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  1. DIVINA COMMEDIA DI NAGAI E DI DANTE: PARADISO, CANTO 19

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    Divina Commedia
    By joe 7 il 20 April 2024
     
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    PARADISO CANTO 19 - SESTO CIELO DI GIOVE: SPIRITI GIUSTI - IL PROBLEMA DELLA SALVEZZA
    (primo post: qui; precedente post: qui)

    AQUILA
    L'aquila composta dai beati inizia a formarsi nel Cielo di Giove, quello dei Giusti. E' il Cielo dei Re e del Giudizio: per questo si parla qui del Giudizio Finale.


    L'AQUILA - CIOE' I MOLTI IN UNO - INIZIA A PARLARE

    Nel Sesto Cielo di Giove, quello degli Spiriti Giusti, l'aquila di prima si staglia di fronte a Dante con le ali aperte: è composta da migliaia di spiriti giusti, che godono della visione divina. Ognuno di essi sembra un rubino che scintilla, colpito dai raggi del sole. Ad un tratto, tutte le anime iniziano a parlare insieme come se fossero una cosa sola. Un evento straordinario che Dante si sforza di descrivere: è come se a parlare fosse l'aquila col suo becco, dicendo "io" e "mio", anziché "noi" e "nostro". E' un'unità totale.

    Parea dinanzi a me con l’ali aperte (Appariva davanti a me, con le ali spiegate,)
    la bella image che nel dolce frui (la bella immagine (l'aquila) che, nella dolce visione di Dio)
    liete facevan l’anime conserte; (era formata dalle anime liete)

    "Frui" è "fruire": un infinito sostantivato che significa "godimento". Dal latino "frui", "godere".

    parea ciascuna rubinetto in cui (ognuna delle anime sembrava un rubino)
    raggio di sole ardesse sì acceso, (colpito da un raggio di sole, talmente splendente)
    che ne’ miei occhi rifrangesse lui. (da rifletterne la luce nei miei occhi.)

    E quel che mi convien ritrar testeso, (E ciò che ora devo descrivere)
    non portò voce mai, né scrisse incostro, (non fu mai pronunciato a voce, né scritto con l'inchiostro,)
    né fu per fantasia già mai compreso; (né mai concepito dalla fantasia umana;)

    ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro, (infatti io vidi e udii anche il becco dell'aquila)
    e sonar ne la voce e «io» e «mio», (che parlava e diceva con la sua voce «io» e «mio»,)
    quand’era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’ (volendo in realtà dire «noi» e «nostro».)

    Infatti l'aquila parla usando "io" come soggetto, ma per la verità stanno parlando tutti insieme i beati che la compongono, all'unisono:

    E cominciò: «Per esser giusto e pio (E iniziò: «Per essere stato in vita giusto e devoto,)
    son io qui essaltato a quella gloria (io sono qui innalzato a quella gloria)
    che non si lascia vincere a disio; (che non viene vinta da alcun desiderio mortale;)

    e in terra lasciai la mia memoria (e sulla Terra lasciai un tale ricordo,)
    sì fatta, che le genti lì malvage (che persino gli uomini malvagi)
    commendan lei, ma non seguon la storia». (lo lodano, anche se poi non lo seguono».)

    L'aquila - o i beati che la compongono, se preferite - afferma che gli spiriti che la compongono sono stati sulla Terra giusti e devoti: hanno cioè dimostrato le due virtù (giustizia e pietà) attribuite a Traiano nell'episodio del Purgatorio, in cui, nella Cornice dei Superbi, si facevano vedere i modelli di umiltà, come appunto l'imperatore Traiano che ascoltava una vedova. Per questo si pensa che i beati che compongono l'aquila siano soprattutto dei re e principi.
    Dopo questo, Dante sottolinea il fatto dei tanti che parlano come fossero uno solo, col paragone delle braci: come da molte braci promana un unico calore, così dalle molte anime di quell'immagine di aquila usciva un unico suono.

