MEGLIO E PEGGIO: LE ALTRE TESTATE BONELLI(primo articolo analisi: qui; precedente articolo: qui.)MARTIN MYSTERE 400: "I COLORI IMPOSSIBILI" - VOTO: 6Soggetto e sceneggiatura: Carlo Recagno
Disegni: Giancarlo Alessandrini, Fabio Grimaldi, Alfredo Orlandi, Rodolfo Torti
Colori: Daniele Rudoni, Elisa Sguanci
TRAMAI colori all'improvviso stanno scomparendo, lasciando soltanto il bianco, il nero e il grigio. L'illusionista
Spektor analizza la situazione, mostrando ai personaggi alcune storie su Martin Mystere: una su un particolare apparecchio che fa vedere i desideri nascosti; un altro sul colore magenta e sulle sue particolarità; un altro infine su Angie, Dee e Kelly in un universo alternativo a causa di un mandala (immagine della religione indiana) e risolvendo così alla fine il caso.
COMMENTOIn sostanza, si tratta di alcune storie slegate mostrate qui una di seguito all'altra, col tenue legame dei colori: è stato lo stesso procedimento fatto anche per gli altri "centenari" di Martin Mystere. Tra l'altro, i miei più sinceri complimenti per essere arrivati fino al quattrocentesimo numero.
Lo sceneggiatore
Carlo Recagno ha realizzato soprattutto gli
Speciali di Martin Mystere, dopo il periodo di Castelli. La storia parte dllo spunto dei colori, come ho detto, per passare poi di palo in frasca, collegando storielle brevi con Martin Mystere e i vari coprotagonisti come Angie, Dee, Kelly, Docteur Myst
ere, eccetera. Niente di eccezionale, ma divertente, comunque. I miei complimenti per la documentazione che c'è dietro ogni storia e ogni dettaglio.
Come al solito, insieme al fumetto ci sono: Fantasmagoria, la rubrica di Alfredo Castelli coi "Misteri di Mystere", stavolta basata (ovviamente) sui colori; il capitolo finale del racconto di Andrea Carlo Cappi, “Zona Y”; una striscia dei Bonelli Kids; una pagina di Zio Boris di Castelli e Bonfatti. Così, però, la storia è di
82 pagine, invece delle canoniche 98...
L'IDEA ERRATA DEI COLORIIl concetto base della storia, cioè che i colori non esistono, ma sono solo percezioni dei nostri sensi, è un esempio di
nominalismo, cioè di quella corrente filosofica secondo la quale è impossibile percepire il reale così com'è: del reale noi sappiamo solo il nome, ma non la sostanza (lo dice anche il famoso
"Nome della rosa" di Umberto Eco). Per capirci, è il concetto base delle religioni orientali, secondo le quali tutta la realtà è illusione.
Esattamente il contrario di quello che dice il cristianesimo, che dice che la realtà esiste ed è percepibile dai nostro sensi: questo è sintetizzato nella famosa scena di Tommaso d'Aquino, che portava una mela all'inizio della sua lezione, la metteva sulla cattedra, la indicava agli studenti e diceva: "Questa è una mela. Con un colore indiscutibilmente rosso con striature verdi in alto. Chi non è d'accordo, può andarsene". Cioè: i colori
esistono, ci sono, e noi li percepiamo così come sono. Non sono frutto dell'immaginazione dei sensori degli occhi.
Quello che percepiamo, sia con la vista, che col tatto, con l'olfatto, col gusto e con l'odorato,
è quello che è, pur con tutte le limitazioni del caso (nel buio è ovvio che non si vedano i colori, per esempio; oppure, il daltonismo è una malattia, ma non è una possibilità di vedere i colori in modo alternativo).
I sensi ci servono per entrare in contatto con la realtà, non per darci un'illusione di realtà. Per fare quello, basterebbe usare la TV, o internet, o il cinema, o tutte le varie esperienze tridimensionali, che mostrano - quelle sì - delle cose che non esistono.
