Il blog di Joe7

  1. DIVINA COMMEDIA DI NAGAI E DI DANTE: PARADISO, CANTO 18 (seconda parte)

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    Divina Commedia
    By joe 7 il 13 April 2024
     
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    PARADISO CANTO 18 - QUINTO CIELO DI MARTE: SPIRITI COMBATTENTI PER LA FEDE - PASSAGGIO AL SESTO CIELO DI GIOVE: SPIRITI GIUSTI (seconda parte)
    (primo post: qui; precedente post: qui)

    SAN-GIORGIO
    Curiosamente, tra gli spiriti combattenti manca San Giorgio. Veneratissimo, è patrono dell'Inghilterra e di altri Paesi.


    Siamo sempre al Quinto Cielo di Marte: Cacciaguida continua la presentazione degli Spiriti Combattenti. Prima aveva presentato Giosuè, Giuda Maccabeo, Carlo Magno e Orlando. Ora abbiamo la presentazione degli Spiriti Combattenti successivi.

    GUGLIELMO D'ORANGE E RENOARDO: LA COPPIA EROICA

    GUGLIELMO-D-ORANGE
    Guglielmo d'Orange: per rendere il personaggio, ho preso un'immagine dell'anime King Arthur.


    Dante così li presenta, tutti insieme, in una sola terzina:

    Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo (Poi Guglielmo d'Orange e Rinoardo)
    e ‘l duca Gottifredi la mia vista (e Goffredo di Buglione attrassero la mia vista)
    per quella croce, e Ruberto Guiscardo (lungo quella croce, e così Roberto il Guiscardo.)

    Guglielmo d'Orange era chiamato anche Guglielmo d'Aquitania o Guglielmo Fortebraccio. Era un Duca e membro della famiglia reale; fu anche consigliere di Carlo Magno e un valoroso uomo d'arme. Combattè contro i Baschi Vasconi risiedenti a Navarra (Spagna), alleati dei Mori (tra l'altro, la Navarra confina proprio col famoso passaggio di Roncisvalle, dove morì Orlando). Respinse anche i Saraceni, guidati dall'Emiro di Cordova (Spagna) Hisham I, che voleva fare la Guerra Santa contro il resto dell'Europa. La battaglia avvenne nel 793 al fiume di Orbieu (Carcassonne), nel sud della Francia, cioè nella regione dell'Aquitania. Partecipò anche alla conquista di Barcellona, che fu strappata ai Mori.

    Divenne marchese della Marca di Spagna, istituita da Carlomagno: si trattava del territorio spagnolo tolto ai musulmani (era composta dal nordest (Navarra) e dal sudest (Barcellona) della Spagna, nelle aree quindi vicine ai Pirenei). Per proteggersi dalle incursioni dei Mori circostanti, lungo tutta la Marca furono istituite delle guarnigioni militari: si trovavano a Barcellona, Gerona, Lleida. A Gerona, in particolare, Guglielmo d'Orange fondò un monastero, dove, negli ultimi anni di vita, si ritirò vivendo da frate e facendo penitenza. Morì laggiù nell'812, ed era da tutti già venerato come santo. Intorno alla figura di Guglielmo d'Orange nacque un ciclo di canzoni sulle sue imprese (le famose chanson de geste francesi, come la Chanson de Roland). Questo ciclo di canzoni fu chiamato "Ciclo di Orange" ed ebbe molta fortuna nel Medioevo, specialmente in Italia. Adesso è praticamente dimenticato.

    RENOARDO

    BENKEI
    Il gigantesco e fortissimo Renoardo, ex-musulmano e fedele amico di Guglielmo d'Orange. Il personaggio di Benkei che presento qui, che era l'enorme monaco al servizio del suo amico, il samurai Minamoto, rende l'idea di Renoardo. Secondo la leggenda, Benkei morì combattendo, ma rimanendo in piedi anche da morto.