    IL DUBBIO DI DANTE: LA SALVEZZA DEI NON CREDENTI

    Dante si rivolge agli spiriti che formano l'aquila, e che gli sembrano dei fiori che emanano un solo profumo: vuole che gli chiariscano un dubbio, che lui chiama "gran digiuno": sulla Terra non è riuscito mai a chiarirlo (e, sempre in riferimento al digiuno, Dante lo spiega dicendo che questo dubbio-digiuno "lungamente m’ha tenuto in fame"). Si tratta del problema della salvezza per i non credenti. Dante precisa che la giustizia divina si riflette nella gerarchia angelica dei Troni: qui però siamo nel Cielo di Giove, dove c'è la gerarchia angelica delle Dominazioni. Solo nel Cielo successivo, quello di Saturno, c'è la gerarchia angelica dei Troni, che riflettono appunto la Giustizia Divina. Tuttavia Dante è certo che quegli spiriti beati conoscono la Giustizia Divina senza veli. Egli è pronto ad ascoltare la loro risposta, poiché essi conoscono già la sua domanda.

    GERARCHIE ANGELICHE

    Mi rendo conto che, con questi discorsi sui Troni e Dominazioni sia facile perdere un pò il filo del discorso. Per chiarirmi, interrompo un momento la Commedia e presento qui tutte le Gerarchie Angeliche, alle quali avevo già accennato qui:

    CHERUBINI


    - ANGELI: sono la gerarchia più bassa e più vicina agli uomini. Per esempio, ognuno di noi ha un Angelo Custode. Gestiscono il cielo della Luna, il più basso.
    - ARCANGELI: sono sopra gli Angeli: si occupano dei gruppi e delle nazioni. Ogni Nazione, o popolazione, o gruppo etnico, eccetera, ha il suo Arcangelo. Gestiscono il Cielo di Mercurio.
    - PRINCIPATI: sono sopra gli Arcangeli. Sono gli angeli della storia e del tempo, guardiani delle nazioni e delle contee (gruppi di nazioni), e di tutto quello che concerne i loro problemi ed eventi, inclusa la politica, i problemi militari, il commercio e lo scambio. Gestiscono il Cielo di Venere.
    - POTESTA': sono sopra i Principati. Gestiscono la sapienza e quindi discipline come la filosofia, la teologia, la religione, e a tutti i documenti che appartengono a questi studi. Gestiscono il Cielo del Sole.
    - VIRTU': sono sopra le Potestà. Si chiamano anche "Fortezze". Gestiscono il coraggio saldo e intrepido in tutte le attività, accogliendo le illuminazioni donate da Dio. Sono gli Angeli combattenti e presiedono ai grandi cambiamenti della storia. Gestiscono il cielo di Marte.
    - DOMINAZIONI: sono sopra le Virtù. Sono Angeli che hanno l'incarico di regolare i compiti degli angeli inferiori: ricevono i loro ordini dagli Angeli superiori (Troni, Serafini, Cherubini o anche direttamente da Dio). Gestiscono il Cosmo: devono assicurarsi che il cosmo sia sempre in ordine. Sono gli angeli ai quali Dio affida la forza del dominare. Gestiscono il Cielo di Giove.
    - TRONI: sono sopra le Dominazioni. Il loro compito è quello di tradurre in opera la sapienza e il pensiero elaborato dai Cherubini (per questo riflettono anche la Giustizia Divina, come dice Dante). Gestiscono il Cielo di Saturno.
    - CHERUBINI: sono sopra i Troni. Sono perciò i guardiani della luce e delle stelle: rielaborano le intuizioni immediate dei Serafini traducendole in riflessioni e pensieri di saggezza, riguardanti l'evoluzione dei sistemi planetari. Sono Angeli dediti alla protezione, quindi sono posti a guardia dell'Eden e del trono di Dio. Ad essi è attribuita una perfetta conoscenza di Dio, superata soltanto dall'amore di Dio dei Serafini. Le sculture di due Cherubini contrapposti erano rappresentate sul coperchio dell'Arca dell'Alleanza. Gestiscono il Cielo delle Stelle.
    - SERAFINI: Sono l'ordine più elevato degli Angeli: gestiscono il Cielo Cristallino o del Primo Mobile, il più vicino a Dio. Dall'Empireo, cioè dalla Presenza Divina, ricevono in forma immediata le idee e le direttive con cui far evolvere tutto il complesso cosmico. La Bibbia li raffigura come angeli dotati di sei ali: due per volare, due per coprirsi il volto e due per coprirsi i piedi. Cantano continuamente le lodi di Dio: «Santo, Santo, Santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della Sua gloria». Cantano la musica dei Cieli e regolano il movimento del cielo, così come loro comandato. Ardendo di amore e di zelo per Dio, emanano una luce così potente e brillante che nessuno, se non con occhi divini, può guardarli. Lucifero era un Serafino: dopo la sua ribellione a Dio, diventò satana, che significa "l'avversario", o diavolo (da "diabolos": "colui che divide") e cadde nell'inferno, cioè nell'assenza di Dio, nell'odio eterno.

