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  1. FANFICTION LA GRANDE OMBRA - 73

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    Grande Ombra fanfic
    By joe 7 il 4 June 2016
     
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    FANFICTION GOLDRAKE: LA GRANDE OMBRA 73
    GARUDA E MYRAIN: IL LORO PRIMO INCONTRO

    Se volete seguire la storia sul blog, la prima puntata è qui
    Invece, se la volete seguire sul forum, la prima puntata è qui

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    RIASSUNTO: Actarus e Venusia si sono sposati e sono andati a vivere su Fleed come re e regina. Rex, il loro figlio appena nato, è stato rapito dall’Oscuro, che lo sacrificherà a Darkhold, il suo pianeta-castello, quando sette stelle saranno allineate tra due giorni circa. Actarus, insieme coi suoi amici, parte con Goldrake sull’astronave Cosmo Special, affrontando i Generali dell’Oscurità, per prendere i cristalli che possono sconfiggere l’Oscuro. Il Grande Mazinga e Garuda, l’ultimo generale dell’Oscurità, si sono scontrati brevemente, con la vittoria dell’avversario. Tetsuya cerca di riprendersi, promettendo vendetta. Intanto Venusia, a Darkhold, insieme alle Amazzoni sue compagne e a Kosaka Shigure, la maestra di spada, parte verso la roccaforte di Bedlam, dove si trova prigioniero suo figlio.

    La piccola elfa Ney corre con destrezza tra le stanghe della stalla delle diatrymas, scegliendo gli animali migliori e più veloci. Portandole con sé per le redini, le porta alle amazzoni e a Shigure. Avvicinandosi poi a Venusia, le dice:
    “Ecco Kui, ti ricordi? Ti ha riconosciuta subito!”
    Infatti, la diatryma sfrega il suo gigantesco muso a becco sulla spalla di Venusia, accarezzandola con tenerezza.
    “E’ raro che le diatryma mostrino così tanto affetto ad una persona. Come fai?” chiede Ney, sorpresa.
    “Le voglio bene, tutto qui” replica Venusia. “Facevo così anche coi cavalli di casa mia.”
    “Cavalli? Cosa sono?” chiede Ney.
    “Un giorno te li farò vedere.” risponde lei, afferrando una borsa e stringendo su di sé la cintura che sorregge la spada. Infila un piede sulla staffa e sale sull’animale, allungando la mano a Ney per tirarla su. L’elfa si siede sulla sella, davanti a Venusia.
    “Stai comoda?” chiede lei.
    “Certo.”
    “Bene. Non ti muovere più da qui. D’ora in avanti, andremo insieme a Bedlam.”
    Venusia inizia a muovere le briglie, quando una voce la ferma:
    “Un momento!” esclama Shigure “Sonja, Valeria, datemi le vostre spade.”
    Perplesse, le due amazzoni obbediscono. Appena le ha avute in mano, Shigure le getta a terra.
    “Cosa fai?” dicono entrambe, sconcertate.
    “Gli avversari che affronterete saranno molto forti. Queste spade non vi serviranno a nulla.”
    “Sei stata tu a spezzare quelle che avevamo, te lo sei dimenticata?” sbotta Valeria.
    “Lo so” risponde lei, muovendo le mani come se afferrasse l’aria e, all’improvviso, estrae dal nulla due spade brillanti ed elaborate. Passa la prima a Valeria.
    “Questa è Dharma, una delle dodici spade owazamono che ho recuperato. E questa” aggiunge, consegnando la seconda spada a Sonja “è Dragonfang - Zanna di drago. I vostri avversari hanno anche loro spade simili. Ora siete alla pari.”
    “I Lupi Neri hanno queste armi?” chiede Sonja.
    “No: di solito, uccidono con stiletti o spade corte. Sto parlando degli Artigli Neri, l’Elite della loro armata.”
    Le due amazzoni estraggono le loro spade nuove e rimangono stupefatte per la loro fattura e perfezione: hanno un bilanciamento perfetto e un filo perfetto, capace di tagliare il fiocco di lana.
    “Ma da dove le hai tirate fuori? Sei capace di creare le spade?” chiede Sonja, stupefatta.
    “Niente del genere. Posso collegarmi ad una dimensione diversa dalla nostra, dove deposito le mie armi. Non le posso estrarre in combattimento, però.”
    Sonja muove nell’aria la spada, ammirandola: “Che capolavoro! E’ degna della mia stirpe…”
    “Lo so” replica Shigure “Conosco di fama la famiglia Tomoe.”
    Sonja rimane sorpresa. Non pensava che Shigure conoscesse le sue origini.
    Valeria rinfodera la spada in silenzio. Le sue origini sono assai diverse: se non avesse incontrato le Amazzoni, sarebbe già morta da tempo. Valeria, la donna del popolo misero, e Sonja, la donna di origini nobili: stranamente, o forse proprio per questo, erano diventate amiche per la pelle, tanto da essere chiamate “le due lame”.
    “Sarò davanti a voi e vi aprirò la strada” dice Shigure al capitano Jocasta.
    “Bene” conclude lei “Amazzoni, estraete le spade!” dice Jocasta, alzando il suo pugnale. All’unisono, tutte quante, tranne Shigure, le alzano al cielo: è il rito che fanno prima della battaglia. Venusia non lo conosce, ma estrae la spada anche lei.
    “Sono pronte le spade delle guerriere?” inizia Jocasta.
    “Sono pronte!” gridano tutte, mentre Venusia resta in silenzio, non conoscendo le parole.
    “Combatterete fino all’ultimo sangue contro i nostri nemici?”
    “Sì!”
    “Avanzerete senza mai indietreggiare?”
    “Sì!”
    “Così sia. Faremo a pezzi tutti i nostri nemici. Bedlam cadrà. Avanti!”
    “YACHIMAE!”
    Dopo aver rinfoderato le spade, Shigure esce per prima dall’edificio, a cavallo della diatryma, seguita dalle sei amazzoni.

