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  1. DIVINA COMMEDIA DI NAGAI E DI DANTE: INFERNO, CANTO 26

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    Divina Commedia
    By joe 7 il 9 April 2022
     
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    INFERNO, CANTO 26 - OTTAVO CERCHIO O MALEBOLGE
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    OTTAVA BOLGIA - CONSIGLIERI FRAUDOLENTI: ULISSE

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    Ulisse e Diomede in mezzo al fuoco.


    DANNATA FIRENZE!

    Siamo sempre nell'Ottavo Cerchio dei Fraudolenti, diviso in dieci Bolge, cioè fosse. Dante e Virgilio hanno appena superato la Settima Bolgia, quella del Ladri, e il poeta rivolge un aspro rimprovero a Firenze, che può davvero vantarsi della fama che ha acquistato anche all'Inferno, visto che ha incontrato nel precedente Canto ben cinque ladri fiorentini, che lo fanno vergognare e non danno certo onore alla città. Ma se è vero che i sogni fatti al mattino sono veritieri, allora Firenze avrà ben presto la punizione che molti le augurano, compresa la piccola città di Prato: se anche già fosse così sarebbe troppo tardi e più passerà il tempo, più il castigo della città sarà grave.

    OTTAVA BOLGIA, CONSIGLIERI FRAUDOLENTI

    Dante e Virgilio risalgono ora sul ponte roccioso che sovrasta l'Ottava Bolgia, dove si trovano i Consiglieri Fraudolenti, o consiglieri di frode: cioè coloro che hanno utilizzato la loro abilità nel parlare per dare suggerimenti ingannevoli. Per farla breve, sono gli ingannatori. Proseguono lungo il cammino erto, in cui bisogna aiutarsi anche con le mani. Giunti al culmine del ponte, Dante guarda in basso: come il contadino, che d'estate si riposa sulla collina alla fine della giornata e vede nella valle sottostante tante lucciole, altrettante fiamme vede Dante sul fondo. E, come il profeta Eliseo dell'Antico Testamento, che vide il carro di fuoco, che rapì il suo maestro e profeta Elia, allontanarsi nel cielo, scorgendo solo una fiamma che saliva, così Dante vede solo le fiamme muoversi nella fossa, senza distinguere il peccatore nascosto dal fuoco. Il poeta si sporge dal ponte per vedere meglio, protendendosi al punto che cadrebbe di sotto, se non si aggrappasse a una sporgenza rocciosa. Virgilio, che lo vede così attento, gli spiega che dentro ogni fuoco c'è lo spirito di un dannato avvolto dalle fiamme.

    ULISSE E DIOMEDE

    Dante ringrazia il maestro della spiegazione, anche se lo aveva già intuito. Gli chiede chi ci sia dentro uno di quei fuochi, che si leva con due punte, simile al rogo funebre di Eteocle e Polinice1. Virgilio risponde che all'interno ci sono Ulisse e Diomede 2, i due eroi greci che furono insieme nel peccato e ora scontano insieme la pena. I due sono dannati per l'inganno del cavallo di Troia, per il raggiro che sottrasse Achille a Deidamia (la moglie di Achille) 3 e per il furto della statua del Palladio 4.

    Palladio
    Il Palladio, la statua sacra di Atena, dea della saggezza, equivalente alla Minerva dei Romani.