    L'INIZIO DELLA RISPOSTA

    Nel rispondere alla domanda di Dante, l'aquila sembra un falcone al quale sia stato tolto il cappuccio: infatti, quando questo succede, il falcone inizia a muovere la testa e apre le ali, felice di librarsi in cielo ("Quasi falcone ch’esce del cappello, / move la testa e con l’ali si plaude, / voglia mostrando e faccendosi bello,"). Inoltre, le anime che la compongono intonano un canto che solo loro possono comprendere.

    L'aquila, successivamente, parla: vista la complessità dell'argomento, inizia da lontano. Dice che Dio ha creato l'Universo:

    "Colui che volse il sesto / a lo stremo del mondo"

    cioè "tracciò col compasso i confini dell'Universo". "Sesto" è il termine antico di "compasso". Dio ha creato le cose visibili e invisibili:

    "dentro ad esso / distinse tanto occulto e manifesto" (dentro l'Universo / fece le cose invisibili e visibili)

    Nella creazione, però, il Verbo di Dio (cioè, la sua Essenza, la sua Persona) resta infinitamente oltre ogni creatura. Cioè: nessuno, per quanto grande sia, può contenere Dio: Dio non può essere "contenuto" in una creatura, anche se fosse un Angelo. Per questo, Lucifero, chiamato dall'aquila " ‘l primo superbo", che fu la più alta di ogni creatura, si ribellò per la sua superbia e per non aver atteso la Grazia divina, cioè accettare l'azione amorevole di Dio su di lui. Nella sua superbia, Lucifero non solo si reputò come Dio, ma si credette addirittura superiore a Lui:

    E ciò fa certo che ‘l primo superbo, (E di ciò è prova il fatto che il primo peccatore di superbia (Lucifero)
    che fu la somma d’ogne creatura, (che fu la più perfetta di ogni creatura,)
    per non aspettar lume, cadde acerbo; (fu precipitato dal Cielo per non aver atteso il lume della grazia divina;)

    La visione umana, chiamata dall'aquila "vostra veduta", viene da Dio stesso:

    "convene / esser alcun de’ raggi de la mente / di che tutte le cose son ripiene" ("essa (la visione umana) / è solo uno dei raggi della mente divina / di Colui che è presente in tutte le cose")

    E la visione umana non è in grado, per sua natura, di comprendere il primo principio, Dio:

    "non pò da sua natura esser possente / tanto che suo principio discerna"

    Dio, infatti, è al di là della portata dei sensi dell'uomo:

    "molto di là da quel che l’è parvente"

    Ed è chiaro che qui Dante, per "sensi", non intende solo i cinque sensi, come la vista eccetera: intende anche tutte le capacità intellettuali dell'uomo.

    Per fare un paragone, l'aquila parla dell'occhio umano che vede la profondità del mare all'inizio, quando si trova alla riva. Ma, quando è in mezzo all'Oceano, questo è impossibile farlo. Eppure il fondo del mare c'è lo stesso, come alla riva, anche se non si vede. Allo stesso modo, l'uomo non può vedere la profondità della giustizia divina. Non nel senso che la giustizia divina possa essere ingiusta: anzi è assolutamente giusta. Però è al di là della comprensione dell'uomo.

    oceano
    Non si può vedere il fondo del mare: allo stesso modo non si può pretendere di vedere fino in fondo i giusti giudizi di Dio.


    Solo la luce che deriva direttamente da Dio può illuminare l'uomo:

    "Lume non è, se non vien dal sereno (Dio) / che non si turba mai"

    E questa luce è tale da non essere mai offuscata ("che non si turba mai"). Ogni conoscenza umana, invece, di per sè, essendo limitata, è imperfetta: è oscura ("tenebra"), è viziata dai sensi e dai limiti del corpo ("ombra de la carne") e può portare a credenze errate ("suo veleno"). L'uomo non è onnipotente nè onnisciente: Dio sì. Questo dice l'aquila, in sintesi. E' la prima cosa da tenere da conto.