    Renoardo non è un personaggio storico, o meglio, la sua esistenza non è storicamente provata. E' uno dei protagonisti del "Ciclo d'Orange": era un saraceno di umili origini, che faceva lo sguattero. Il suo nome completo infatti era "Rainouart au tinel", cioè "Renoardo dal tinello". Era dotato di una forza smisurata, e la sua arma era una clava. Convertito al cristianesimo da Guglielmo d'Orange, divenne il suo fido compagno d'arme, sul modello del legame esistente fra Carlo Magno e il paladino Orlando. È uno dei principali personaggi del Ciclo d'Orange e anche lui finisce i suoi giorni come monaco in penitenza, come il suo signore.

    GOFFREDO DI BUGLIONE, IL DIFENSORE DI GERUSALEMME

    GOFFREDO-DI-BUGLIONE
    Goffredo di Buglione è nominato capo della conquista e difesa di Gerusalemme. La sua forza era leggendaria: con un solo colpo della sua spada, tagliò la testa ad un enorme cammello.


    Goffredo di Buglione (1060-1100) è stato un cavaliere franco e uno dei comandanti della Prima Crociata. Torquato Tasso ne fece il protagonista della sua Gerusalemme liberata. Nacque a Baisy, in Francia, e la sua carica fu quella di Duca di Lorena. Per le spese della spedizione della Crociata non esitò a vendere i suoi castelli di Stenay e Bouillon, che era la sua residenza preferita. La spedizione era composta da 12.000 uomini. Goffredo di Buglione mostrò eccezionali doti militari: conquistò la città di Antiochia, che era una poderosa roccaforte turca. Gerusalemme, che era in mano ai cristiani ai tempi di Costantino, fu prima conquistata dai Persiani nel 614, ai tempi della caduta dell'Impero Romano. Dopo solo vent'anni, nel 638, cadde in mano ai musulmani. L'Imam al-Ḥākim, che comandava a Gerusalemme, oltre ad opprimere duramente i cristiani come si era sempre fatto nei secoli precedenti di dominazione musulmana nella città, distrusse anche numerose chiese, fra le quali persino la basilica del Santo Sepolcro, dove fu sepolto Gesù e dove avvenne la Resurrezione. Il fatto suscitò un grande sdegno in Occidente. Goffredo di Buglione mise sotto assedio Gerusalemme per lungo tempo: alla fine, i Crociati liberarono la città nel 1099. Goffredo divenne il primo sovrano del nuovo Stato crociato, chiamato Regno di Gerusalemme. Rifiutò tuttavia il titolo di re, perché il vero Re di Gerusalemme è Cristo. Quindi si fece chiamare Difensore del Santo Sepolcro (dal latino Advocatus Sancti Sepulchri). Rimase a Gerusalemme dopo la conquista della città e ne organizzò la difesa contro i musulmani. Morì in Terrasanta nel 1100 e suo fratello Baldovino fu il successore.

    ROBERTO IL GUISCARDO, DIFENSORE DEL PAPA E DELLA CHIESA

    ROBERTO-IL-GUISCARDO
    Con Roberto il Guiscardo si conclude l'elenco degli Spiriti Combattenti per la Fede.


    Roberto il Guiscardo (cioè "l'astuto"), o Roberto d'Altavilla (1015-1085), fu un condottiero normanno. Divenne duca di Puglia e Calabria nel 1059. Combattè contro i Longobardi e pose fine al dominio bizantino nell'Italia meridionale, che minacciava la Chiesa. Infatti, i bizantini seguivano la religione ortodossa, nata dopo lo Scisma d'Oriente del 1054. Combattè contro i Saraceni in Sicilia, ponendo fine al loro dominio sull'isola. Combattè in particolare contro l'imperatore tedesco Enrico IV, che stava conquistando Roma, dopo la sua famosa (e finta) umiliazione a Canossa dal Papa, per riavere la sua autorità imperiale.