    Dante chiede se i dannati possono parlare dentro il fuoco e prega Virgilio di far avvicinare la duplice fiamma, tanto è desideroso di parlare coi dannati all'interno. Virgilio risponde che la sua domanda è degna di lode, tuttavia lo invita a tacere e a lasciare che sia lui a interpellarli, perché, essendo greci, sarebbero forse restii a parlare con Dante. Quando la doppia fiamma, innalzandosi lentamente, giunge abbastanza vicina ai due poeti, Virgilio si rivolge ai due dannati e prega loro di raccontare le circostanze della loro morte, in virtù dei meriti che lui, come poeta, ha acquistato quando scrisse l'Eneide 5. La punta più alta della fiamma inizia a scuotersi, come se fosse colpita dal vento, quindi emette una voce, come una lingua che parla. La forma di lingua della fiammella richiama, del resto, l’uso fraudolento della parola. Diomede tace, mentre Ulisse racconta che, dopo essersi separato da Circe, che l'aveva trattenuto più di un anno a Gaeta, e dopo essere tornato a Itaca e che si era vendicato dei Proci, né la nostalgia per il figlio o per il vecchio padre, né l'amore per la moglie, poterono vincere in lui il desiderio di esplorare il mondo. Si era quindi messo in viaggio di nuovo in alto mare, insieme ai suoi compagni, che non lo avevano lasciato neppure in questa occasione. Si erano spinti nel Mediterraneo, costeggiando la Sardegna, la Spagna, il Marocco, giungendo infine allo stretto di Gibilterra, dove Ercole pose le famose colonne, oltre le quali non era permesso andare. Laggiù Ulisse si rivolse ai suoi compagni, esortandoli a non negare alla loro esperienza, giunti ormai alla fine della loro vita, l'esplorazione dell'emisfero australe, cioè a Sud, della Terra, che era totalmente disabitato (così si pensava allora). Dovevano pensare alla loro origine, essendo stati creati per seguire virtù e conoscenza e non per vivere come bestie. Il breve discorso li aveva talmente spronati a proseguire, che Ulisse li avrebbe trattenuti a stento. Proseguirono verso ovest, attraversando le colonne d'Ercole e iniziando il loro folle viaggio. La notte mostrava ormai le costellazioni del Sud. Il plenilunio si era già ripetuto cinque volte, cioè erano passati cinque mesi di viaggio, quando era apparsa loro una montagna, che era il Purgatorio: scura per la lontananza e più alta di qualunque altra montagna avessero mai visto. Ulisse e i compagni se ne rallegrarono, ma presto l'allegria si tramutò in dolore: da quella montagna sorse una tempesta che investì la nave, facendola ruotare tre volte. Poi la inabissò, levando la poppa in alto, finché il mare l'ebbe ricoperta tutta.

    COMMENTI

    ULISSE

    L'Ulisse dantesco è simile a quello classico, anche se la scena della sua fine, descritta da Dante, non è riportata. Almeno non direttamente. Infatti, nel libro 11 dell'Odissea, Tiresia, l'indovino, predisse il futuro di Ulisse: una volta uccisi i Proci, ripartirà verso terre lontane, oltre le Colonne d'Ercole e giungerà ad una terra sconosciuta (l'America?). Poi tornerà a Itaca e una lieta morte verrà dal mare dopo una serena vecchiaia, circondato da popoli pacificati. La colpa di Ulisse è legata alla conoscenza pervertita per i propri scopi e all'uso della parola per tessere inganni: questo peccato infatti è di natura intellettuale. Ulisse e Diomede scontano all'Inferno gli imbrogli che avevano ordito insieme, soprattutto l'inganno del cavallo di Troia. Tra l'altro, la storia del cavallo di legno non è narrata nè nell'Iliade nè nell'Odissea, ma nell'Eneide di Virgilio. Il poeta mantovano dice che l'inganno del cavallo era avvenuto grazie alle bugie di Sinone, istruito da Ulisse. E nella Divina Commedia Dante narra anche la frode di Ulisse nei confronti dei suoi compagni, pronunciando una delle frasi più famose del poema:

    Considerate la vostra semenza: (Pensate alla vostra origine:)
    fatti non foste a viver come bruti, (non siete stati creati per vivere come bestie,)
    ma per seguir virtute e canoscenza. (ma per seguire la virtù e la conoscenza.)

    Quello che dice Ulisse qui, infatti, è giusto: l'uomo non è fatto per vivere da bruto, pensando solo a soldi, donne e divertimenti, ma per conoscere e conoscersi, e per crescere nella virtù, cioè nell'agire e pensare bene. Il problema è il contesto ingannevole in cui pronuncia questa frase: infatti, non è possibile "seguire virtù e conoscenza" esplorando un mondo disabitato, come lo descrive lo stesso Ulisse. Cosa cavolo impari in un deserto? Ulisse vuole solo soddisfare la propria curiosità, fine a se stessa. Trascina così i suoi compagni in un "folle volo", come giustamente lo chiama lui, che infrange i divieti divini e si concluderà con la morte di tutti loro. Perchè ci sono "divieti divini" qui? Perchè si tratta della superbia intellettuale di salvarsi da soli, coi propri sforzi. In sostanza, essere Dio di se stessi. La follia di Ulisse consiste nel dimenticare di essere solo una semplice creatura, esaltando la propria intelligenza all'infinito, al punto di trasformare ciò che è positivo (il desiderio di seguire virtù e conoscenza) in un'irragionevole negazione dell'esistenza di ogni limite, diventando, come ho già detto, Dio di se stessi. E' la tentazione di base del serpente che ingannò Adamo ed Eva, dicendo che, a mangiare il frutto proibito, "diventerete come Dio". Lungi dall'essere quindi un eroe positivo della conoscenza, come è sempre stato definito, Ulisse è per Dante l'esempio negativo di chi usa l'ingegno e l'abilità retorica per scopi illeciti, e per superbia intellettuale. E, in particolare, è su questo che Dante si sente coinvolto, perché anch'egli, forse, ha tentato un "volo" altrettanto folle, cercando di arrivare alla piena conoscenza e salvezza con la sola guida della ragione, senza l'aiuto della grazia, cioè senza l'aiuto di Dio.

