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  1. DIVINA COMMEDIA DI NAGAI E DI DANTE: INFERNO, CANTO 1 (incontro con Virgilio)

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    Divina Commedia
    By joe 7 il 17 June 2021
     
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    LA DIVINA COMMEDIA, CONFRONTO FRA ORIENTE E OCCIDENTE: DANTE ALIGHIERI E GO NAGAI
    (primo post: qui; precedente post: qui)

    INFERNO, CANTO 1 (seconda parte): L'INCONTRO CON VIRGILIO

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    Dante, circondato dalle tre fiere, non ha speranze: l'unica speranza che può avere è un avvenimento imprevisto, inaspettato, cioè l'arrivo di Virgilio. E' quell’incontro gratuito e insperato che salva la vita a Dante. Se pensiamo a quello che ci è successo in passato, ricorderemo di certo qualche avvenimento simile, cioè una situazione che appariva disperata che si è risolta con un aiuto inaspettato. Dante descrive così il primo incontro con Virgilio:

    Mentre ch'i' rovinava in basso loco, (cadevo in basso)
    dinanzi a li occhi mi si fu offerto
    chi per lungo silenzio parea fioco.


    Il verbo "offerto" indica che, in quella situazione di crisi e di difficoltà, viene donato a Dante un incontro imprevisto, immeritato, gratuito. Non sono i suoi meriti, le sue capacità a salvarlo. Ciò che lo salva è la sua capacità di domandare aiuto, la sua mendicanza, che subentra all’iniziale desiderio di totale autonomia che aveva prima. Tanto che grida:

    Miserere di me […] (abbi pietà di me)
    qual che tu sii, od ombra od omo certo!


    VIRGILIO SI RIVELA

    Dante non sa ancora di avere davanti a sé Virgilio, la persona che stima maggiormente e che è stata per lui un modello per la vita e per la poesia. Come chi si trovasse in un bosco cercasse all’inizio di uscire da solo e poi, col trascorrere del tempo e il calare delle tenebre, si mettesse a gridare, altrettanto fa Dante. Virgilio svela la sua identità a poco a poco:

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    Non omo, omo già fui,
    e li parenti miei furon lombardi,
    mantoani per patria ambedui.
    Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi, ("sub Iulio": sotto il governo di Giulio Cesare; "ancor che fosse tardi": troppo tardi per conoscere Cesare di persona perchè fu ucciso)
    e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto
    nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
    Poeta fui, e cantai di quel giusto
    figliuol d'Anchise che venne di Troia, (cioè Enea, il personaggio dell'Eneide di Virgilio)
    poi che 'l superbo Ilïón fu combusto.
    (la città di Troia che bruciò tra le fiamme)

    Virgilio dice di essere vissuto all’epoca dell’Imperatore Augusto, quando ancora non si era compiuta la rivelazione cristiana ("nel tempo de li dèi falsi e bugiardi"), di essere stato poeta e di avere scritto l’Eneide. Nel Medioevo fu considerato un profeta perchè anticipò l’avvento di Cristo nel suo quarto libro delle Bucoliche (detto "Quarta Egloga", cioè quarto componimento):

    nasce da capo un grande ciclo di secoli;
    già torna la Vergine (e) ritornano i regni di Saturno,
    già una nuova progenie viene mandata dall’alto del cielo.
    […] Tu, o casta Lucina, sii favorevole al bambino che ora nasce
    con cui per la prima volta cesserà la generazione del ferro
    e in tutto il mondo nascerà quella dell’oro:
    […] Egli riceverà la vita degli dei e vedrà gli eroi mescolati agli dei,
    ed egli stesso sarà visto con loro.


    Il poeta mantovano non si riferiva in quei versi alla nascita di Gesù, ma al matrimonio tra Ottavia e Marco Antonio, e questo i medievali lo sapevano bene. Ma il senso profondo della composizione superava le intenzioni stesse del poeta. Per i medievali, infatti, un uomo d'arte era anche profeta senza saperlo. Tornando alla Divina Commedia, Virgilio, dopo aver svelato la sua identità, invita Dante a riconoscere in maniera consapevole di avere bisogno di aiuto: gli chiede perché non salga da solo il monte da cui deriva ogni felicità (il colle luminoso). Lui sa bene il perchè, ma vuole che Dante gli risponda, in modo che si renda bene conto della sua situazione.

    Ma tu perché ritorni a tanta noia? (ritorni in questo luogo doloroso, la selva)
    Perché non sali il dilettoso monte
    ch'è principio e cagion di tutta gioia?