Ma la realtà esiste, e la percepiamo coi sensi, che sono stati fatti proprio perchè noi la potessimo percepire. E' strano che nessun personaggio, in questo fumetto dalla grande documentazione, si renda conto che tutti gli uomini percepiscono, o possono percepire, gli stessi colori, uguali l'uno per l'altro (con le solite eccezioni dovute a casi particolari). Tra noi e il reale c'è sempre corrispondenza.
LE STORIE 131 - WILD BILL HICKOK - VOTO: 3Soggetto, Sceneggiatura, Disegni e Copertina: Rino Albertarelli (Orpo! )
Rino Albertarelli è stato un autore famoso sin dai tempi del dopoguerra: sono memorabili i suoi
Kit Carson e
Faust, con un Mefistofele che sarà poi ripreso da Bottaro per la storia di Paperino che interpreta il
Dottor Paperus.
Faust e il diavolo Mefistofele di Albertarelli.
Questa storia fa parte della collana
"I protagonisti" (1973), che fu il suo ultimo lavoro (purtroppo restato incompleto), realizzato dopo un lungo periodo di inattività. Sono storie che raccontano la vita vera (o almeno così sembrerebbe) di vari personaggi famosi del west: Toro Seduto, Custer e così via. Qui tocca a
Wild Bill Hickok. Albertarelli qui è autore completo, sia nei testi che nei disegni.
Si tratta però di storie di altri tempi, con una narrazione che già nel 1973 era datata. I personaggi sono statici, lo sfondo è quasi inesistente, la narrazione è didascalica: tutto stile fumetti anni '50. Inoltre, essendo una storia ufficialmente "realistica", sembra di leggere le avventure di tanti imbecilli sbandati, contaballe e vigliacchi, più che di "eroi del west".
Si vede che l'intenzione della serie era quella di "demitizzare" gli eroi: dopotutto qui siamo nel periodo degli anni di piombo e si esaltava il ribelle, mentre l'eroe era preso in giro come un povero deficiente, o veniva trattato come un delinquente oppure un mezzo disgraziato: infatti, anche i racconti della "storia rivisitata" del Numero Uno di Alan Ford seguivano lo stesso filone, anche se in modo più farsesco, con un Leonida capo degli spartani e ciccione, un Giulio Cesare ladro di polli e così via. Qui Hickok è chiamato
"l'onesto assassino", tanto per dare l'idea del personaggio da presentare.
Hickok il contaballe.
Il personaggio qui trattato, James Butler Hickok, detto "Wild" Bill, cioè Bill il selvaggio, era considerato come il più grande pistolero che ci sia mai stato nel west. Finì la sua vita ucciso a tradimento alle spalle da
Jack McCall, un cercatore di fama che voleva diventare famoso per aver ammazzato il grande pistolero. Hickok fu ucciso mentre giocava a poker, a Deadwood: aveva in mano due otto e due assi, una combinazione che da allora fu chiamata
"la mano del morto". Anche qui il tono didascalico e il racconto piatto non rende certo avvincente la storia: infatti si dimentica subito. Non c'è da meravigliarsi se la collana dei "Protagonisti" ebbe scarso successo. Mi spiace per Albertarelli, ma questa storia, con un Hickok che non ha nulla di eroico, tra l'altro, non va oltre un 3.
Di Hickok ricordo la sua famosa ballata, che iniziava così (il resto lo farò sapere a chi vuole saperlo):
"La lunga sua mano puniva ogni torto,
fino a quando non lo prese la mano del morto.
Di nome Bill Hickok, detto "Wild" il selvaggio,
di affrontarlo ben pochi avevano il coraggio.
Sparava in maniera talmente incredibile
che nacque la voce che fosse invincibile.
Per questo Bill Hickok, eroe solitario,
già da vivo era leggendario.
La lunga sua mano puniva ogni torto,
fino a quando non lo prese la mano del morto."Almeno in questa ballata lo trattavano da eroe, invece che da sbandato, assassino e contaballe come nel fumetto. Chi vorrebbe leggere le storie di uno così?
(qui posto il seguito sulla Bonelli)QUI TUTTI I LINK MEGLIO - PEGGIO DELL'ANNOQUI TUTTI I LINK SU ZAGORQUI TUTTI I LINK SULLA BONELLIEdited by joe 7 - 5/2/2024, 18:42
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