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    Dante e Ulisse: delle affinità inaspettate.


    Questo è il peccato di natura intellettuale (tipico del pensiero illuminista, che divinizza la Ragione), che è all'origine dello smarrimento di Dante nella selva, e che va probabilmente ricondotto a un allontanamento dalla teologia, e quindi dal Cristianesimo, avvenuto dopo la morte di Beatrice. Da allora infatti il poeta si era dato agli studi filosofici (frutto di questa fase del suo pensiero e della sua opera era stato il Convivio). È difficile sapere in cosa esattamente consistesse il "traviamento" di Dante: più avanti, nel Purgatorio (Canto 30), Beatrice rimprovererà aspramente dante di essersi allontanato da Dio, seguendo "imagini di ben (...) false". La fama attuale di Ulisse è forse dovuta al fatto che lui incarna atteggiamenti "attuali": furbizia, individualismo, intelligenza, pragmaticità, astuzia, ingegno. E la differenza tra Dante e Ulisse descrive la distanza tra l’uomo antico alla ricerca di una verità e l’uomo cristiano che nasce in seguito all’incontro con la Verità.

    L'ODISSEA NON ERA ANCORA PIENAMENTE CONOSCIUTA

    La narrazione del viaggio di Ulisse è estranea alla tradizione omerica e deriva probabilmente a Dante da un rimaneggiamento tardo dell'Odissea, che il poeta non poteva leggere nel testo originale. Bisogna ricordare, infatti, che Dante visse fino al 1321, e fino a quella data l'Odissea non era conosciuta dai testi originali, che non avevano ancora raggiunto l'Italia. La letteratura apprezzata a quei tempi era soprattutto quella latina, non quella greca. L'Odissea conosciuta a quei tempi era solo quella tradotta in latino da Livio Andronico, con rimaneggiamenti vari (oggi quella versione è andata quasi perduta). Solo quarant'anni dopo la morte di Dante, nel 1360-62, ci fu la traduzione in italiano - ma presa dal latino di Livio Andronico, non dai testi greci originali - per opera del monaco Leonzio Pilato. A quei tempi, infatti, i testi originali greci non erano reperibili. Soltanto dopo la caduta di Costantinopoli (1453), i letterati greci, che erano fuggiti dai Turchi e trovarono rifugio in Italia, portarono con sè i testi greci originali della letteratura, tra cui appunto l'Odissea. Così, alla fine del '500 ci furono le prime traduzioni italiane direttamente del testo omerico per opera di Ludovico Dolce e altri. Oggi, l'Odissea che leggiamo, spesso è una traduzione italiana dai testi originali ad opera del letterato Ippolito Pindemonte del 1805 o dell'insegnante Rosa Calzecchi Onesti (1963), più recente, anche se sono in circolazione altre traduzioni, ma meno famose.

    IL DANTE DI NAGAI

    Questo Canto è presentato di sfuggita nella Divina Commedia di Nagai: Ulisse non parla con Virgilio, nè racconta la sua fine. E' solo Virgilio che parla e presenta sia la Bolgia che Ulisse a Dante, che rimane sorpreso che uno come lui sia all'Inferno. Inoltre, la narrazione si interrompe un momento per raccontare in una pagina la storia del Cavallo di Troia, perchè forse era poco conosciuta dai Giapponesi, che conoscono soprattutto le leggende orientali. La pena per cui Ulisse e Diomede sono puniti, per Nagai, è dovuta solo alla faccenda dell'inganno del Cavallo di Troia, quindi per non essere stati leali. Nagai dà così una spiegazione parziale della presenza di Ulisse nell'Inferno.

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    Devo anche dirvelo cos'è?


    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/inferno-canto-xxvi.html

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    1 Eteocle e Polinice erano i due fratelli tebani figli di Edipo e Giocasta. Si odiavano a tal punto che, dopo essersi uccisi l'un l'altro, dal loro rogo funebre, su cui furono posti insieme, si levò addirittura una fiamma divisa in due. Per dire.