    Poco distante, le altre comandanti delle Amazzoni, che erano uscite dalle loro rispettive basi, osservano le persone che escono dal loro quartier generale, a cavallo delle loro diatrymas. Calypso, la comandante della prima divisione, osserva preoccupata la scena col binocolo.
    “E’…è davvero Shigure! L’ho vista solo una volta, ma una come lei non si dimentica!”
    “Brutta faccenda. Dovremo colpire il più duramente possibile.” commenta Selina, la comandante della seconda divisione.
    “Anche Jocasta è con loro! Lo sapevo che era una sporca traditrice! La nostra signora Jezabel avrebbe dovuto ammazzarla subito!” dice rabbiosa Haydee, la comandante della quarta divisione.
    “Calmati: adesso la nostra signora non c’è. Risolviamo questa faccenda alla svelta. Tutte le nostre divisioni sono qui riunite insieme: siamo quasi un migliaio. Le schiacceremo, anche se c’è Shigure” conclude Amora, la comandante della quinta divisione.

    Il Grande Mazinga continua a volare attorno al vulcano Totentzin. In mezzo a quell’inferno di lava fumante, da qualche parte, devono esserci Jun e Lisa, pensa Tetsuya. Quell’idiota luccicante lo sistemerò dopo. Ma le ricerche non danno nessun esito. Anche le chiamate radio sono senza risposta. Dove diavolo sono finite? pensa preoccupato.
    “Jun, Jun, rispondi! Sono Tetsuya! Dì qualcosa!”
    I minuti passano, con sempre maggior angoscia. Perché Jun non risponde? Cosa può esserle successo? Il robot atterra su una radura del bosco, abbastanza distante dal vulcano. Ormai Mazinga si è completamente raffreddato: il suo sistema di refrigerazione ha convertito il calore in energia. Ma a Tetsuya questo non importa. Programma il sistema radar incorporato: se Venus Alfa è nelle vicinanze, sarà possibile individuarla grazie alla sua struttura di metallo. Mentre controlla i comandi di ricerca, sente un bussare insistente fuori dalla calotta del Brain Condor. Alzando gli occhi, si trova davanti con gran sorpresa il volto di Lisa Vold, la ragazza lupo. Tetsuya alza subito il vetro e Lisa salta dentro abbracciandolo.
    Bravo, hombre! Sapevo che ce l’avresti fatta ad uscire dal vulcano, Tetsuya!”
    “Lisa…” replica Tetsuya, quasi soffocato “…come diavolo hai fatto a venire fin qui? Sei salita da sola su Mazinga? Sono più di trenta metri!”
    La ragazza sogghigna.
    “Salire sui vostri robot è fin troppo facile. Ti stavo seguendo da un pezzo, Tetsy: quando nei atterrato, ne ho approfittato per salire da te.”
    Tetsy? pensa Tetsuya, sconcertato. “E Jun? Non era con te? Dov’è?”
    “Non lo so, purtroppo, hombre. Vedi, mentre il robot della morosita cadeva a terra dall’astronave, noi due eravamo nella cabina, quando un masso del vulcano aveva colpito il robot in piena faccia e aveva spaccato il vetro. La morosita era rimasta stordita, ma non si era mossa, perché era legata alla sedia: io no, e sono stata risucchiata fuori. Sono riuscita ad atterrare abbastanza bene, poi ho perso i sensi anch’io. Mi ero ripresa da un po’ e ti avevo visto uscire dal cratere. Poi ti ho seguito passando da un albero all’altro, aspettando che tu scendessi. Da allora non ho più visto la morosita. Lo siento mucho, Tetsuya. Mi spiace.”
    “Sono sicuro che Jun ce l’ha fatta in qualche modo” dice lui, incerto “Ti ricordi più o meno il punto dove è caduta Venus Alfa?”
    “Circa in quella direzione, seguro” risponde Lisa indicando un punto vicino al vulcano.
    Il Grande Mazinga si dirige laggiù correndo in fretta, tanto che Tetsuya non pensa nemmeno di doversi rivestire: è ancora in mutande. Per l’ansia di trovare Jun, non aveva ancora pensato di rimettersi la tuta. Alla fine, arriva al punto indicato, cercando con attenzione febbrile. Ad un certo punto, Tetsuya vede una scena che gli fa ghiacciare il sangue nelle vene: in mezzo alla lava, spunta un braccio metallico. Quello di Venus Alfa.