    CANOSSA
    Il falso pentimento dell'imperatore Enrico IV a Canossa.


    Una volta che fu perdonato, Enrico IV attaccò appunto Roma e il Papa dovette rifugiarsi nella roccaforte di Castel Sant'Angelo a Roma per non finire ucciso nel massacro. Il Guiscardo respinse Enrico IV,, ma le sue stesse truppe, non controllate, saccheggiarono Roma dopo il saccheggio di Enrico IV. Dopo altre battaglie, morì e fu sepolto a Venosa, in Basilicata, con la scritta "Qui giace il Guiscardo, terrore del mondo".

    IL DANTE DI NAGAI

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    Dante e Cacciaguida secondo Nagai.


    Riguardo a quello che accade nel Cielo di Marte, di cui abbiamo appena finito l'analisi, nel manga di Nagai Cacciaguida non presenta le anime dei combattenti della fede a Dante. Ecco i dialoghi:
    Dante: Oh! Ma tu sei...
    Cacciaguida: Dante! Io sono Cacciaguida, il padre del tuo bisnonno.
    Dante: Cacciaguida! Il valoroso martire del quale ho sempre sentito parlare fin da bambino! Tu forse puoi rispondere a questa domanda: la strada che ho intrapreso con la mia vita, con le mie battaglie...è quella giusta?
    Cacciaguida: Dante, figliolo, purtroppo tu sarai costretto a vivere in esilio! Ma non devi perderti d'animo! Devi seguire il mio esempio, sforzandoti di percorrere la strada della fede! Tu, Dante, riferirai al mondo tutto ciò che hai veduto finora! Sono certo che ora sai! Ora capisci cosa significhi vivere rettamente! La tua poesia immortale, i tuoi versi divini diffonderanno per sempre questo messaggio!
    Beatrice: Guarda! Gli angeli che popolano il cielo di Marte si sono radunati e stanno cantando e danzando! E' la loro benedizione per il proseguimento del tuo viaggio!


    Nel canto originale non ci sono schiere di angeli danzanti che benedicono il viaggio di Dante. Anzi, finora, a danzare sono solo le anime dei Beati. Dante, nel poema, non dice che lui aveva sentito parlare delle gesta di Cacciaguida sin da bambino: anzi, sembra che lui non sapesse niente del suo avo. Dante, sempre nel poema, non chiede a Cacciaguida se la sua strada è giusta (che senso ha chiederlo, visto che adesso è in Paradiso, e ha fatto pace prima col suo passato nel Purgatorio?). Piuttosto, nel poema originale gli chiede prima dei dati personali (chi è, quando nacque, chi erano suoi avi, chi era la gente della Firenze dei suoi tempi); poi gli chiede quello che gli accadrà, visto che all'Inferno e in Purgatorio avevano fatto dei cenni cupi sul suo futuro. Come si vede dal discorso di Cacciaguida nel manga, il nome di Dio non è nominato, nè come aiuto, nè come guida. L'uomo (Dante) qui nel manga di Nagai è solo, e deve solo "seguire l'esempio" di Cacciaguida. Cioè quello un altro uomo, non di Dio. Certo, Cacciaguida nel manga parla di "sforzarsi di percorrere la strada della fede"...ma intende lo sforzarsi da solo. Non si dice mai nel manga di chiedere l'aiuto a Dio. Ancora qui, come nelle altre parti del manga di Nagai, Dio è il grande assente: se lo si cita, spesso è solo per criticarlo. Per esempio: come può Dio mandare all'Inferno, in un posto così brutto, tanta povera gente, poverina, che soffre tanto, ma tanto, e tra di loro anche tante belle donne nude che soffrono, oh quanto soffrono, non è giusto. Nagai non dice mai che i dannati sono all'Inferno per loro scelta, e questo nonostante l'aiuto che Dio stesso voleva dare loro, dando persino il Suo sangue in croce. La visione cristiana in Nagai, insomma, non c'è. C'è la visione pagana, dove l'uomo è solo e le divinità sono lontane.