    2 Diomede: Re di Argo, partecipò alla guerra di Troia. Inseparabile compagno e amico di Ulisse, insieme a lui convinsero Achille con un inganno a partecipare alla guerra di Troia; poi rubarono il Palladio e fecero il famoso inganno del Cavallo di Legno.

    3 Teti, la ninfa madre di Achille, non voleva che il figlio partisse per Troia, perchè le profezie dicevano che sarebbe morto lì. Quindi lo travestì da donna, per evitare che Ulisse e Diomede lo scoprissero. Allora i due fecero un trucco per trovare Achille: presentarono alle donne dei vestiti, delle collane, delle perle, degli orecchini preziosissimi, insomma oggetti femminili di grande qualità, che sarebbero piaciuti molto alle donne. E infatti vennero in gran numero a esaminarle e comprarle. Però Ulisse e Diomede misero in un angolo anche delle armi: spade, scudi, lance, eccetera, di eccezionale fattura. Achille, pur essendo vestito da donna, era attratto dalle armi come lo è un uomo, e si avvicinò solo a quelle, studiandole ammirato e trascurando completamente tutto il resto. Ulisse lo scopri e gli disse della guerra a Troia, cosa che la madre gli aveva nascosto. Quindi Achille partì con loro, abbandonando anche la moglie Deidamia.

    4 Palladio: Statua sacra che raffigurava la dea Pallade Atena ("pallade" in nome dell'amica di Atena, la ninfa Pallade, che Atena uccise per errore e prese il suo nome in segno di lutto). Era fatta di legno e aveva il potere di difendere la città di Troia, che fu distrutta infatti solo dopo che Ulisse e Diomede riuscirono a rubarla. Si travestirono da mendicanti ed entrarono nella città; presero l'immagine della dea e, scavalcando le mura, la portarono nel loro accampamento.

    5 Nell'Eneide, comunque, Ulisse e Diomede sono citati solo di sfuggita.

    (Continua qui)

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    Edited by joe 7 - 23/4/2022, 16:49
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    Anche io da piccolo, rimasi sorpreso di trovare Ulisse tra i dannati.
    Un mio amico mi ha spiegato però che gli eroi greci avevano delle "sfaccettature" che li rendevano imperfetti (ad esempio: Ercole strangolò il suo maestro di musica perché aveva criticato il suo modo di suonare la lira).
    Come hai scritto tante volte, l'uomo deve confidare nelle sue capacità, ma anche nell'aiuto di Dio, senza il quale nulla é possibile.
    Piccola domanda. che differenza c'é tra illuministi e massoni, entrambi convinti di salvarsi solo grazie all'intelligenza?
     
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    CITAZIONE (Andrea Micky1 @ 9/4/2022, 16:50) 
    Anche io da piccolo, rimasi sorpreso di trovare Ulisse tra i dannati.
    Un mio amico mi ha spiegato però che gli eroi greci avevano delle "sfaccettature" che li rendevano imperfetti (ad esempio: Ercole strangolò il suo maestro di musica perché aveva criticato il suo modo di suonare la lira).
    Come hai scritto tante volte, l'uomo deve confidare nelle sue capacità, ma anche nell'aiuto di Dio, senza il quale nulla é possibile.
    Piccola domanda. che differenza c'é tra illuministi e massoni, entrambi convinti di salvarsi solo grazie all'intelligenza?

    Tra gli illuministi e massoni non c'è praticamente nessuna differenza: gli stessi illuministi erano massoni.

    Gli eroi dei tempi antichi non avevano una concezione perfetta del concetto di bene e di male: infatti non erano cavalieri cristiani (la categoria oggi più derisa al mondo, dai tempi di Brancaleone). L'eroe cristiano sa quando fa il bene e quando sbaglia, perchè grazie alla sua fede, sa ciò che è giusto fare (difendere i deboli, difendere la verità, combattere contro i prepotenti e le ingiustizie) e ciò che è sbagliato fare (pirateria, approfittare delle donne conquistate, gettare i figli dei vinti nel baratro: tutte cose che facevano gli eroi dell'Iliade, ed era una cosa accettata da tutti). Senza l'aiuto di Dio, non riesci a distinguere il bene dal male (la ragione, se ben usata, aiuta, ma non basta) e fai il male senza saperlo. Ma, anche se non lo sai, fai comunque il male. Come facevano gli eroi greci.
     
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