    IL VERO MAESTRO

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    Ogni giorno, se siamo onesti con noi stessi, dobbiamo mendicare, prendere coscienza che da soli non ce la possiamo fare: dobbiamo riconoscere la necessità di un aiuto e di una compagnia. Ma stiamo attenti: Dante non si sceglie lui il maestro, piuttosto si imbatte in maniera imprevista e gratuita in qualcuno. Dante dovrà riconoscere l’autorevolezza di Virgilio, chiamarlo "autore, maestro e duce". L’autorità, infatti, non è mai pretesa dal maestro, ma è sempre riconosciuta dal discepolo. Noi percepiamo l’autorità di qualcuno quando avvertiamo che lui ha la capacità di dire qualcosa di importante sulla nostra vita (è quindi "autorevole"), sa valorizzare il nostro "io" e i nostri talenti. Noi ci fidiamo dei suoi giudizi e dei suoi consigli, ma, nel contempo, continuiamo a sentire la bellezza e la drammaticità della nostra libertà. Il maestro, infatti, scommette e sollecita la libertà dell’allievo, non la mortifica.

    Il lungo percorso di accompagnamento di Virgilio, attraverso l’Inferno e il Purgatorio, avrà termine sulla montagna del Paradiso terrestre. Il poeta latino, infatti, ad un certo punto ha adempiuto al suo compito, una volta portato Dante all’incontro con Beatrice. Il vero maestro sa farsi da parte, quando ha adempiuto alla sua missione. Non ha voluto legare a sé in maniera narcisistica il discepolo, ma, al contrario, gli ha indicato il bene per la sua vita, lo ha accompagnato per un tratto del percorso della vita e poi ha saputo farsi da parte. Virgilio ha portato Dante verso le stelle, verso il compimento del suo desiderio. Il vero maestro conduce al bene, non ferma il discepolo su se stesso in maniera idolatrica. Questa è la differenza tra il maestro e l’idolo/mito. Quanti miti vengono creati nell’epoca contemporanea ad uso e consumo dei più giovani! L’idolo/mito non indirizza mai alla verità, perché questa svelerebbe tutta l’inconsistenza dell’idolo stesso, ma presenta sé come risposta al desiderio di felicità del cuore dell’uomo. Stiamo attenti alle figure di falsi maestri che incontriamo sulla strada. Molti si nascondono sotto parvenze di bontà e false promesse, per irretire le nostre coscienze e impadronirsi dei nostri cuori. Il vero maestro non sprona i discepoli a soffermarsi su di lui, ma li indirizza al bene, indica loro la strada, la verità. Il vero maestro sollecita nel cuore dell’uomo il desiderio dell’Infinito e dell’Eternità. Di fronte a Virgilio, Dante manifesta un debito di gratitudine:

    Or se' tu quel Virgilio e quella fonte
    che spandi di parlar sì largo fiume? […]
    O de li altri poeti onore e lume,
    vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
    che m'ha fatto cercar lo tuo volume.
    Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,
    tu se' solo colui da cu' io tolsi
    lo bello stilo che m'ha fatto onore.


    Questa è la posizione davvero umana, la mendicanza:

    Vedi la bestia per cu’io mi volsi:
    aiutami da lei, famoso saggio,
    ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi.


    A questo punto, solo dopo che Dante si è messo a piangere, Virgilio gli propone di seguirlo:

    A te convien tenere altro viaggio
    […] se vuo' campar d'esto loco selvaggio;
    […] io per lo tuo me' penso e discerno
    che tu mi segui, e io sarò tua guida.


    Il viaggio che intraprenderanno non sarà, però, quello che aveva in mente Dante, in direzione del colle luminoso. Si dovrà prima guardare in faccia il male proprio e quello altrui nell’Inferno, poi si attraverserà il Regno delle anime purganti, il Purgatorio, e solo più tardi si potrà vedere la beatitudine dei santi del Paradiso e infine la visione di Dio, lo scopo della vita dell'uomo.

    L'IMPORTANZA DEL DESIDERIO, DEL SENSO DELLA VITA

    Come descrive bene questo atteggiamento Antoine de Saint Exupery nella "Cittadella" 1 quando scrive: "Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare la legna, dividere i compiti e impartire ordini. Ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito." Solo dopo si potrà tagliare la legna, eccetera.

