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  1. DIVINA COMMEDIA DI NAGAI E DI DANTE: PURGATORIO, CANTO 14

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    Divina Commedia
    By joe 7 il 26 Nov. 2022
     
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    PURGATORIO CANTO 14 - SECONDA CORNICE: INVIDIOSI - GUIDO DEL DUCA, RINIERI DA CALBOLI
    (primo post: qui; precedente post: qui)

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    Dante e Virgilio tra gli invidiosi: essendo stati accecati col fil di ferro, si appoggiano alle pareti e per terra per trovare un punto sicuro. Immagine di Dorè.


    Siamo ancora nella Seconda Cornice del Purgatorio, quella degli Invidiosi, che Dante e Virgilio hanno iniziato a percorrere. Dante sente due anime che parlano tra di loro: la prima chiede all'altra chi sia l'uomo che scala il Purgatorio: perchè, anche se ha gli occhi chiusi col fil di ferro, capisce che è ancora vivo e ha gli occhi aperti (forse per via del fatto che sente i suoi passi e avverte che non sono passi incerti, ma passi sicuri di chi ci vede). L'altra anima risponde di non saperlo, ma capisce che, chiunque sia, non è solo (l'avrà sentito parlare con Virgilio). I due spiriti alzano il viso e uno dei due chiede al poeta chi sia e da dove venga, poiché la grazia che gli è concessa di essere lì da vivo li fa meravigliare. Dante risponde in modo evasivo: visto che non è così famoso, preferisce non dire il suo nome. Quindi risponde che dal monte Falterona nasce un fiume (l'Arno, anche se non lo cita) che attraversa la parte centrale della Toscana per più di cento miglia: lui proviene dalla valle di quel fiume. E' una perifrasi per dire che è toscano. Una delle due anime dice di essere Guido del Duca (un nobile di Ravenna; fu giudice in varie città della Romagna) e capisce che Dante sta parlando dell'Arno, quindi è toscano, mentre lui è emiliano (romagnolo, per la precisione). L'altra anima, che Guido presenta a Dante, è Rinieri da Calboli (nobile guelfo del paese di Calboli, che oggi è diventata una frazione di Predappio, in Emilia Romagna. Era della famiglia dei Paolucci: fu coinvolto anche lui nelle lotte tra Guelfi e Ghibellini che lacerarono la Romagna. Assunse il ruolo di podestà in diverse città: Faenza, Parma, Ravenna). Rinieri chiede al compagno di pena perché il poeta abbia omesso di pronunciare il nome del fiume, come se fosse qualcosa di orribile.

    IL FIUME ARNO IN MEZZO ALLE VALLATE INFERNALI

    Arno
    Il percorso dell'Arno.


    Guido risponde di non saperlo, ma dice che il nome della Valle dell'Arno dovrebbe effettivamente scomparire. Infatti (secondo lui) il fiume Arno, che sorge dall'Appennino da cui il Peloro si è staccato1, scorre lungo delle terre orrende, dove tutti fuggono la virtù e si sono trasformati in bestie: in sostanza, la Toscana. Guido del Duca specifica che l'Arno, dalla sua discesa dal monte Falterona, passando da Est a Ovest fino al mare e attraversando la Toscana, scorre dapprima tra dei sudici porci, i Casentinesi (il Casentino è una vallata di Arezzo, a est della Toscana), che sono degni solo di mangiare ghiande (il cibo dei porci, appunto). Poi scorre tra i botoli, appunto gli Aretini di Arezzo, che ringhiano più di quanto essi siano davvero. A Firenze l'Arno trova "una fossa dove i cani sono diventati lupi", appunto i Fiorentini. A Pisa, da dove si butta in mare, continua Guido, l'Arno trova i Pisani, che sono delle volpi dedite alla frodi e non temono alcuna astuzia.

    FULCIERI DA CALBOLI, LA BELVA UMANA

    Fulcieri-da-Calboli
    Lo spietato Raoul di Ken il guerriero potrebbe essere un'ottima raffigurazione di Fulcieri da Calboli.