    Garuda percorre i corridoi illuminati del castello di Tintagel, dirigendosi verso la sala del trono. Lo schiaffo di Myrain gli fa ancora male, ma più nello spirito che nel corpo. Non è servito a nulla diventare potente come la Fenice, e sente che sarebbe ugualmente inutile ottenere poteri più grandi. Il muro tra lui e Myrain resta indistruttibile, non importa il fatto che possa conquistare l’universo o sconfiggere l’Oscuro. Il cuore di Myrain resta oltre le sue capacità. Per la prima volta capisce quanto sia terribile l’amore e la libertà della persona: nemmeno il potere assoluto può piegarlo. Garuda, in tutta la sua vita, aveva sempre ritenuto la forza come unica soluzione: ora, per la prima volta, si sente impotente.
    Eppure aveva dovuto usare la forza per sopravvivere. Il dolore e il disprezzo degli altri erano sempre stati suoi compagni sin dall’inizio della sua vita. Allora lui si chiamava Shen Ker ed apparteneva ad una comunità di zingari vagabondi, i “paria dello spazio”. Erano tutti dei reietti che vagavano da un pianeta all’altro, a bordo di astronavi vecchie che spesso si rovinavano e si distruggevano durante il viaggio senza fine. Atterravano su pianeti sconosciuti per avere qualcosa da mangiare, ma non si fermavano mai. I “paria” erano tutti condannati allo sterminio, e per sopravvivere non potevano fermarsi troppo a lungo in un posto. Se fossero stati avvistati, sarebbero stati tutti trucidati sul posto.
    Shen Ker, il futuro Garuda, crebbe praticamente da solo, covando odio e rancore verso i “gadjo”, come i paria chiamavano i loro persecutori. Aveva i capelli neri, ispidi e ribelli, e portava un semplice vestito in pelle, fissato da una cintura ai fianchi, anch’essa di pelle. Ma soprattutto aveva un fisico sviluppato, nonostante gli stenti, ed un’intelligenza fuori dal comune: imparava facilmente le lingue e si interessava alla cultura e alla conoscenza. Il suo carisma era tale che in poco tempo divenne il capo della comunità di paria dove viveva. Il suo braccio destro, Boris, colui che sarebbe diventato il maggiordomo di corte del castello Tintagel, aveva i capelli biondi e un fisico meno robusto: ma il suo sguardo incuteva timore a tutti, tranne che a Shen Ker. Era il miglior amico di Shen, ma covava rancore e invidia per il suo potente compagno.
    Un giorno, per necessità, i paria furono costretti ad atterrare su un pianeta abitato, che allora si chiamava Faerie, e successivamente cambierà nome in Stige, il pianeta capitale dell’impero di Garuda. Per precauzione, atterrarono in un bosco lontano dai centri abitati. Si organizzarono per costruire un accampamento provvisorio, mentre Shen Ker e Boris sarebbero andati a caccia. Mentre tornarono indietro con la preda, si era fatto buio e non riuscirono a trovare la strada del ritorno. Si diressero allora verso un lago che avevano visto prima, per usarlo come punto di riferimento. Sorpresi, notarono una luce e un canto dolcissimo che veniva da laggiù. Osservando nascosti, videro un’elfa dai capelli biondi, molto bella, che faceva il bagno nel lago cantando sotto le stelle. Emetteva una luce attorno a sé ed aveva un’aria misteriosa e magica. Boris, terrorizzato, volle scappare:
    “Andiamo via, Shen! Quella è un demonio venuto per attirarci e portarci all’inferno con lei!”
    “Vai dove ti pare, Boris. Io con lei voglio andare dovunque.”
    Shen Ker si mostrò all’improvviso davanti a lei: la donna rimase sorpresa e con un gesto le comparvero i vestiti addosso, chiedendo:
    “Chi sei? E’ raro vedere uno straniero nella terra degli elfi.”
    “Mi chiamo Shen Ker. Non era mia intenzione spiarti: non sapevo che ci fosse qualcuno nel lago a quest’ora. Potrei sapere il tuo nome?”
    “Sono Myrain, figlia di Legolas, re degli elfi. Il bosco è la nostra casa e il nostro regno.” rispose lei, con una voce così melodiosa che conquistò per sempre Shen Ker.
    Da allora si incontrarono spesso: Myrain cantava per lui e Shen la ascoltava incantato. Parlarono di molte cose, e ciò che fu solo attrazione divenne amore: ma non c’era futuro nel rapporto tra una principessa elfa e un povero paria.
    Un giorno, l’accampamento dei paria fu scoperto e le città del pianeta Faerie iniziarono ad organizzare lo sterminio. Shen Ker se ne accorse in tempo e ordinò ai suoi di prepararsi a partire al più presto. Ma gli dispiaceva di dover abbandonare per sempre Myrain. Andò a salutarla un’ultima volta, e l’elfa fu sinceramente addolorata del fatto che non avrebbe mai più rivisto Shen. Si decise allora a dirgli del segreto degli elfi:
    “Ascoltami, Shen. Potresti respingere le armate che ti assalgono se tu riuscissi ad avere almeno una piuma della Fenice.”
    “L’uccello immortale? Non esiste!”
    “Ti sbagli. Ogni cinquant’anni va lassù, sul vulcano Totentzin” disse lei, indicando un vulcano bianco che si stagliava tra le catene montuose a est. “Per uno strano caso, i cinquant’anni scadono stasera. Se andrai laggiù con una navetta, potrai – forse – prendere la piuma e tornare in tempo: i gadjo non sanno esattamente dove vi trovate: gli ci vorranno almeno due giorni per trovarvi.”
    “Ma perché la Fenice va lì ogni cinquant’anni?”
    “Per morire laggiù e poi risorgere.”
    “Ah…allora è davvero immortale? Ti ringrazio, Myrain, mi sei stata davvero d’aiuto!”
    Shen Ker corse in fretta verso la sua navetta, mentre l’elfa all’improvviso si sentì inquieta. Aveva visto negli occhi di Shen Ker qualcosa che non aveva mai visto prima: una luce cupa che non le piaceva. Era la luce, o meglio, il buio, dell’odio e della vendetta.
    Mentre la navetta volava verso il Totentzin, Shen Ker sogghignò tra sé: Se avrò solo una piuma, avrò un grande potere. Ma se la uccidessi? Potrebbe risorgere in me. Io diventerei la nuova Fenice!
    Dopo essere sceso dalla navetta, si avvicinò cautamente al cratere del vulcano, e la vide. Luminosissima, splendida, con le piume che brillavano di vari colori sempre cangianti. Era la Fenice immortale. Per un attimo, Shen Ker restò ammirato: ma poi, l’ambizione nel suo cuore prese il sopravvento: estrasse il coltello e lo lanciò contro la testa dell’Uccello di fuoco. Ma, inaspettatamente, l’arma mancò il bersaglio e la Fenice alzò maestosamente le ali, iniziando a volare lontano. Ma Shen Ker non voleva lasciarla scappare. Le saltò addosso, afferrandola con una stretta grazie alla quale riusciva a sconfiggere chiunque nella lotta. Anche qui, però, inspiegabilmente, l’Uccello di fuoco gli sfuggì dalle mani. In un ultimo guizzo, prima di cadere, Shen Ker strappò una piuma dall’uccello mitologico. Ormai la Fenice era lontana, ma lui si consolò: almeno aveva ottenuto una delle sue piume dorate. Quest’ultima, in pochi istanti, si ingrandì ed avvolse Shen Ker, che alla fine si trovò ricoperto da un’armatura brillante, tutta del colore dell’oro. Aveva ottenuto una parte del potere della Fenice. Appena lo comprese, Shen Ker si mise a ridere davanti alla lava del vulcano Totentzin: una risata folle e malvagia. In quel momento, Garuda era nato.