    UN PROBLEMA SEMPRE SENTITO

    Dante, a questo punto, può capire la risposta al suo dubbio. Lo ripeto in sintesi: se qualcuno nasce in luoghi lontani

    "Un uom nasce a la riva / de l’Indo" (cioè in un luogo lontanissimo)

    dove non ha mai sentito parlare di Cristo

    "e quivi non è chi ragioni / di Cristo né chi legga né chi scriva" (cioè lì nessuno parla, o insegna, o scrive, di Cristo)

    e vive un'esistenza virtuosa senza commettere alcun peccato, insomma è una persona buona - per quanto sia possibile esserlo - e muore senza essere stato battezzato e quindi è privo della fede cristiana (condizione necessaria per essere salvati)...allora non può ottenere la salvezza? Non può salvarsi? Che colpa aveva lui nel non credere?

    "ov’è la colpa sua, se ei non crede?"

    Come può questo conciliarsi con la giustizia divina? Questa domanda se la chiedono anche gli uomini d'oggi: però, come si vede a leggere Dante, non è certo una cosa che l'uomo ha scoperto nel 2000. Il problema si sentiva già nel Medioevo: anzi, c'è già nel Vangelo di Giovanni (14, 22), per esempio, in cui l'apostolo Giuda Taddeo (non Giuda Iscariota, il traditore) chiede a Gesù: "Signore, che è mai successo che tu stai per manifestare te stesso a noi e non al mondo?". Cioè, se tu sei Dio, perchè non ti riveli subito a tutti, visto che lo puoi fare? Perchè ti riveli solo a noi? E Gesù risponde senza dare una risposta diretta, perchè vuole sottolineare qual'è la cosa importante: seguirlo, non farsi delle domande sul suo operato. Chiede insomma fiducia in Lui, anche su questo problema. E la sua risposta è: "Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola". E questo vale per gli uomini di tutti i tempi (anche prima di Cristo) e di tutti i luoghi. E' in pratica la risposta che darà l'aquila a Dante.

    Giuda-Taddeo
    Giuda Taddeo, spesso confuso con Giuda il traditore. Apostolo e cugino di Gesù, è considerato il santo dei casi impossibili: ogni preghiera a lui è sicura di essere esaudita.


    LA RISPOSTA

    Per prima cosa, l'aquila spiega che Dante, in quanto uomo, non può certo ergersi a giudice di una questione così profonda, né pretendere di vedere con la sua vista limitata una verità che dista mille miglia da lui. Sono cose troppo alte da comprendere appieno. Non bisogna pretendere di capire ogni cosa: altrimenti saresti come il bambino che vuole capire tutto del padre, sia della sua vita che del mondo attorno a lui, compresi i problemi politici e sociali. Tipo Mafalda, la bambina di Quino, che pretende di capire tutto senza capire nulla.

    Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna, (Ora chi sei tu, che vuoi ergerti a giudice)
    per giudicar di lungi mille miglia (e sentenziare a mille miglia di distanza,)
    con la veduta corta d’una spanna? (con la vista che a malapena arriva a una spanna?)

    L'aquila dice che chi fa dei ragionamenti elaborati e sottili sulla giustizia divina su questo problema, senza tenere da conto quello che dice la Bibbia, va a finire che sragiona. Per esempio, la Bibbia dice: "Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità." (Prima Lettera di San Paolo a Timoteo 2, 3-4). In sostanza, la Scrittura dice che è verità di fede che Dio vuole tutti salvi, anche quelli lontani: come, in che modo, questo lo sa Lui. E ognuno, credente o no, è libero di scegliere se accogliere la Sua salvezza o no. L'importante, però, è non preoccuparsi di questo problema, ma seguire Gesù e predicarlo con la propria vita agli altri. Esattamente quello che ha detto Gesù a Giuda Taddeo nell'esempio di prima.

    Certo a colui che meco s’assottiglia, (Certo colui che fa sottili ragionamenti ("s'assottiglia") su di me (cioè sulla giustizia divina: l'aquila qui si identifica con essa)
    se la Scrittura sovra voi non fosse, (se non ci fosse al di sopra di voi la Sacra Scrittura)
    da dubitar sarebbe a maraviglia. (potrebbe dubitare in modo sorprendente)