    ASCESA AL CIELO DI GIOVE

    Alla fine della rassegna, Cacciaguida si riunisce alle altre luci dei beati, cantando assieme a loro e mostrandosi degno artista tra quei cantori del Cielo. Dante torna a rivolgersi a Beatrice, per sapere cosa dovrebbe fare adesso, e vede i suoi occhi così splendenti come non gli erano mai sembrati finora. Il poeta si rende conto, in quel momento, di essere salito al Cielo successivo, il Sesto Cielo di Giove, quello degli Spiriti Giusti. Dante si accorge infatti che questo nuovo Cielo ruota con un arco più ampio del precedente. Inoltre, nota che la bellezza di Beatrice è ulteriormente aumentata. Non solo: il pianeta al quale è attribuito il Cielo non è più rosso: ha mutato colore, passando dal rosso all'argento, proprio come fa una donna, che, dopo essere arrossita (il colore di Marte), riacquista in breve tempo il suo candore (spiega Dante facendo questo paragone).

    GLI SPIRITI GIUSTI. LA SCRITTA SIMBOLICA E LA FIGURA DELL'AQUILA

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    Nel Cielo appaiono le anime degli Spiriti Giusti, che si uniscono tra di loro, formando così delle lettere dell'alfabeto: compare così una D, poi una L o una I. Quelle anime sono simili agli uccelli che, dopo essersi levati in volo, si rallegrano a vicenda e formano schiere di varia forma. Dapprima, cantando, si muovono al ritmo del loro canto; poi, trasformandosi in uno di queste lettere ("segni", li chiama Dante), si fermano e tacciono per un poco. Raffigurano alla fine una scritta di senso compiuto: Dante invoca la Musa, chiamandola "Diva Pegasea" (il cavallo alato Pegaso, secondo il mito classico, fece scaturire dall'Elicona, il monte delle Muse, la fonte Ippocrene, che era il simbolo dell'ispirazione poetica) e le chiede un'alta ispirazione, in modo da poter descrivere le figure viste, a dispetto della pochezza dei suoi versi.

    Le anime formano in tutto trentacinque lettere, che unite danno luogo alla scritta: "DILIGITE IUSTITIAM, QUI IUDICATIS TERRAM", cioè "Amate la giustizia, voi che giudicate la Terra". E' il primo versetto del Libro della Sapienza dell'Antico Testamento ed è un richiamo severo a tutti coloro che, sulla Terra, hanno responsabilità importanti, sia laici che uomini di Chiesa. Il cui cattivo esempio, infatti, è fonte di quasi tutti i mali denunciati nella Commedia.

    Alla fine, le luci restano unite a formare l'ultima "M", che sta per "monarchia", sfolgorando dorate e stagliandosi sul colore argenteo di Giove, poi, dall'alto, scendono delle altre luci che si uniscono sulla parte alta della "M", raffigurando una sorta di giglio araldico. In seguito, Dante vede più di mille luci salire dalla parte alta della lettera "M", simili alle scintille che sprizzano da un ciocco di legno che arde, dalle quali gli sciocchi (pagani e increduli) sono soliti trarre auspici ("onde li stolti sogliono agurarsi") ed esse formano il collo e la testa di un'aquila (l'aquila è il simbolo regale). Il poeta osserva che chi ha dipinto quella figura di aquila, cioè Dio, non ha maestro né modello e quindi la virtù creativa che dà origine agli esseri viventi ha inizio da Lui.

    Quei che dipinge lì, non ha chi ‘l guidi; (Colui che dipinge lì (Dio) non ha modelli né maestri,)
    ma esso guida, e da lui si rammenta (ma è Lui stesso maestro, e da Lui si riconosce)
    quella virtù ch’è forma per li nidi. (quella virtù creativa che è forma per gli esseri generanti nei nidi.)