    La sua vendetta contro i ‘gadjo’ fu impressionante: basti immaginare il regime hitleriano e i campi di sterminio a livello mondiale. Grazie alla sua potenza, il nome di Garuda fu fonte di terrore in centinaia di mondi: colui che una volta era un oppresso divenne il più feroce degli oppressori. Fondò un impero galattico con a capo il mondo di Faerie, al quale cambiò nome in Stige. Devastò la foresta dove vivevano i paria, obbligando i gadjo, ridotti a schiavi, a costruire al suo posto il gigantesco castello di Tintagel, con un numero enorme di stanze e saloni e al centro l’immensa sala del trono. Boris divenne il braccio destro di Garuda e divenne il Maggiordomo di corte di Tintagel, la più alta carica dopo la sua. La sete di potere di Garuda lo spinse ad ottenere quello che era uno dei posti più ambiti, riservato solo ai grandi re: il posto di Generale dell’Oscurità. Divenne così uno dei Sei Generali, forse il più potente tra loro, comunque di certo il più ambizioso. Infatti, desiderava anche ottenere il posto dell’Oscuro stesso, e per questo aspettava il momento giusto, quando la Fenice sarebbe ritornata nel vulcano Totentzin, dopo cinquant’anni di viaggio nell’universo. Jezabel l’Oscura, il braccio destro dell’Ombra, detestò Garuda sin dall’inizio, perché ne aveva intuito la sua immensa brama di conquista e potere. Ma, inspiegabilmente, l’Oscuro lo accettò tra i Sei; allora Jezabel, per sicurezza, aveva mandato la spia Pentesilea a sorvegliarlo e tenerlo d’occhio a Tintagel. Ma a Garuda tutto questo non importava. La sua sete di conquista gli aveva fatto dimenticare la bella Myrain e i tempi in cui lui era solo un ragazzo innamorato. Tutto questo era solo un ricordo sbiadito, che alla fine ritornò. Infatti, un giorno Garuda aveva sentito parlare degli ‘evocatori’, persone che potevano chiamare esseri potenti e mostruosi provenienti da altre dimensioni: le Bestie dell’Abisso. Ma ormai gli evocatori erano scomparsi tutti, si diceva: ma questo interessava molto Garuda. Se avesse trovato un evocatore, avrebbe avuto qualcosa di più rispetto agli altri Generali: inoltre, avrebbe potuto avere a sua disposizione, senza alcuna fatica, un terribile esercito di mostri al suo servizio. Alla fine trovarono l’evocatore: era una donna, e glie la portarono in catene. Nel vederla, Garuda impallidì. Anche se era cambiata per gli stenti, davanti a lui c’era l’elfa che aveva tanto amato un tempo.
    “My…Myrain…l’evocatrice sei tu?”
    La donna, che era rimasta in piedi, fiera, nonostante gli abiti laceri e la catena ai polsi, annuì in silenzio. Garuda, ammutolito, avvertì per la prima volta, nella sua vita, qualcosa come un senso di colpa. Ordinò a tutti di andarsene dalla sala del trono, e così fecero: solo Boris restò davanti alla porta.
    “Anche tu, Boris. Fuori.” disse duro Garuda.
    Il maggiordomo di corte rimase fermo per un momento, serrando le labbra e fissando per un attimo
    il re e l’elfa: soprattutto l’elfa. Disse soltanto: “Va bene”, ed uscì.
    Alla fine, i due rimasero soli. Garuda non sapeva da dove cominciare. Tolse le catene all’elfa e disse, per la prima volta nella sua vita:
    “Myrain…mi dispiace.”
    “E’ troppo tardi per questo, Shen” rispose lei, chiamandolo col suo antico nome. “Non avrei mai dovuto rivelarti quello che sapevo della Fenice. Dire che sei stato un mostro è ancora poco.”
