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  1. DIVINA COMMEDIA DI NAGAI E DI DANTE: INFERNO, CANTO 33

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    Divina Commedia
    By joe 7 il 4 June 2022
     
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    INFERNO, CANTO 33 - NONO CERCHIO - LAGO DI COCITO
    ANTENORA (TRADITORI DELLA PATRIA): IL CONTE UGOLINO
    TOLOMEA (TRADITORI DEGLI OSPITI): FRATE ALBERIGO

    (primo post: qui; precedente post: qui)

    IL CONTE UGOLINO E RUGGIERI

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    Dante osserva il "fiero pasto" di Ugolino, che divora il Vescovo Ruggieri.


    Il dannato a cui Dante si è rivolto alla fine del Canto precedente, che è intento a divorare bestialmente la nuca del compagno di pena, la bocca sollevò dal fiero (cioè, orrendo, feroce) pasto e, essendo lorda di sangue, la pulisce coi capelli della vittima. Dice a Dante che la sua richiesta di spiegargli le ragioni di tanto odio rinnova in lui, al solo pensiero, un disperato dolore, prima ancora di parlarne. Tuttavia, se le sue parole dovranno infamare il nome dell'altro traditore, egli parlerà e piangerà al tempo stesso. Dopo aver osservato che Dante gli sembra fiorentino dall'accento, si presenta come il Conte Ugolino della Gherardesca e dichiara che la sua vittima è l'arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini. Ugolino, che era il reggente di Pisa, aveva tradito la sua città, dando dei castelli (roccaforti di difesa) a beneficio di Firenze e Lucca, rivali storiche di Pisa. Ugolino era scappato da Pisa per sfuggire alla punizione per il suo tradimento: ma il vescovo Ruggieri, di cui Ugolino si fidava, con un inganno lo fece tornare a Pisa di nascosto, e fu lì catturato e condannato a morire di fame nella Torre della Muda ("muda" sta per "muta": infatti, prima della condanna di Ugolino, quella torre era stata usata per rinchiudere i falchi - animali preziosi per la caccia - allevati dal comune di Pisa, durante il periodo della loro muta delle penne). Dopo il fatto di Ugolino, sarà chiamata Torre della Fame. Pisa, infatti, era una città allora famosa per la sua crudeltà e spietatezza: non per nulla Dante chiama Pisa "vituperio delle genti", dopo aver sentito il racconto di Ugolino. In particolare, Pisa era nota per la crudeltà delle sue punizioni: infatti, oltre alla terribile pena della morte per fame data ad Ugolino, condannarono alla stessa spaventosa punizione anche i suoi figli, che erano innocenti delle colpe del padre. Per avere un'idea dell'atrocità della pena, basti sapere che, nel campo di concentramento nazista (ma sarebbe più esatto chiamarlo "nazionalsocialista", il nome con cui i nazisti si sono sempre fatti chiamare) di Auschwitz, la pena più terribile di tutte era proprio il Bunker della Fame, dove facevano morire lentamente di fame e di sete: anche San Massimiliano Kolbe subì quella spaventosa sorte.

    Dante, nella Commedia, altera parzialmente la verità storica dell'episodio, visto che a lui interessava soprattutto mostrare l'atrocità della pena: infatti, Ugolino fu imprigionato coi due figli Gaddo e Uguccione e coi due nipoti Anselmuccio (l'unico quindicenne) e Nino, detto il Brigata (che fu un assassino e criminale, quindi non era certo un fiorellino). A parte Anselmuccio, gli altri tre erano tutti adulti.

    Il vescovo Ruggieri finì nella Tolomea per aver tradito a sua volta Visconti, l'altro reggente di Pisa: Ruggieri si autonominò podestà della città. Ma fu incapace di reggere alla lotta che gli aveva dichiarato il Visconti e dovette rinunciare al suo ufficio. Papa Niccolò IV lo rimproverò aspramente e gli inviò una condanna per la sua condotta spietata contro Ugolino e i guelfi, ma il sopraggiungere della morte del pontefice impedì una qualsiasi ritorsione su di lui. Ruggieri morì nel 1295 a Viterbo: forse la sua tomba si trova nel Museo Civico di Viterbo.