    Anche le altre luci che, prima, formavano la figura della 'M', ora si dispongono a rappresentare il corpo dell'aquila.

    INVETTIVA DI DANTE CONTRO I PAPI CORROTTI E GIOVANNI XXII

    Dante è rapito nell'osservare quelle luci, simili a gemme, che costellano il Cielo di Giove, rappresentando la giustizia: capisce che l'influsso stesso della Giustizia promana da quella stella.

    O dolce stella, quali e quante gemme (O dolce stella, quali e quante gemme (i beati)
    mi dimostraro che nostra giustizia (mi dimostrarono che la nostra giustizia umana)
    effetto sia del ciel che tu ingemme! (è prodotto del Cielo che tu impreziosisci!)

    Poi prega Dio di rivolgere lo sguardo sulla Terra, là dove esce il fumo della corruzione che offusca tale benefico influsso.

    Per ch’io prego la mente in che s’inizia (Dunque io prego la mente (di Dio)
    tuo moto e tua virtute, che rimiri (in cui la tua virtù e il tuo moto iniziano, di osservare)
    ond’esce il fummo che ’l tuo raggio vizia; (da dove esce il fumo che oscura il tuo raggio;)

    Questo termine, "fummo che il tuo raggio vizia", "fumo che oscura il Tuo raggio", è curioso, perchè somiglia molto al "fumo di satana che è entrato nel tempio di Dio", come disse Paolo VI cinquant'anni fa, il 29 Giugno 1972, nella più drammatica allocuzione (cioè, discorso fatto in occasioni solenni) del suo pontificato. Per la precisione disse:

    "Abbiamo (allora il Papa parlava col plurale maiestatis, quindi col "noi", caratteristica dei Papi e dei Re) la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di satana nel Tempio di Dio. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida più della Chiesa; ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita. E non avvertiamo di esserne invece già noi padroni e maestri. È entrato il dubbio nelle nostre coscienze, ed è entrato per finestre che invece dovevano essere aperte alla luce (fa riferimento al Concilio Vaticano II, che Giovanni XXIII definiva “porte e finestre aperte perché entri aria fresca”). Dalla scienza, che è fatta per darci delle verità che non distaccano da Dio ma ce lo fanno cercare ancora di più e celebrare con maggiore intensità, è venuta invece la critica, è venuto il dubbio.(...) Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza".

    Ci furono poi gli Anni di Piombo e l'omicidio Moro. E quello era solo l'inizio.

    PAOLO-VI


    Tornando a Dante, il poeta rincara la dose, chiedendo l'ira divina per il commercio simoniaco che avviene in seno alla Chiesa, edificata sui miracoli e sul martirio:

    sì ch’un’altra fiata omai s’adiri (cosicché si adiri un'altra volta)
    del comperare e vender dentro al templo (del mercato che si fa dentro al Tempio,)
    che si murò di segni e di martìri. (che fu costruito con miracoli e col martirio (la Chiesa).

    Non si tratta solo del comprare e vendere cose sacre: ma peggio, trattare la stessa Chiesa e la Sua verità come se fosse qualcosa di malleabile a seconda delle circostanze. E' uno svendersi al miglior offerente, come fanno le prostitute. Dante usa lo stesso linguaggio dei profeti: invoca anche la preghiera dei beati a favore degli uomini in Terra, sviati dal cattivo esempio della Chiesa, allora come adesso:

    O milizia del ciel cu’ io contemplo, (O esercito del Cielo che io contemplo,)
    adora per color che sono in terra (prega per coloro che, in Terra,)
    tutti sviati dietro al malo essemplo! (sono sviati dal cattivo esempio (della Chiesa)

    Un tempo infatti si faceva guerra con le spade: ma ora la si fa sottraendo ai fedeli il cibo spirituale (l'Eucarestia) che Dio, invece, non nega a nessuno.