    “Ma…era l’unico modo per sopravvivere per noi…” ma Garuda sapeva quanto fosse falsa la sua risposta.
    “Non hai fatto distinzione tra colpevoli e innocenti. Hai distrutto e ucciso tutti, senza la minima pietà. Hai anche sottomesso il mio popolo, hai ucciso mio fratello ed ora vuoi usarmi come evocatrice? Sei davvero spregevole.”
    “Tuo…tuo fratello?” balbettò Garuda, incredulo.
    “Sì. I tuoi soldati hanno ucciso il mio fratellino, Orion. Sei soddisfatto di quello che hai ottenuto, mio signore? Ti è piaciuto il potere che adesso hai?”
    Garuda vide lo sguardo duro dell’elfa, carico di disprezzo: cercò di sostenerlo, ma non ci riuscì. Gli venne in mente lo sguardo dolce della Myrain di allora, e capì di aver perso qualcosa di immensamente prezioso per sempre. Lentamente, si voltò e tornò a sedersi sul trono. Si sentì terribilmente stanco.
    “Io…” dopo una lunga pausa, lui continuò: “Io ho bisogno di un’evocatrice. Ora l’ho trovata. D’ora in poi, tu vivrai al castello Tintagel. Avrai vestiti nuovi, delle stanze per te e delle ancelle. Quando avrò bisogno di te per un’evocazione, ti chiamerò. Inoltre, per questi servigi il tuo popolo avrà una certa indipendenza.”
    “Va bene, mio signore” rispose fredda Myrain.
    Garuda chiamò un’ancella che accompagnasse l’elfa nelle sue stanze. Rimasto solo, stette in silenzio per molto tempo nel buio della sala del trono.
    Da allora, Garuda e Myrain si parlarono e si incontrarono solo per lo stretto indispensabile. Veniva chiamata a volte per evocare un mostro dell’abisso, poi ritornava in silenzio nelle sue stanze. Vissero per anni senza praticamente mai parlarsi: ogni timido tentativo di relazione di Garuda incontrava il muro invalicabile di una donna obbediente nelle azioni, ma completamente ribelle e distaccata nell’animo. L’antica allegria in lei era morta: da anni, Myrain non cantava più, mentre Garuda diventava sempre più cupo e solitario. La sua ultima speranza di conquistare l’elfa era uccidere la Fenice ed acquistare il suo potere: insieme alla sconfitta dell’Oscuro, pensava che avrebbe potuto ottenere anche il cuore di Myrain. Aveva studiato per anni il futuro incontro con la Fenice nel Totentzin: le sue tecniche di combattimento e di attacco vinsero l’uccello mitologico, che finì decapitato. In quel momento, Garuda aveva ottenuto il potere assoluto, quello che aveva sempre bramato.

    Adesso, dopo l’ultimo incontro con Myrain, capisce che tutto questo non era servito assolutamente a nulla. Anzi, il muro tra i due sembrava ancora più forte di prima. Si dirige verso la sala del trono a occhi bassi, furioso e disperato nello stesso tempo.
    “Sembri un cane bastonato, Garuda. Alza gli occhi, almeno.” dice all’improvviso una voce arrogante davanti a lui. Sorpreso, alza lo sguardo di scatto, osservando incredulo Jezabel che lo stava aspettando in piedi, davanti al trono. Attorno a lei, l’aria crepita di energia e gli altri sono lontani da lei, tutti terrorizzati. La donna aggiunge con durezza:
    “Sei diventato un fastidio per l’Oscuro, scarafaggio. Hai osato troppo, prendendo il potere della Fenice. Garuda, oggi io ti ucciderò.”

    Continua qui.


    Edited by joe 7 - 6/6/2016, 15:24
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