    Parlando a Dante, Ugolino dice che non c'è bisogno che gli racconti come Ruggieri lo avesse raggirato e attirato in una trappola, poiché la sua storia era nota a tutti, a quei tempi. Ma ciò che Dante non può sapere, ovvero quanto crudele sia stata la sua morte, sarà oggetto del suo racconto e il poeta valuterà poi se il suo odio è giustificato. Ugolino e i suoi quattro figli erano già rinchiusi da diversi mesi nella Torre della Muda, nella quale egli aveva visto il mondo esterno solo attraverso una stretta feritoia. Però. fino ad allora, i Pisani passavano loro il cibo, non certo abbondante, ma sufficiente per sostenerli. Una notte, però, Ugolino aveva sognato il vescovo Ruggieri, vestito da cacciatore, che dava la caccia, insieme ai suoi uomini, a un lupo e ai suoi piccoli sul monte San Giuliano, che copre ai Pisani la vista di Lucca. Nel sogno, Ruggieri mandava sulle loro tracce delle cagne macilente e fameliche: il lupo e i piccoli erano stanchi per la corsa e venivano raggiunti dalle cagne, che li azzannavano. Il mattino seguente, Ugolino si era svegliato e aveva sentito piangere i figli, che avevano fatto lo stesso sogno e gli chiedevano del pane. Ugolino interrompe un momento il racconto, accusando Dante di essere crudele a non piangere, immaginando il triste presentimento di quella mattina. Quindi prosegue spiegando che era vicina l'ora in cui solitamente veniva loro portato il cibo, anche se ciascuno ne dubitava per via del sogno. Ad un tratto, i quattro sentirono che l'uscio della torre veniva inchiodato e Ugolino fissò in viso i figli senza parlare, senza piangere e restando impietrito, tanto che uno dei figli (Anselmuccio) gli chiese cosa avesse. Ugolino non rispose e non disse nulla per l'intera giornata e la notte seguente, fino all'alba. Non appena un raggio di sole penetrò nella torre e permise al conte di vedere i volti smagriti dei figli, l'uomo fu colto dalla rabbia e si morse entrambe le mani. I figli, pensando che lo avesse fatto per fame, si erano alzati e gli avevano offerto le proprie carni per nutrirsi. Allora Ugolino si era calmato per non accrescere la loro pena. I due giorni successivi, nessuno proferì più parola, mentre ora il dannato si rammarica che la terra non li avesse inghiottiti. Arrivati al quarto giorno, uno dei figli di Ugolino, Gaddo, stramazzò ai suoi piedi invocando vanamente il suo aiuto, e poi morì.

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    La condanna a morte per fame di Ugolino e dei suoi figli, da un'incisione di Dorè, presa poi da Nagai.


    Tra il quinto e il sesto giorno morirono anche gli altri tre figli. Poi, per due giorni Ugolino, reso cieco dalla fame, aveva brancolato sui loro corpi, chiamandoli continuamente per nome. A quel punto, conclude Ugolino, "più che ’l dolor, poté ’l digiuno": cioè, il suo digiuno aveva prevalso sul suo dolore, implicando il fatto di essersi cibato delle carni dei figli morti per sopravvivere, anche se vanamente, alla morte per fame. Posto fine al suo racconto, il conte storce gli occhi (cioè, li muove verso Ruggeri) e riprende a mordere il suo cranio. Dante si abbandona a una violenta invettiva contro la città di Pisa, patria di Ugolino, definita "vituperio delle genti" cioè la vergogna dei popoli. E poiché le città vicine a Pisa non si decidono a punirla, il poeta si augura che le isole di Capraia e Gorgona si muovano e chiudano la foce dell'Arno, in modo tale da annegare tutti gli abitanti della città.

    LA TORRE DELLA FAME

    La-Torre-della-Fame
    Una litografia dell'originale Torre della Fame e l'attuale Palazzo dell'Orologio.


    La Torre della Muda/Torre della Fame era un'antica torre medievale di Pisa, che apparteneva ai Gualandi, una famiglia ghibellina nemica di Ugolino. Ora non si trova più, perchè fu inglobata nel 1357 nel Palazzo dell'Orologio, dove risiedeva il Capitano del popolo (un'autorità del popolo pisano). Attualmente ospita la biblioteca della Scuola Normale Superiore ed è anche adibita a museo per ricordare l'evento del Conte Ugolino. All'interno del palazzo dell'Orologio, sono visibili i muri superstiti della Torre della Fame.

    UGOLINO SI CIBO' DAVVERO DELLE CARNI DEI FIGLI?