    Già si solea con le spade far guerra; (Un tempo si faceva guerra di solito con le spade;)
    ma or si fa togliendo or qui or quivi (ora invece si fa togliendo a questo e a quello)
    lo pan che ’l pio Padre a nessun serra. (il pane (l'Eucarestia) che Dio non nega a nessuno.)

    Questa terzina ricorda in modo impressionante il fatto della "Pasqua assente" del 2020, in cui, a causa del lockdown e del covid, la paura anche nella Chiesa fu tale da negare persino l'Eucarestia, per non parlare delle Messe negate per tre mesi. Così, per la prima volta da venti secoli, in Chiesa non si fece nemmeno il rito della Pasqua. Anzi, in quello spaventoso periodo di tre mesi non era possibile confessarsi e nemmeno ricevere l'Estrema Unzione.

    andr-tutto-be
    Un'immagine molto simbolica.


    Dante, infine, esorta papa Giovanni XXII (che fu Papa dal 1316 al 1334: sarà l'ultimo Papa che Dante conoscerà, prima di morire) a pensare a san Pietro e san Paolo, che diedero la vita per quella Chiesa, che ora il pontefice corrompe, e a pensare che questi santi sono tuttora viventi (perchè sono in Paradiso). Invece, Papa Giovanni XXII scrive al solo scopo di cancellare, accusa Dante (ed è molto attuale anche questo),

    Ma tu che sol per cancellare scrivi, (Ma tu che scrivi solo per cancellare (papa Giovanni XXII)
    pensa che Pietro e Paulo, che moriro (pensa che san Pietro e san Paolo, che morirono)
    per la vigna che guasti, ancor son vivi. (per la vigna (la Chiesa) che tu corrompi, sono ancora vivi.)

    Ma Dante stesso mette in bocca al Papa la sua risposta: il Papa non si cura di questo, perchè pensa solo a san Giovanni Battista (che è stampato sul Fiorino, la moneta di Firenze: è come dire che pensa solo ai soldi), il santo che visse nel deserto e fu fatto uccidere da Salomè; mentre non conosce né il pescatore (san Pietro) né Polo (san Paolo). Giovanni XXII, per bocca di Dante, si riferisce ai due santi in modo sprezzante e derisorio: "pescator" e "Polo", la forma volgare di Paolo.

    Ben puoi tu dire: "I’ ho fermo ’l disiro (Certo tu puoi dire: "Io desidero fermamente)
    sì a colui che volle viver solo (colui (san Giovanni Battista) che volle vivere solo nel deserto)
    e che per salti fu tratto al martiro, (e che fu condotto al martirio con una danza ("salti" di Salomè)

    ch’io non conosco il pescator né Polo». (cosicché io non conosco il pescatore (Pietro) né Polo (Paolo).")

    COMMENTO

    Il canto è strutturalmente diviso in due parti:
    1) la conclusione dell'episodio di Cacciaguida (con la presentazione degli spiriti combattenti)
    2) l'ascesa al Cielo di Giove, con la complessa formazione dell'aquila, preludio al discorso sulla giustizia che occuperà i prossimi due canti. Infatti, il Cielo di Giove è quello degli Spiriti Giusti, cioè che fanno giustizia.

    All'inizio del Canto, Dante riflette su quello che gli ha appena detto Cacciaguida: cioè l'ingiustizia che dovrà subire e la missione della Commedia che dovrà realizzare. In particolare, il cenno sul sopruso e sull'esilio subirà è un preannuncio del successivo passaggio al Cielo di Giove, col discorso successivo sulla Giustizia. Beatrice poi gli ricorda che lei, che è vicina a Dio, rivolgerà le sue preghiere in favore di Dante. Con questo cenno di Beatrice, Dante vuole far capire che giustizia divina è destinata alla fine a prevalere sulle ingiustizie terrene, assegnando nell'Aldilà premi e punizioni a seconda delle azioni compiute in vita.

