “Allora?” chiese furioso il Duca Gorgon.
    “Nulla, signore. Credo che i figli di Kabuto siano morti nella casa” replicò uno dei suoi uomini.
    Gorgon non ne era convinto. Era un cacciatore, e aveva un istinto che lo legava in qualche modo alla sua preda. I due marmocchi erano vivi, lo sentiva. Ma non c’era più tempo. Dovevano tornare dal Ministro Argos e fare rapporto: se fossero rimasti troppo a lungo lì, accanto ad una casa che bruciava, sarebbero stati scoperti da qualcuno. Bisognava andare. Stizzito, Gorgon lanciò una frustata sul terreno.
    Due stupidi marmocchi e un vecchio scemo, pensò. Non valgono nulla. Inoltre, se si interessassero di nuovo agli affari di Mikene, sarà facile scoprirli ed eliminarli. Gorgon sorrise feroce. Sì, dopotutto non c’è nulla da preoccuparsi. Urlò ai suoi sottoposti:
    “Torniamo alla base, cani! Qui abbiamo finito!”
    Veloci come erano venuti, scomparvero. Ma passarono molte ore prima che Koji riuscisse a trovare il coraggio di uscire dal buco.
    Quando alla fine si decise, vide i ruderi di quello che una volta era la sua casa: stavano bruciando ancora, anche se gran parte di essa era ormai spenta ed annerita. Koji si accorse che stava piangendo. La sua casa. Aveva giocato, era cresciuto lì. I suoi giocattoli. Il modellino di Astroganga. L’autografo del suo eroe, il pilota Hayabusa. Tutto in cenere.
    Ma la mamma e il papà, dove sono? si chiese Koji. Era così piccolo ce non riusciva a concepire la morte dei suoi genitori. Si sedette su una pietra con Shiro in braccio, aspettando paziente. Prima o poi la mamma tornerà e la porterà dal papà. Smise di piangere ed attese fiducioso.
    Dopo non sa quanto tempo – ormai si era fatta sera – Koji vide una macchina che si fermò stridendo. Scese da lì un vecchio coi baffi e un uomo grosso e corpulento. Koji riconobbe subito l’anziano.
    “Nonno! Nonno! Dov’è la mamma? E il papà?” chiese il bambino.
    Yuzo Kabuto si avvicinò al nipote Koji, abbracciandolo triste. Lo guardò: era tutto sporco e pieno di fango.
    Quei mostri di Mikene sono arrivati troppo presto…speravo di avere un po’ più di tempo, pensò.
    “Aspettami qui, Koji. Vado a vedere. Torno subito” si voltò verso l’uomo grosso - il suo assistente - dicendogli:
    “Nishi, stagli vicino”
    “Va bene, professore”
    Era necessario vivere in una casa isolata, lontano dalla città, per fare i test e non farsi scoprire. Purtroppo non era bastato, rifletté Yuzo. Ed ora ho perso anche mio figlio Kenzo…
    Il vecchio entrò nella casa semidistrutta e coperta di fumo. L’estintore che aveva in mano e la maschera antigas che si era messo riuscirono ad avere ragione del fuoco e del fumo. Purtroppo per la moglie di Kenzo non c’era più nulla da fare: era rimasta carbonizzata.
    Non abbiamo mai avuto dei buoni rapporti, Tsubasa…pensò cupo il professore, ma non doveva finire così. Mi dispiace.
    Poi il vecchio Yuzo sussultò. Aveva sentito un gemito. Si voltò di scatto: vide a terra una botola del pavimento, dove si vedevano delle tracce di sangue. Aprì con ansia lo sportello: suo figlio Kenzo era lì. Anche se gli avevano sparato, in qualche modo era sopravvissuto: fintosi morto, si era trascinato nella botola, strisciando lungo il pavimento e lasciando una scia di sangue. In questo modo era sopravvissuto al fuoco. Sua moglie Tsubasa non era stata così fortunata: era morta sul colpo. Yuzo scese con cautela nella cantina, tirando fuori la maschera antigas di riserva che aveva portato con sé e premendola con forza sul volto del figlio. Il suo corpo era pieno di ferite e ustioni, e poteva morire da un momento all’altro. Yuzo tirò fuori il telefonino e chiamò Nishi. L’assistente e l’anziano Kabuto portarono con cautela il padre di Koji fuori dalla casa, in un altro punto perché il figlio non lo vedesse. Mentre il nonno tornava dal nipote per attirare la sua attenzione, il gigantesco Nishi portò con delicatezza il moribondo in macchina e partì subito seguendo le indicazioni dell’anziano professore.
