INFERNO, CANTO 22 - OTTAVO CERCHIO O MALEBOLGE - QUINTA BOLGIA: I BARATTIERI (seconda parte)(primo post: qui; precedente post: qui)
Il dannato Ciampolo riesce a sfuggire ai demoni buttandosi nella pece: Nagai da una litografia di Dorè.
Siamo sempre nella Quinta Bolgia dell'Ottavo Cerchio/Malebolge, descritta nel
Canto precedente: quella riservata ai Barattieri, cioè a chi guadagna impunemente usando della sua autorità e compiendo ingiustizie. Dante e Virgilio sono accompagnati dai diavoli del gruppo detto
Malebranche, che sono obbligati a guidarli all'uscita della Bolgia. Dante commenta lo sconcio segnale di Barbariccia, uno dei demoni dei Malebranche, cioè la famosa trombetta del Canto precedente, osservando che aveva già visto dei cavalieri mettersi in marcia, oppure attaccare in battaglia, eccetera, obbedendo a dei segnali fatti con trombe, tamburi, campane, anche fuochi: mai, però, aveva sentito un segnale come quello scurrile prodotto da quel diavolo.
Il poeta, mentre cammina, osserva la pece, cercando di scorgere i dannati all'interno. Ne vede alcuni che emergono solo col dorso, come fanno i delfini quando nuotano in mare, nelle vicinanze delle navi: sono però pronti a tornare sotto quando si avvicina il demonio
Barbariccia, che può straziarli con gli uncini. Dante li paragona anche a delle rane che sporgono dall'acqua solo col muso e tengono il resto del corpo nascosto. Uno dei dannati è meno rapido degli altri a tornare sotto la pece e il diavolo
Graffiacane, che gli è proprio di fronte, lo afferra per i capelli con l'uncino e lo tira su come si fa per una lontra. Tutti i demoni esortano un altro demonio,
Rubicante, a scuoiare il dannato con gli artigli; ma Dante chiede a Virgilio se può domandare al malcapitato quale sia il suo nome. Virgilio si avvicina e glielo chiede, quindi il dannato risponde di chiamarsi
Ciampolo e di essere originario del regno di Navarra (oggi una provincia a nord della Spagna). Era nato da uno scialacquatore suicida; la madre lo mise a servizio di re Tebaldo II, dove commise molte baratterie che gli hanno causato la dannazione. Il suo racconto è interrotto dal diavolo
Ciriatto che lo azzanna, ma poi Barbariccia lo pro
tegge con le braccia e intima ai compagni di lasciarlo a lui perché lo infilzi con l'uncino. Il diavolo si rivolge a Virgilio e lo esorta a chiedere altro al dannato, prima che venga straziato.
Ciampolo confessa le sue colpe
Virgilio si affretta a domandare al dannato se con lui ci siano degli italiani. Lui risponde che si è separato da poco da un barattiere, rammaricandosi di essere finito tra gli uncini dei Malebranche.
Libicocco, un altro diavolo, è impaziente e colpisce il dannato con l'uncino, straziandogli un braccio; anche un altro di loro,
Draghignazzo, lo ferisce alle gambe. Ma Barbariccia intima loro con un'occhiataccia di star fermi. I diavoli si acquietano e Virgilio domanda al dannato chi sia il compagno di pena da cui si è separato. Il barattiere risponde che è
frate Gomìta, governatore della Gallura (regione a nord cella Sicilia) e maestro di inganni, che ebbe in suo potere i nemici del suo signore Nino Visconti, ma li liberò in cambio di denaro, non tralasciando di compiere altre baratterie. Insieme a lui c'è anche
Michel Zanche, già governatore di Logudoro (antica regione sarda), che parla sempre della Sardegna col frate. Il dannato direbbe di più, ma teme che uno dei Malebranche (
Farfarello) sia pronto a infliggergli tormenti. Barbariccia si rivolge a Farfarello e lo invita bruscamente a farsi in là, quindi il dannato, pieno di timore, dice che, se Dante e Virgilio vogliono vedere dei toscani e dei lombardi tra i barattieri, lui potrà chiamarli con un segnale convenuto, purché i demoni stiano un po' indietro. Uno di loro,
Cagnazzo, scuote il capo e afferma che questo è un inganno escogitato da lui per cavarsi d'impaccio. Ma il dannato li convince:
Alichino, però, uno dei diavoli Malebranche, minaccia al dannato che, se tenterà di scappare, lo inseguirà volando. Poi esorta gli altri diavoli a lasciarlo libero e a nascondersi dietro l'argine, in modo che i dannati nella pece non possano vederli. Tutti i demoni obbediscono ad Alichino e lasciano il navarrese, che ne approfitta per saltare subito via e immergersi sotto la pece bollente. Alichino si getta all'inseguimento volando sulla superficie della pece, ma non riesce ad afferrare il dannato, come il falcone non riesce a ghermire l'anatra che si immerge sott'acqua. Il demone
Calcabrina, infuriato contro Alichino, si azzuffa con lui e si artigliano a vicenda. I due però finiscono dentro la pece bollente, dove il calore li induce subito a separarsi: ma la pece imbratta loro le ali e impedisce loro di levarsi in volo. Barbariccia, infuriato, manda quattro dei suoi in volo sull'altro argine e li dispone in punti precisi con gli uncini in mano, per permettere ad Alichino e Calcabrina di levarsi dalla pece che li invischia. Dante e Virgilio ne approfittano per scappare.