    Guido del Duca aggiunge che che il nipote del suo collega Rinieri da Calboli, Fulcieri da Calboli, podestà di Firenze, diventerà "cacciatore dei lupi", cioè i Guelfi Bianchi di Firenze (e Dante era un Guelfo Bianco) e li riempirà di terrore sulle rive dell'Arno. Anzi, ne venderà la carne quando saranno ancora vivi, per poi ucciderli come una belva, privando molti della vita e se stesso di onore. Il bestiale Fulcieri uscirà dalla triste selva, cioè Firenze, tutto sporco di sangue e la lascerà in un tale stato che ci vorranno ben mille anni perché si ripopoli (effettivamente Fulcieri divenne famoso per la sua terribile ferocia). Mentre Guido del Duca parla, il suo collega Rinieri assume l'espressione di chi sente preannunciare gravi danni e perciò si turba e rattrista, mentre ascolta con grande attenzione. Non si tratta di "diffamazioni politiche da parte del guelfo Dante" come a volte si dice al riguardo di questo episodio: la ferocia di Fulcieri fu testimoniata anche da altre fonti. Per esempio, diverse cronache dicono che nella battaglia di Pulicciano - una delle tante - più di 500 guelfi bianchi furono catturati, torturati e condannati a morte da Fulcieri da Calboli, che fu in sostanza un crudele fanatico.

    SI PRESENTANO

    Dante non sa ancora con chi sta parlando e chiede a Guido i loro nomi: questi ribatte che sta chiedendo loro ciò che Dante non ha voluto fare, cioè dire il suo nome. Tuttavia, poiché Dio gli ha riservato una tale grazia di attraversare il mondo dei morti da vivo, non si negherà: si presenta quindi come Guido del Duca, e aggiunge che da vivo fu talmente roso dall'invidia che, se avesse visto qualcuno allietarsi, sarebbe diventato livido di rabbia. Ora sconta la pena per i suoi peccati e si chiede perché gli uomini desiderano quei beni il cui possesso comporta il rifiuto di condividerli con gli altri, pensando solo a se stessi. Continuando, Guido presenta il suo compagno: Rinieri da Calboli, che fece onore al suo casato, a differenza dei suoi discendenti (appunto il feroce Fulcieri).

    LA LUNGA GEREMIADE DI GUIDO DEL DUCA

    Guido, che è della Romagna, inizia la sua filippica con quella regione: dice che non è solo la sua famiglia romagnola ad essere priva delle virtù intellettuali e morali, poiché ormai quella regione è piena di sterpi velenosi e ormai sarebbe tardi per estirparli. Si chiede dove sono finiti gli antichi romagnoli virtuosi come Lizio di Valbona (combattè contro i ghibellini di Forlì) e Arrigo Mainardi (nobile e combattente di Ravenna), Pier Traversaro (signore di Ravenna), Guido di Carpegna (conte della regione di Carpegna, vicino alla Romagna). A Bologna, continua Guido, ormai non esiste più un uomo come Fabbro dei Lambertazzi (importante podestà ghibellino di diverse città romagnole: Dante riconosceva anche il valore degli avversari, non solo di quelli della sua parte), né a Faenza uno come Bernardino di Fosco (personaggio di cui attualmente non si sa quasi nulla). Non devi stupirti se piango, continua Guido, quando ricordo Guido da Prata (uomo politico di Ravenna), Ugolino d'Azzo (nobile toscano), Federigo Tignoso e la sua brigata (uomo importante di Rimini; "tignoso" sta per "biondo"), la famiglia dei Traversari (nobile famiglia di Ravenna) e gli Anastagi, (anche loro nobili ravennati, spesso Cavalieri di Malta) entrambe rimaste senza eredi. Guido ricorda le nobildonne e i cavalieri del suo tempo, gli affanni delle guerre e gli agi signorili a cui erano invogliati dall'amore e dalla cortesia:

    le donne e ‘ cavalier, li affanni e li agi (le dame e i cavalieri, le fatiche militari e i piaceri signorili)
    che ne ‘nvogliava amore e cortesia (che amore e cortesia ci inducevano a perseguire,)
    là dove i cuor son fatti sì malvagi. (mentre ora là i cuori sono malvagi.)


    Il verso sarà poi replicato da Ludovico Ariosto per l'incipit (inizio) del suo Orlando Furioso:

    Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
    le cortesie, l’audaci imprese io canto,

    che furo al tempo che passaro i Mori
    d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
    seguendo l’ire e i giovenil furori
    d’Agramante lor re, che si diè vanto
    di vendicar la morte di Troiano
    sopra re Carlo imperator romano.