    Cacciaguida conclude qui il suo lungo intervento, presentando a Dante i principali Spiriti Combattenti che occupano la croce luminosa, vista da Dante all'inizio della sua entrata al Cielo di Marte: personaggi che hanno combattuto per la conquista della Terrasanta (Giosuè e Giuda Maccabeo), o per la sua difesa durante le Crociate (Cacciaguida stesso, poi Goffredo di Buglione), oppure si sono battuti contro i Saraceni in Spagna e in Francia (Carlo Magno, Orlando, Guglielmo d'Orange, Rinoardo) o in Italia meridionale (come Roberto il Guiscardo, che affrontò i musulmani in Sicilia e gli ortodossi bizantini).

    Questi spiriti hanno combattuto per difendere la fede e per la giustizia: quasi la stessa cosa dei governanti che Dante presenterà nel Cielo di Giove, e che hanno correttamente operato nell'esercitare le loro funzioni. Come al solito, Dante non si accorge di essere salito al Cielo successivo, se non da alcuni indizi visivi (il mutato colore del pianeta, che da rosso è diventato argenteo, il moto circolare del Cielo che è più ampio, l'accresciuta bellezza degli occhi di Beatrice) e in seguito gli appaiono subito gli Spiriti Giusti, che scintillano dorati sul colore tenue del pianeta Giove, sfavillando intorno a Dante e dando vita a una complessa figurazione che introduce il discorso successivo sulla Giustizia.

    Le luci delle anime si dispongono a formare la scritta in latino «amate la giustizia, o voi che giudicate la Terra». La scena è talmente complessa che, per descriverla al meglio, Dante deve fare ricorso a tutto il suo ingegno poetico, invocando l'aiuto delle Muse perché lo assistano in quest'ardua impresa. Infatti, le luci indugiano a formare la lettera 'M' che conclude la scritta e che unanimemente è interpretata come l'iniziale della parola «Monarchia», mentre altre luci si aggiungono nella parte alta della lettera M e la trasformano in un giglio araldico. Successivamente, altre luci modificheranno la figura, fino a tramutarla in un'aquila, cioè il simbolo dell'Impero Romano e di quello Germanico (il Sacro Romano Impero Germanico) che ne era il legittimo successore, destinato, secondo Dante, ad assicurare il buon governo al mondo cristiano e la giustizia attraverso l'applicazione delle leggi. La rappresentazione è un modo per affermare nuovamente la necessità di un'autorità centrale e suprema, che per Dante coincideva con l'imperatore tedesco e la cui assenza in Italia era fonte di soprusi e ingiustizie, nonché di quel disordine politico in cui il suo stesso esilio era maturato. Il finale del Canto è occupato dalla tremenda invettiva (una delle più forti della Commedia) che Dante rivolge alla Chiesa corrotta (Clemente V aveva trasferito la sede papale ad Avignone su pressione del re francese Filippo il Bello, e Giovanni XXII fu il Papa successivo, sempre residente ad Avignone).

    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-xviii.html

    (Continua qui)

    QUI TUTTI I LINK SULL'ANALISI SU DANTE

    Edited by joe 7 - 20/4/2024, 17:07
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    Incredibile come certe cose dette nella Divina Commedia siano attuali ai giorni nostri.
    Soprattutto la parte del "fumo di satana", che mi fa pensare all'epidemia di Politically Correct degli ultimi anni.
     
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    CITAZIONE (Andrea Micky 3 @ 14/4/2024, 22:42) 
    Incredibile come certe cose dette nella Divina Commedia siano attuali ai giorni nostri.
    Soprattutto la parte del "fumo di satana", che mi fa pensare all'epidemia di Politically Correct degli ultimi anni.

    Sono io il primo a sorprendermi. Quando faccio l'analisi di un canto di Dante, è pazzesco quello che tiro fuori alla fine. Ogni volta è un'avventura: non so mai come sarà l'articolo su Dante che preparo. In pratica, sono un lettore anch'io, quasi.
     
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