    “Nonno, la tua macchina si allontana!” disse Koji.
    “Non preoccuparti, avevo detto a Nishi di chiamare degli aiuti. Arriveranno tra un po’. Aspettiamoli qui”
    “Hai visto la mamma e il papà?” chiese Koji.
    Ci fu un silenzio imbarazzato. Poi il vecchio mise una mano sulla spalla di Koji e disse:
    “Credo che…per un po’ non li vedrai, Koji. E’ meglio se tu e Shiro venite ad abitare da me per un po’ di tempo”
    In qualche modo, Koji capì che non avrebbe mai più rivisto i suoi genitori. La notte che era già scesa da tempo sembrò all’improvviso spaventosamente buia. Rifiutò di crederci: si mise a piangere senza ritegno, svegliando Shiro che si mise a piangere anche lui. Le parole del vecchio furono inutili e non fermarono quel fiume in piena.
    Maria prova una gran pena nel vedere tutto questo. Poi si accorge che i ricordi si fanno più rapidi e veloci. Il corpo di Koji nel mondo reale sta cominciando a riprendersi. Vede come in un trailer tante immagini della storia successiva di Koji: lui che cresce insieme a Shiro in una casa di campagna, con la tata Rumy, mentre il nonno era lontano a lavorare. A loro insaputa, era riuscito a salvare la vita al figlio Kenzo – loro padre – che diventò un cyborg, talmente modificato nell’aspetto fisico (a parte il volto, che era rimasto inalterato, insieme però ad una vistosa cicatrice sulla fronte) che preferì non dire nulla ai suoi figli. Non voleva che rischiassero la vita. In seguito, Kenzo avrebbe costruito la Fortezza della Scienza e il Grande Mazinga come baluardo contro Mikene, che stava per risvegliarsi dal suo lungo sonno.
    Ma il problema non era solo Mikene: un uomo intelligente e malvagio stava già cominciando ad usare la tecnologia di Mikene per i suoi scopi ed avrebbe attaccato assai prima di loro. Il suo nome era stato dimenticato da tempo: forse Yuzo Kabuto lo sapeva, ma portò questa conoscenza con sé nella tomba. Quest’uomo odiava l’umanità e desiderava soggiogarla e far provare l’inferno su di essa: per questo prese quel nome così altisonante, Dottor Inferno, o Dottor Hell. Tutto questo Yuzo lo sapeva. Aveva conosciuto da giovane il Dottor Hell ed era riuscito a conoscere i suoi piani. In accordo col suo assistente, il Professor Yumi, costruì Mazinga Z e passò i dati della sua costruzione al figlio Kenzo, che li usò per fare una versione potenziata del robot, il Grande Mazinga.
    Quanti collegamenti ci sono nel passato di Koji, riflette Maria, che fa fatica a seguire tutti questi dati che le scorrono velocemente davanti agli occhi.
    Intanto, nella casa di campagna di Yuzo, la tata Rumy faceva un po’ da mamma a Koji e Shiro: Maria ha un brivido nel vederla uccisa in un attimo dal Barone Ashura e dalle Maschere di Ferro del Dottor Hell, che stavano cercando Yuzo per ucciderlo: e ci riuscirono. Ancora pianti e dolore per Koji e Shiro, che però videro per la prima volta un gigantesco essere di metallo che il nonno aveva mostrato loro prima di morire: Mazinga Z. Fu un momento indimenticabile per Koji: da allora la sua vita non fu più la stessa. Combattimenti innumerevoli contro i mostri del Dottor Hell. Sayaka la capricciosa e il suo robot Afrodite A. Il professor Yumi. La malvagità di Ashura e gli attacchi subdoli del Conte Blocken. La base volante Gool. Gli aiuti preziosi del buffo Borot di Boss, il suo rivale e migliore amico. L’attacco finale all’isola di Bados e la sconfitta di Hell.