    L'aquila deplora la superficialità dei giudizi umani. La volontà di Dio è di per sé buona e non si è mai allontanata da se stessa: è come dire che Dio è buono, anzi "solo Dio è buono", e resta sempre tale. E quindi vuole, come un Padre, la salvezza di tutti i suoi figli. La risposta, però, spetta sempre a loro, che siano credenti o meno. Nel Giudizio Finale, Gesù giudicherà non chi è stato cristiano e chi non lo è stato, ma chi ha amato e chi no. "Venite, o benedetti del Padre mio: perchè ero affamato e mi avete dato da mangiare; ero assetato e mi avete dato da bere; ero nudo e mi avete vestito; ero malato e mi avete visitato; ero in prigione e siete venuti a trovarmi. E agli altri: Via, lontano da me, maledetti, perchè ero affamato e non mi avete dato da mangiare; ero assetato e non mi avete dato da bere; ero nudo e non mi avete vestito; ero malato e non mi avete visitato; ero in prigione e non siete venuti a trovarmi."

    Oh terreni animali! oh menti grosse! (Oh, creature terrene! Oh, menti grossolane!)
    La prima volontà, ch’è da sé buona, (La prima volontà (Dio), che è buona di per sé,)
    da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse. (non si è mai mossa da se stessa che è il sommo bene.)

    Qui è la conclusione dell'aquila: la volontà divina è giusta, perchè è buona ed è da essa che viene la bontà delle azioni umane. Infatti, ogni buona azione dell'uomo viene da Dio, non dall'uomo: è Dio che ci fa buoni, non siamo noi a diventarlo con le nostre forze. Non significa però che siamo delle marionette: Dio ci ispira il bene, però siamo noi a rispondere liberamente alle sue ispirazioni, accettandole (quindi facendo il bene) o rifiutandole (quindi facendo il male):

    Cotanto è giusto quanto a lei consuona: (Tutto ciò che è conforme alla volontà divina è giusto: )
    nullo creato bene a sé la tira, (nessuna creatura è capace, da sola, di attirare a sé Dio, (cioè di fare il bene senza di Lui)
    ma essa, radiando, lui cagiona».(ma è Dio stesso che ci manda ("radiando") la grazia di amare e di essere buoni)

    Che c'entra questo con il problema dei non cristiani? C'entra, perchè è Dio che ispira tutti - cristiani e non - alla salvezza. Quindi, non bisogna stare a dire "poverini, quelli lì non conoscono Dio": piuttosto, è Dio che conosce loro. Per questo bisogna lasciar fare a Lui. Senza però, per questo, da parte nostra, trascurare quello che Gesù ha comandato a noi cristiani: la predicazione della fede cristiana ai non credenti.

    giustizia
    La giustizia divina è infinitamente più giusta e più misericordiosa della nostra. Perchè noi non vediamo tutto: Dio sì.


    L'IMPORTANTE E' CREDERE E AGIRE DI CONSEGUENZA

    Al termine del suo discorso, l'aquila inizia a volteggiare intorno a Dante, come fa una cicogna che ha appena sfamato i piccoli, e il poeta la guarda ammirato. L'aquila intona un canto che Dante non comprende: come lui non comprende il canto, così lui non può comprendere la giustizia divina, spiega l'aquila. Essa è giusta, ma è oltre la comprensione umana. Come dire: se te la spiegassi, non la capiresti. Proprio come faceva il padre di Mafalda - una bambina delle Elementari - che rispondeva in questo modo alle sue richieste di spiegarle la situazione della guerra in Vietnam:

    "Mafalda, anche se ti spiegassi il problema del Vietnam, non lo capiresti."

    Mafalda
    Il mondo, Mafalda, non è un mappamondo. Non puoi capire tutto.


    L'aquila riprende la sua posizione e torna ad essere simile al simbolo dell'Impero Romano, quindi ricomincia a parlare e dichiara che nessuno è mai asceso al Paradiso, senza aver creduto in Cristo venturo o venuto:

    esso ricominciò: «A questo regno (l'aquila, diventata il simbolo dell'Impero Romano riprese a dire: «In questo regno (in Paradiso)
    non salì mai chi non credette ‘n Cristo, (non è mai asceso chi non ha creduto in Cristo,)
    né pria né poi ch’el si chiavasse al legno. (prima o dopo la sua crocifissione.)