    Dante lascia sospesa la possibilità che Ugolino si sia cibato delle carni dei figli, non lo fa dire chiaramente. In ogni caso, tutto il racconto di Ugolino poggia sul cibarsi delle carni: all'inizio divora il cranio di Ruggeri, durante il racconto si morde le mani e i figli offrono le loro carni al padre; poi, alla fine, Ugolino riprende a mordere Ruggieri. Il cannibalismo è comunque evidente nel personaggio. I resti di Ugolino e degli altri rinchiusi con lui nella Muda furono recuperati nel 1928 in una cappella della chiesa di San Francesco a Pisa (per quanto la loro autenticità sia stata sempre messa fortemente in dubbio). Solo recentemente il comune di Pisa ha promosso delle indagini scientifiche su quei resti che, valendosi della tecnica del DNA, hanno portato alla luce alcuni dati: quelle salme corrispondono a cinque individui morti effettivamente per denutrizione, tra i quali il più anziano aveva oltre settant'anni e un fisico imponente, mentre altri due erano di età compresa tra 40 e 50 anni; i rimanenti erano più giovani. Se quei resti furono davvero quelli di Ugolino e dei figli e nipoti, si può escludere l'ipotesi di cannibalismo, visto che un uomo di quell'età sarebbe morto per primo, senza contare che aveva pochi denti malandati, dunque non avrebbe potuto, neanche volendo, cibarsi delle carni degli altri prigionieri. Ma questo è poco importante: Dante fa capire comunque al lettore che il suo Ugolino letterario avrebbe davvero divorato i suoi figli, visto il contesto atroce in cui l'episodio viene raccontato.

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    TOLOMEA

    Dante e Virgilio passano nella zona successiva di Cocito, la Tolomea, dove sono puniti i Traditori degli ospiti: questi sono imprigionati nel ghiaccio col volto all'insù. I dannati piangono, ma le loro lacrime gli si congelano nelle orbite degli occhi, formando come delle visiere di cristallo che non permettono loro di sfogare il dolore, accrescendo ulteriormente la pena. Dante, a causa del freddo, ha il viso quasi totalmente insensibile: tuttavia, gli sembra di sentir soffiare del vento. Chiede spiegazioni a Virgilio, visto che all'Inferno non ci sono eventi atmosferici. Il maestro risponde che presto Dante vedrà coi suoi occhi la causa di un tale fenomeno (cioè le ali di Lucifero).

    FRATE ALBERIGO

    Uno dei dannati immersi nel ghiaccio si rivolge ai due poeti e, scambiandoli per dannati, prega loro di togliergli dagli occhi le croste di ghiaccio, così da poter sfogare il dolore che gli opprime il cuore, prima che le lacrime gli si congelino nuovamente. Dante risponde che lo farà, ma a patto che il peccatore riveli il proprio nome: se il poeta non manterrà la parola, possa andare fino in fondo al ghiaccio di Cocito. Il dannato risponde di essere frate Alberigo1. La cosa curiosa è che nel 1300 (la data in cui è ambientato il poema), Frate Alberigo non era ancora morto, e lo dice lo stesso Dante in questo canto. Alberigo spiega che i peccatori diventano dannati in vita, appena compiono questo peccato (cioè il tradimento degli ospiti), mentre un diavolo prende possesso del loro corpo, che continua a vivere nel mondo il tempo che gli è stato assegnato2. Alberigo aggiunge che sulla Terra c'è ancora il corpo del compagno di pena dietro di lui, Branca Doria3, imprigionato nel Cocito già da molti anni. Dante è perplesso, visto che anche Branca Doria è ancora vivo: ma Alberigo ribatte che Michele Zanche (il barattiere dell'Ottavo Cerchio, nella Quinta Bolgia) non era ancora arrivato fra i barattieri che Branca Doria, il suo assassino, nello spirito era già precipitato nel Cocito e il suo corpo era stato occupato da un demone. Poi Alberigo invita Dante a mantenere la promessa di aprirgli gli occhi, ma Dante non lo fa. Infatti capisce che la giustizia divina deve fare il suo corso: alleviare quindi le pene di questi dannati sarebbe come andare contro la giusta volontà di Dio: "cortesia fu lui esser villano", dice Dante nel canto, cioè fu moralmente giusto esser villano con lui. L'inganno di Dante conclude degnamente un episodio dedicato appunto al tradimento, all'inganno supremo contro coloro che si fidano degli altri. Poi Dante pronuncia una dura invettiva contro i Genovesi (Branca Doria era genovese), uomini estranei ad ogni buona usanza e pieni di vizi, che dovrebbero essere dispersi nel mondo.