I diavoli si azzuffano.
COMMENTOQuesto Canto è il seguito ideale della «commedia degli inganni» iniziata in quello precedente: in effetti, proprio
l'imbroglio è il tema dominante. Il che non stupisce, se si pensa che i barattieri erano dei truffatori che approfittarono del loro ruolo pubblico per arraffare quattrini. E' da ricordare che Dante stesso fu accusato di baratteria e per questo fu esiliato da Firenze. Dante e Virgilio approfitteranno dell'accaduto per allontanarsi, riuscendo poi, nel Canto successivo, a gettarsi nella Bolgia seguente, dove i diavoli per decreto divino, non possono inoltrarsi.
La terminologia militare iniziale del canto indica che l'esercito dei Malebranche è sgangherato e grottesco, cosa che sarà dimostrata dal modo ridicolo con cui si lasceranno beffare. L'esordio è anche una parentesi stilisticamente elevata, che apre un Canto dominato invece da un linguaggio crudo, dai suoni aspri e dall'atmosfera violentemente comico-realistica.
Il dato più interessante è offerto dalle metafore animalesche, che ricorrono assai di frequente nei versi successivi: i barattieri che si celano sotto la pece sono paragonati prima a delfini, poi a rane che sporgono il muso dall'acqua; Ciampòlo, afferrato da un diavolo, viene tirato in secca come una lontra; Rubicante è esortato a scuoiarlo con gli «unghioni», come una belva affamata; Ciriatto è descritto come un cinghiale (porco) cui esce di bocca una zanna per lato; Ciampòlo è paragonato a un topo venuto a trovarsi tra male gatte; Barbariccia si rivolge a Farfarello chiamandolo malvagio uccello; Alichino che non riesce ad afferrare il dannato è paragonato a un falcone che non riesce a ghermire un'anatra sul pelo dell'acqua e poi a uno sparviero grifagno (pronto per la caccia) quando si azzuffa con Calcabrina; i due, invischiati nella pece, sono detti
impaniati, un vocabolo venatorio. I termini animaleschi non sono rari nella rappresentazione dell'Inferno, ma qui conferiscono un tono grottesco e degradato a tutto lo spettacolo, sottolineando da un lato la misera condizione dei dannati alla mercé dello strazio dei demoni, dall'altro la tetra bestialità dei Malebranche che si credono astuti ma saranno incredibilmente beffati dal barattiere.
Dante e Virgilio scappano via dai demoni in quel momento.
E in effetti tutta la scena è paragonabile a una
farsa, in cui prevalgono i toni burleschi e un feroce sarcasmo che colpisce i vari protagonisti (Dante stesso parla di
ludo, ovvero rappresentazione teatrale): Ciriatto azzanna il dannato facendogli sentire come una sola zanna sdruscia, squarciandone le carni; Barbariccia è definito pomposamente decurio e gran proposto, facendo ironia sul fatto che il diavolo è lo scalcinato caporione di una malandata squadraccia; Ciampòlo dice che Farfarello è pronto a grattargli la tigna, espressione volgare che significa «picchiare»; i due diavoli che finiscono nella pece sono subito separati dal caldo, mentre poi si dirà che sono cotti dentro da la crosta, proprio come i dannati che Virgilio aveva definito nel Canto precedente
"lessi dolenti" (lessi sta per "cotti" nella pece bollente). Le metafore culinarie si intrecciano con termini rari o popolari, dai suoni aspri e gutturali, come
accapriccia, arruncigliò, sdruscia, in cesso, rintoppo, buffa. La zuffa tra i demoni è l'occasione propizia di cui i due poeti approfittano per allontanarsi, il che dimostra una volta di più la goffa stupidità dei Malebranche che (similmente ad altre figure diaboliche dell'Inferno dantesco) non hanno nulla di veramente spaventoso, ma sono ridotti a una dimensione burlesca e parodistica tipica della letteratura medievale, lontanissima dalla tipica rappresentazione fascinosa e sinistra che del demonio offrirà in seguito tanta letteratura moderna, che arriverà sino ai giorni nostri.