    In Paradiso non ci va chi non crede in Cristo: nè prima della sua venuta, nè dopo di essa. E' come dire che quello che conta non è nascere prima o dopo Cristo, ma credere in Lui. E, in un modo misterioso, ci sono i pagani che hanno creduto in Cristo senza conoscerlo: "Chi è dalla verità ascolta la mia voce", dice Gesù a Pilato. Questo però significa che i cristiani, che hanno saputo la verità in modo diretto grazie alla Chiesa, davanti a Dio sono molto più responsabili di chi non ha potuto conoscere questa verità in vita. Infatti, poco dopo, l'aquila farà un monito severo a tanti cosiddetti "principi cristiani" che, invece, si sono comportati da pagani che non hanno mai conosciuto Cristo. E la loro punizione sarà più dura: "A chi è stato dato molto, sarà chiesto molto" dice sempre Gesù.

    Molti cristiani sulla Terra, dice l'aquila, hanno sempre il nome di Cristo sulle labbra: ma, nel Giorno del Giudizio, saranno a Lui molto meno vicini di tutti quegli altri uomini che non l'hanno mai conosciuto e sono morti senza battesimo, ma l'hanno amato senza conoscerlo. E un Etiope, morto senza la fede, potrà condannare quei falsi cristiani nel momento in cui il giudizio divino separerà in eterno le anime fra gli eletti, destinati alla salvezza, e i reprobi, destinati alla dannazione. Che diranno i Persiani (cioè, gli infedeli), aggiunge l'aquila, ai vostri re cosiddetti "cristiani", quando vedranno aperto il Libro della Vita, quel libro nel quale Dio ha scritto tutte le loro malefatte?

    I PRINCIPI CRISTIANI CORROTTI

    Nel presentare i cristiani corrotti, l'aquila userà dodici terzine (composizioni di tre versi: per esempio, "Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai in una selva oscura / dove la dritta via era smarrita" è una terzina). Queste terzine si possono riunire in tre gruppi di quattro:
    - il primo gruppo inizia sempre con la "L" di "Lì si vedrà";
    - il secondo gruppo inizia sempre con la "V" di "Vedrassi";
    - il terzo gruppo inizia sempre con "E".
    Unendo le iniziali, si forma così LVE, cioè "lue", sinonimo di «peste». Dante così fa riferimento alla lue dei principi cristiani corrotti che sono di cattivo esempio, nonostante dicano sempre: "Signore, Signore".

    Nel Libro della Vita, inizia l'aquila, si leggeranno tutte le cattive azioni di re e sovrani che si dicono "cristiani" come:
    - l'Imperatore Alberto I Asburgo d'Austria, che nel 1304 invase la Boemia e la capitale Praga, provocandone la distruzione;
    - Filippo il Bello (il re di Francia famoso autore dello schiaffo di Anagni e della Cattività Avignonese, oltre al falso processo ai Templari), che causerà danno alla Francia, coniando monete false per sopperire alle spese della guerra contro le Fiandre. Morirà per il colpo di un cinghiale (il re infatti cadde da cavallo durante una battuta di caccia, perché un cinghiale si mise tra le zampe della sua cavalcatura);
    - i re di Scozia e d'Inghilterra, che non si rassegnano a restare nei propri confini e si fanno guerra tra di loro (Edoardo I qui è il re d'Inghilterra);
    - Ferdinando IV, re di Spagna, lussurioso e vizioso;
    - Venceslao II di Boemia, pure lui lussurioso; questo re e il precedente non conobbero mai, né vollero, alcun "valore", cioè fare azioni positive;
    - Carlo II d'Angiò, (chiamato con disprezzo "ciotto di Ierusalemme", cioè "lo zoppo di Gerusalemme": era zoppo e si era fregiato del titolo onorifico di "re di Gerusalemme") con pochissime buone azioni (indicate con una "I", uno in cifre romane, cioè pochissime), e moltissime malvagità (indicate con una M, mille in cifre romane: quindi tantissime);
    - Federico II d'Aragona re di Sicilia ("l’isola del foco, / ove Anchise finì la lunga etate", cioè, dove morì Anchise, il padre di Enea. "Isola del foco" per la presenza dell'Etna). Avaro e vile, le sue cattive azioni saranno scritte con caratteri abbreviati per mostrare la sua dappocaggine (cioè: si potranno scrivere le sue molte malefatte con caratteri piccoli, in un piccolo spazio, per risparmiare e metterli tutti).
    - Giacomo re di Maiorca, zio di Federico II, autore di varie empietà;
    - Giacomo II d'Aragona, fratello di Federico II: sia lo zio che il fratello hanno disonorato la loro famiglia e due corone.
    - Dionigi, re di Portogallo, autore di malefatte;
    - Acone V, re di Norvegia, autore di altre malefatte;
    - Stefano Uros, re di Serbia ("Rascia", il nome antico della Serbia), pure lui autore di malefatte: sostituì la moneta veneziana, diffusa in tutti i Balcani, con la propria, con un'operazione fraudolenta;
    - come eccezione, felice sarà l'Ungheria, perché conoscerà il buon governo di re Caroberto, figlio di Carlo Martello d'Angiò;
    - la Navarra, nonostante la difesa dei monti Pirenei, passerà sotto la monarchia francese, con suo grave danno.
    - come anticipo di questo si duole già l'isola di Cipro (Niccosia e Famagosta), sottoposta al governo di Arrigo II di Lusignano ("la lor bestia"), anch'egli appartenente alla casa di Francia.