    COMMENTO

    Questo Canto è diviso in due: la prima parte è dedicata alla tragedia del conte Ugolino e la seconda all'incontro con frate Alberigo, che si chiudono entrambi con una dura invettiva contro le città italiane di Pisa (la patria di Ugolino), e di Genova (patria di Branca Doria, compagno di pena di Alberigo). E' da ricordare che Pisa e Genova erano anche due delle famose e potenti quattro Repubbliche Marinare (le altre due erano Venezia e Amalfi), ed erano anche rivali.

    IL DANTE DI NAGAI

    Nagai descrive in modo dettagliato l'atroce fine di Ugolino, ma salta la parte su Frate Alberigo, passando subito alla Giudecca, dove c'è Lucifero.

    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/inferno-canto-xxxiii.html

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    1 Frate Alberigo era un frate dell'ordine dei Frati Gaudenti, una comunità che aveva l'impegno di rappacificare le contese nelle fazioni delle città: tale comunità si estinse nel '500. Il suo vero nome era Alberigo dei Manfredi e apparteneva alla potente famiglia dei Manfredi. Invitò due suoi parenti con i quali era in discordia e li fece uccidere ad un segnale convenuto, che era quello di servire la frutta: da allora nacque la frase proverbiale di "ricevere la frutta di frate Alberigo" per indicare un tradimento.

    2 Questa visione di Dante del dannato che viene mandato anzitempo, prima della sua morte, all'Inferno, è azzardata, perchè nella visione cristiana questo dovrebbe avvenire solo dopo la morte e il Giudizio.

    3 Branca Doria era un nobile della famiglia genovese dei Doria. Sposò la figlia di Michele Zanche, governatore di Logudoro in Sardegna. Siccome intendeva usurparne la carica, Branca Doria fece uccidere a tradimento il suocero durante un banchetto nella sua tenuta e ne fece tagliare a pezzi il cadavere.

    (Continua qui)

    QUI TUTTI I LINK SULL'ANALISI SU DANTE

    Edited by joe 7 - 10/1/2023, 18:22
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    Immaginavo che Nagai avrebbe saltato la parte di Frate Alberigo, per concentrarsi su quella di Ugolino.
    So che l'arcivescovo Ruggeri é nipote di Ottaviano deli Ubaldini, che sconta la sua pena fra gli eretici.
    Il ragionamento di Dante sul non dover alleviare le sofferenze dei dannati mi ha fatto pensare "ma allora, Geppo sbaglia".

    Piccola divagazione: conosco bene la storia di Padre Kolbe, che reputo una delle prove tangibili dell'esistenza di Dio.
     
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    CITAZIONE (Andrea Micky1 @ 4/6/2022, 18:06) 
    Immaginavo che Nagai avrebbe saltato la parte di Frate Alberigo, per concentrarsi su quella di Ugolino.

    Infatti la storia di Ugolino è ben più famosa.

    CITAZIONE (Andrea Micky1 @ 4/6/2022, 18:06) 
    So che l'arcivescovo Ruggeri é nipote di Ottaviano deli Ubaldini, che sconta la sua pena fra gli eretici.

    Questa non la sapevo.

    CITAZIONE (Andrea Micky1 @ 4/6/2022, 18:06) 
    Il ragionamento di Dante sul non dover alleviare le sofferenze dei dannati mi ha fatto pensare "ma allora, Geppo sbaglia".

    Infatti, Geppo sbaglia: alleviando le pene dei dannati, senza saperlo si mette contro Dio e il Suo giudizio, considerandolo ingiusto, e aiutando delle persone che, invece, per le loro malvagie azioni fatte fino alla fine senza mai pentirsi, meritano solo di essere giustamente punite senza misericordia (perchè l'hanno rifiutata fino all'ultimo istante di vita). Siccome è un fumetto per bambini, questo non viene fatto notare: ma è anche uno dei motivi per cui la Chiesa ne sconsigliava la lettura.

    CITAZIONE (Andrea Micky1 @ 4/6/2022, 18:06) 
    Piccola divagazione: conosco bene la storia di Padre Kolbe, che reputo una delle prove tangibili dell'esistenza di Dio.

    Massimiliano Kolbe è uno dei miei santi preferiti. E' anche il patrono del nostro difficile tempo.
     
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