VERSIONE DI NAGAIQui Nagai descrive in modo dettagliato la scena del Canto, aggiungendovi anzi del suo. Per cominciare, cita il verso di Dante:
Noi andavam con li diece demoni. (Noi camminavamo coi dieci diavoli.)Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa (feroce compagnia, ahimè, ma in chiesa)coi santi, e in taverna coi ghiottoni. (si deve stare coi santi e alla taverna con gli ubriaconi.)Qui il verso viene pronunciato da Virgilio, che, per esortare Dante, dice: "Come dice il proverbio, in chiesa coi santi e in taverna coi ghiottoni". Ed effettivamente si tratta di un proverbio popolare, citato anche da poeti comici come Cecco Angiolieri.
I diavoli chiedono a Dante cosa ne pensa di queste anime miserabili, cosa che nella Commedia non accade: anzi, i demoni non si rivolgono mai a Dante direttamente. Catturano Ciampolo, il dannato, che era nascosto dietro una roccia, mentre, invece, nella versione originale, era immerso nella pece. E, sempre nel manga, i diavoli chiedono a Dante se vuole "divertirsi con lui", cioè col dannato, facendogli delle domande. E straziano Ciampolo, inducendogli a rispondere a Dante. Nella versione originale, invece, i demoni vogliono solo straziare Ciampolo con gli uncini, e Dante chiede a Virgilio se lo si può interrogare prima: Virgilio lo chiede ai demoni e loro lasciano stare per un momento il dannato. Quindi anche qui non c'è nessun dialogo diretto tra i diavoli e Dante. Sempre nel manga, sono i diavoli a indurre Ciampolo a chiamare qualche altro dannato, mentre invece l'idea era stata del dannato.
Inoltre nel manga avviene una variazione, piuttosto grave, della storia: i diavoli di Nagai che litigano, finiscono nella pece come nella Commedia originale. Però
si sciolgono e muoiono. E il Virgilio nagaiano spiega che
"a differenza delle anime dei dannati, i corpi dei demoni non sono fatti per resistere all'infinito a quella pece bollente. Una volta caduti lì dentro, vengono liquefatti". E i demoni inseguono Virgilio e Dante dicendo che era colpa loro se i "loro compagni" sono morti. Ora, qui ci sono parecchi errori, anche teologici:
1) i demoni originali della Commedia non si sono liquefatti nella pece, tant'è vero che gli altri demoni lavorano per tirarli fuori.
2) i demoni non muoiono: sono immortali.
3) i demoni non hanno corpo, sono puro spirito: quindi non ha senso che Virgilio parli dei "corpi dei demoni".
4) i dannati che soffrono, soffrono effettivamente solo nell'anima, perchè sono solo anime: ma, nella resurrezione finale che avverrà alla fine del mondo, i corpi dei dannati si ricongiungeranno alle anime e soffriranno per l'eternità insieme alle anime. Quindi, semmai, sono i dannati ad avere (in futuro) un corpo, non i demoni.
L'errata interpretazione di Nagai, che qui mostra dei demoni che muoiono nella pece. Ma i demoni non muoiono, alla pari dei dannati.
Nagai presenta qui la sua versione orientale, in cui lo spirito (in questo caso i dannati) è più resistente del corpo (in questo caso, i demoni) e quindi è superiore al corpo. Nella visione cristiana, invece, corpo e spirito sono tutt'uno, benchè distinti, e hanno uguale dignità, anche se è più facile vedere con gli occhi la decadenza del corpo anzichè quella dell'anima.
BIBLIOGRAFIAhttps://divinacommedia.weebly.com/inferno-canto-xxii.html(Continua qui)QUI TUTTI I LINK SULL'ANALISI SU DANTEEdited by joe 7 - 19/3/2022, 16:19
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