    In pratica, non si salva nessuno. O quasi.

    COMMENTO

    Dante capisce che in Terra è necessario un garante della giustizia per tutti, non solo per i potenti e i ricchi. Questo garante è, nella sua visione, l'Imperatore. Oggi non c'è più un "garante per tutti", ma è necessario che ci sia un'autorità - democratica o regale - che faccia giustizia. Nel sesto cielo di Giove, come si è visto nel Canto precedente, alcune anime si dispongono di fronte a Dante, creando la scritta Diligite iustitiam, qui iudicatis terram ovvero «amate la giustizia voi che giudicate la terra». E' il primo versetto del Libro della Sapienza, redatto da Re Salomone. Quindi è stato scritto da un re, che avvisa agli altri re su come comportarsi. E questo è uno dei temi principali del Cielo di Giove: la giustizia terrena amministrata dai potenti.

    Il Canto affronta anche il problema della giustizia divina e della salvezza di chi non ha mai conosciuto Cristo, argomento che continuerà col Canto successivo. Per la prima volta, qui in Paradiso c'è...un "elenco dei cattivi". Cattivi cristiani regnanti, messi in contrapposizione con chi non conosce Cristo direttamente, ma, per grazia di Dio, lo può conoscere.

    La giustizia di Dio opera in modo misterioso con gli uomini vissuti in modo virtuoso, ma senza conoscere il messaggio cristiano: i pagani vissuti prima di Cristo, o quelli che non l'hanno mai conosciuto dopo la sua venuta. Oppure i bimbi morti senza battesimo. Dante presenta il Limbo per questo tipo di anime, nella Commedia: questo non è un dogma di fede, ma una supposizione. Comunque, vero o no che sia il Limbo, Dante, con quella realtà, aveva indicato la necessità del battesimo e della diffusione della verità cristiana a tutte le genti. Gesù infatti aveva detto agli Apostoli di diffondere il Vangelo e il Battesimo a tutte le genti: al resto ci pensava Lui, in modi che noi non sappiamo. Però i cristiani, intanto, devono fare la loro parte: diffusione del Vangelo e Battesimo.

    L'aquila sostiene l'imperfezione e la limitatezza della ragione umana al cospetto di quella divina; inoltre, dichiara che l'intelletto umano non può pretendere di capire la giustizia di Dio, che è sì giusta, ma nello stesso tempo è oltre le capacità limitate di comprensione dell'uomo, che è solo una creatura. Bisogna aver fede nella sua Potenza e nel Suo amore, come disse Dio a Giobbe. Poi l'aquila ammonisce gli uomini a non essere superbi come Lucifero, e a non pretendere di vedere con la propria vista limitata quelle verità che distano mille miglia da lui. Prende poi spunto dal suo discorso sulla giustizia divina per rivolgere un'aspra invettiva contro i cattivi principi cristiani, che, nonostante abbiano avuto il lume della fede, hanno commesso innumerevoli malefatte.

    Se nel Quinto Cielo di Marte prevaleva l’immagine della croce, simbolo della redenzione, nel Sesto Cielo di Giove si staglia l’immagine dell’Aquila, simbolo dell’Impero: all’Impero infatti la provvidenza di Dio ha affidato l’ordine universale. Dal cielo di Giove deriva quindi la giustizia umana, che l’Impero ha il compito di mantenere nel mondo. Oggi, al posto dell'Impero, ci sono i Governi: ma la sostanza - e la responsabilità, attenzione - non cambia.

    BIBLIOGRAFIA
    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-xix.html

    (Continua qui)

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    Edited by joe 7 - 27/4/2024, 19:15
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