    La vittoria fu però di breve durata: Mikene alla fine si era svegliato, e il primo scontro fu terribile. Mazinga Z fu quasi distrutto e Koji non fu mai così vicino alla morte come allora. Ma intervenne il Grande Mazinga di Tetsuya. Koji ormai era fin troppo provato dagli scontri e Mazinga Z doveva essere ricostruito. L’avrebbero rifatto con lo stesso materiale e la stessa potenza del Grande Mazinga, così un giorno sarebbe tornato utile contro Mikene. Nel frattempo, Koji e Sayaka erano andati in America, ufficialmente per lo studio dell’energia fotoatomica, in realtà per riposarsi e ritemprarsi dalle terribili fatiche della guerra contro Hell. Si conobbero sempre meglio e alla fine decisero di sposarsi. Ma la guerra contro Mikene stava diventando sempre più disperata: persino il redivivo Dottor Hell si era messo dalla loro parte. Sayaka e Koji tornarono di corsa in Giappone per l’attacco definitivo contro Mikene: ma lo scontro fu ancora più traumatico di quello che pensarono. Koji scoprì che suo padre era ancora vivo e non glie l’aveva mai detto. E pochi giorni dopo era morto in un attacco kamikaze per salvare Tetsuya. Ormai Mikene era allo stremo: i due Mazinga, con Boss, Dianan e Venus Alfa sconfissero i Sette Generali e tutti i capi di Mikene, uccidendo definitivamente il Dottor Hell. Il trauma di questo avvenimento fu così forte che Koji dovette ritirarsi a vita privata per molto tempo, dopo il matrimonio con Sayaka, facendo l’insegnante di fisica atomica. Mazinga Z fu una grande esperienza per Koji, ma legata anche a dolori profondi. Nonostante questo, lui era sempre pronto ad usarlo di nuovo, se necessario: e con il pericolo dell’Ombra, Koji e Sayaka erano partiti senza indugio quando avevano ricevuto la chiamata del Professor Procton. E questo non era dovuto solo all’altruismo: Procton e Actarus non li conoscevano. Era dovuto anche ad altro. Il Professor Yumi aveva già notato nei giorni passati alcuni inquietanti segnali: il flusso dell’energia solare sulla Terra, la corrente di raggi cosmici e radiazioni varie che attraversano l’universo e altre fonti di energia stavano iniziando a diminuire da quando era comparsa vicino al sistema solare di Fleed una strana “ombra” che stava attirando a sé tutte queste energie, come uno spaventoso buco nero. Inoltre, sette stelle, che di solito erano nelle loro orbite normali, stavano uscendo dalle loro posizioni per allinearsi. Una cosa mai accaduta prima. Yumi ne aveva parlato coi suoi colleghi ala Fortezza della Scienza, col Professor Dairi, il professor Saotome e molti altri. La notizia di Procton, che parlava proprio delle sette stelle e della “zona d’ombra” attorno a Fleed, ebbe l’effetto di una bomba per loro. Quello che temevano era vero. Per questo erano partiti tutti in fretta, avvisando anche per vie particolari la villa segreta di Haran Banjo.
    Ad un certo punto, Maria si è accorta che ha aperto gli occhi ed è tornata nel suo corpo; inoltre, il suo sguardo incontra quello incerto e stupito di Koji, che è tornato in sé. Imbarazzati entrambi, si accorgono che le loro mani sono intrecciate e le separano subito.
    “Ehm…stai bene?” chiede lei, arrossita.
    “Bè, sì…credo di sì” risponde Koji, che si sente come se avesse fatto un lungo sonno. Ad un certo punto, osserva preoccupato le sue gambe, coperte dal lenzuolo, e dice:
    “Le gambe…non le sento…”
    “Credo che sia un effetto collaterale. Vedrai che passerà…”
    Ad un certo punto, Maria sente un bip di richiamo: afferra il cellulare e risponde:
    “Pronto? Ah, Alcor, cosa c’è? Bè, sì, Koji sta bene…abbastanza. No, non può guidare Mazinga adesso. Che è successo?”
    “Ci sono dei problemi…” dice Alcor “Shizuri è venuta qui e ci ha detto diverse cose…Maria, Mazinga deve partire subito!”

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    Edited by joe 7 - 18/5/2016, 15:07
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