    Guido continua la filippica dicendo che ora i cuori sono diventati malvagi, per cui la città romagnola di Bertinoro dovrebbe scomparire, perchè non è più abitata da nobili cavalieri. Aggiunge che fanno bene le famiglie di Bagnacavallo (comune di Romagna) a non avere discendenti, mentre fanno male quelle di Castrocaro (oggi Castrocaro Terme, sempre in Romagna) e di Conio (probabilmente un castello ravennate), che si ostina a generare conti così corrotti. I Pagani (i signori di Faenza, sempre in Romagna) si comporteranno bene, dopo che sarà morto Maghinardo (Maghinardo Pagani da Susinana, guelfo poi passato ai ghibellini), ma non al punto di cancellare il ricordo della sua cattiva fama. Ugolino dei Fantolini (nobile romagnolo) non avrà di certo il suo onore macchiato dai discendenti, perchè non ne ha più avuti. A questo punto, Guido invita Dante ad allontanarsi, poiché questi discorsi gli hanno messo in cuore una gran voglia di piangere. Anche se non sembra, la lunga geremiade di Guido del Duca è segno che l'invidia non è ancora scomparsa del tutto dal suo cuore: infatti, l'invidioso trova piacere nel sottolineare i difetti degli altri, affermando implicitamente di essere migliore di loro, mentre invece li invidia e quindi cerca sempre di sminuirli. E' caratteristica dell'invidioso agire in quel modo.

    ALTRE VOCI VOLANTI

    Dante e Virgilio si allontanano in silenzio dalle due anime: ad un certo punto, dopo un pò, sentono delle voci che parlano delle conseguenze dell'invidia. La prima viene dall'alto, simile a un fulmine, e dice: "Chiunque mi troverà, mi ucciderà". E' la frase di Caino, che, dopo aver ucciso il fratello Abele per invidia, dice che sarà ucciso dagli altri per vendetta.

    Caino
    Caino fugge dopo aver ucciso Abele, senza sapere dove scappare.


    La voce svanisce come un tuono quando squarcia una nube: poi se ne sente un'altra, che produce anch'essa un gran fracasso, come un tuono che ne segue un altro, e dice: «Io sono Aglauro, che fui tramutata in pietra» (Aglauro era la sorella di Erse, e Mercurio/Ermes si era innamorato di quest'ultima. Ma Aglauro, per invidia verso la sorella, si mise tra di loro, sbarrando l'entrata di Mercurio alla casa di Erse, rifiutando di spostarsi. Mercurio allora la trasformò in pietra). Dante, per timore, dopo aver sentito voci così tonanti e minacciose, si stringe a Virgilio, procedendo stavolta alla sua destra e non davanti a sé. Torna però il silenzio e il maestro spiega a Dante che ciò che ha appena udito è il richiamo che dovrebbe indurre l'uomo a restare nei suoi limiti. L'uomo, invece, è attratto dalle lusinghe del demonio, per cui ogni freno risulta inefficace. Il cielo ruota intorno all'uomo mostrandogli le sue bellezze eterne, ma egli, con l'invidia, si ostina a volgere lo sguardo a terra, per cui incorre nella dura punizione divina.

    COMMENTO

    Il vero protagonista del Canto è Guido del Duca, il nobile di Ravenna che condanna prima la degenerazione dei toscani, poi il declino morale e il tramonto delle virtù cavalleresche della Romagna. Il poeta non rivela il proprio nome perché non ancora famoso: un atto di umiltà dopo essere passato per i superbi della Cornice precedente. Dante, attraverso Guido, rimpiange la scomparsa del mondo cavalleresco-feudale a vantaggio della civiltà comunale e mercantile, dominata dall'avarizia e dalla bramosia di denaro. Come oggi.

    IL DANTE DI NAGAI

    Tutto questo canto è stato saltato.

    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/purgatorio-canto-xiv.html

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    1 La sorgente del fiume Arno si trova sul monte Falterona, che fa pare degli Appennini Toscani, connessi con tutta la catena appenninica italiana, da cui si è staccata la catena appenninica della Sicilia, composta dai Monti Peloritani: si tratta appunto del "Peloro" citato da Dante.

    (Continua qui)

    QUI TUTTI I LINK SULL'ANALISI SU DANTE

    Edited by joe 7 - 3/12/2022, 17:01
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