    ADSE


    Nella stessa opera compare la figura del capo che istruisce i generali, spronandoli ad essere pienamente uomini, mantenendo vivo il desiderio, invece di comandare dando ordini e basta: "Voi non vincerete, perché cercate la perfezione. Infatti, proibite gli errori e, per agire, attendete di conoscere se la mossa che si vuol tentare è di un’efficacia chiaramente dimostrata. La torre, la roccaforte o l’impero invece crescono come l’albero racchiuso nel seme: sono manifestazioni della vita, perchè è necessario che ci sia l’uomo perché nascano. Ma l’uomo crede di calcolare, crede che la ragione e la sola ragione governi la costruzione delle sue pietre, quando invece la costruzione con quelle pietre è nata dapprima dal suo desiderio. La roccaforte è racchiusa in lui, nell’immagine che porta nel suo cuore, come l’albero è racchiuso nel seme. I suoi calcoli non fanno altro che dare forma al suo desiderio e illustrarlo. Voi non potete spiegare l’albero, se mettete in evidenza solo l’acqua che ha succhiato, i succhi minerali che ha assorbito, il sole che gli ha prestato la sua forza. Voi perderete la guerra (quella della vita), perché fate solo dei ragionamenti, ma non desiderate nulla." Cioè, vedono solo le cose, mai il loro significato; vedono l'uomo, ma non il suo significato, il suo mistero, il suo desiderio di infinito. Vedono la vita, ma non ne comprendono il senso. Quindi amministrano male sia le cose, che l'uomo, che la vita, e per questo perdono.

    LA VERSIONE DI NAGAI: LA CORRUZIONE DELL'UOMO

    Go Nagai qui è molto fedele ai dialoghi tra Dante e Virgilio: tuttavia, ha fatto un'aggiunta. Quando parlano della lupa, Dante dice: "Dunque quella lupa proviene dall'inferno?" E Virgilio, di rimando: "Sì! Sono stati i sentimenti di rivalità e di invidia degli uomini a richiamarla da lì!"

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    E' una visione che non è cristiana: infatti, sarebbe come dire che l'uomo è naturalmente corrotto e quindi attira il diavolo. Ma non è così, anzi è il contrario: è il diavolo che corrompe l'uomo, non viceversa. Il diavolo - in questo caso la lupa - suscita sentimenti di rivalità e invidia: sta all'uomo decidere se ascoltarlo o meno. L'uomo non è corrotto, non è naturaliter malvagio, ma è ferito dal peccato originale di Adamo, è debole, e quindi può cadere nella tentazione che il diavolo (la lupa) gli dà (e anche a Dante, preso come esempio dell'uomo). Essendo debole, può cadere facilmente alla tentazione per la sua debolezza. La lupa indica anche tutte le volte che Dante è caduto e ha commesso il male. Per questo bisogna chiedere aiuto a Dio, che dà la forza di resistere alla tentazione. La visione di Nagai invece è diversa: dicendo che "sono stati i sentimenti di rivalità e di invidia degli uomini a richiamarla (la lupa) da lì (dall'inferno)!" indica l'uomo non come persona ferita, ma come persona corrotta, naturalmente malvagia, che attira il diavolo e può salvarsi solo con l'aiuto di Dio, ma resta malvagia nel suo cuore: una cosa che è completamente contraria alla visone cristiana. E' la stessa conclusione a cui arriva Nagai nel suo manga più famoso, Devilman (dove però Dio è assente e c'è solo l'uomo corrotto).

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    1 Antoine de Saint-Exupery, famoso per l'opera Il piccolo principe, scrisse anche La cittadella, l'ultima sua opera: un insieme di riflessioni in cui l'autore spiega che l'uomo non è fatto per vivere delle cose, ma del senso delle cose, del loro significato.

    Bibliografia: Bussola Quotidiana, Giovanni Fighera

    (Continua qui)

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    Edited by joe 7 - 23/9/2022, 18:23
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    Che bella riflessione.
    Io considero te, Jope7, il mio maestro durante quest'analisi così profonda.
     
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    CITAZIONE (Andrea Micky1 @ 17/6/2021, 22:05) 
    Che bella riflessione.
    Io considero te, Jope7, il mio maestro durante quest'analisi così profonda.

    Ti ringrazio, ma non è farina del mio sacco: è di Gianni Fighera (insegnante di italiano e latino nei Licei, giornalista e scrittore, conduttore radiofonico): ho messo il suo link in fondo all'articolo. Ho solo aggiunto poi qualcosa, ma il succo del discorso è suo. ^_^
     
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