INFERNO, CANTO 6 - IL TERZO CERCHIO: I GOLOSI(primo post: qui; precedente post: qui)CERBERONel canto VI dell’Inferno, Dante e Virgilio arrivano al Terzo Cerchio, quello dei
golosi, dove piove sempre: una pioggia pesante, ossessiva, che ammorba tutta la terra, rendendola putrida e puzzolente. A custodia delle anime si trova il gigantesco cane a tre teste,
Cerbero, che nel Medioevo rappresentava l’ingordigia e le discordie civili. Il mostro canino ha gli occhi rossi, le barbe unte e "atre", cioè nere, scure. Il mostro mitologico è stato preso dall’Eneide di Virgilio: come Caronte e Minosse è una divinità infera "demonizzata" dal pensiero cristiano. Anche Cerbero ha la funzione allegorica di
impedimentum morale alla via della salvezza di Dante: infatti, il mostro ringhia e mostra i denti ai due viaggiatori. Virgilio non può dire ad una bestia quello che ha detto a chi era ancora dotato di ragione come Caronte e Minosse: quindi passa al concreto. Gli getta nelle tre gole una manciata di terra, che Cerbero inghiotte saziandosi: un gesto che ricorda quello della Sibilla nel libro VI dell'Eneide (anche se in quel caso la sacerdotessa lanciava a Cerbero una focaccia intrisa di erbe soporifere). Cerbero è considerato un'anticipazione di lucifero, che avrà anch'egli tre facce, una bizzarra parodia della Trinità. I dannati, colpiti da una pioggia incessante, sono costretti a voltolarsi nel fango maleodorante, che contrasta con la prelibatezza e i profumi dei cibi di cui furono ghiotti in vita, il che rende piuttosto evidente il contrappasso. E la pena è accresciuta da Cerbero, che li sbrana (
"graffia li spirti ed iscoia ed isquatra"), proprio come se fossero dei cibi da mangiare.
PERCHE' I GOLOSI?Ci si potrebbe chiedere perchè un Cerchio per i golosi: è un peccato così grave mangiare, o mangiare un pò troppo, a volte? No, ma è un peccato vivere per mangiare, mentre si deve mangiare per vive
re. Se il cibo è la sola cosa che vuoi, per la quale vuoi solo campare, se passi a mangiare desiderando sempre il cibo dimenticandoti degli altri, questa è la "gola". E un "goloso" non si interessa più nè degli altri nè di se stesso: è schiavo del cibo. Nel manga, Nagai fa dire a Virgilio questa spiegazione (che nella Commedia non c'è):
"Non dimenticare che per ogni ingordo c'è qualcuno che soffre la fame". Questa è una visione orientale, simile a quella comunista, dove chi ha, ha perchè ha tolto ad un altro. Non è così: chi mangia troppo, vivendo solo per mangiare, non toglie ad un altro, ma piuttosto rovina se stesso.
L'IMMATERIALITA' DELLE ANIMEDante e Virgilio proseguono e passano letteralmente sopra le anime, che, essendo immateriali, non oppongono ostacolo. Siccome le anime hanno corpi inconsistenti, Dante e Virgilio possono porre su di loro le piante dei piedi, come se non esistessero. A volte Dante, nella Commedia, è coerente con tale principio: in altri casi, invece, descrive le anime come corpi solidi, per esigenze poetiche di maggior realismo. Per spiegare la situazione delle anime, Virgilio spiega a Dante che nel Giudizio Finale tutti i trapassati, sia all'Inferno che in Paradiso, si rivestiranno del loro corpo mortale, ascoltando la sentenza finale, che fisserà in eterno il loro destino ultraterreno. Dante chiede a Virgilio se i tormenti dei dannati aumenteranno dopo il Giudizio, oppure saranno attenuati o resteranno uguali. Virgilio risponde che, quanto più ci si avvicina alla perfezione, tanto più si è in grado di percepire il dolore e il piacere. I dannati non saranno mai perfetti, tuttavia è logico supporre che, dopo la sentenza finale, essendosi riappropriati dei loro corpi, raggiungeranno la pienezza del proprio essere, quindi le loro pene, più perfette, aumenteranno. Mentre i salvati in Paradiso, coi loro corpi, avranno invece maggior gioia e piacere. Dopo aver incontrato
Ciacco (di cui parlerò qui sotto), Dante e Virgilio giungono al punto in cui si scende dal Terzo al Quarto Cerchio, presieduto da
Pluto: qui finisce il canto 6.
CIACCODante incontra il dannato
Ciacco, soprannome che significa «porco». Di lui sappiamo poco, a parte le notizie fornite da Dante e da Boccaccio nel
Decameron (IX, 8), dove lo definisce
"un uomo ghiottissimo quanto alcun altro fosse giammai... per altro assai costumato e tutto pieno di belli e piacevoli motti". Probabilmente era un parassita che a Firenze veniva invitato ai banchetti per allietare i commensali con le sue facezie, quindi doveva essere ben noto ai lettori contemporanei della Commedia. Questi si presenta dichiarandosi appartenente alla città di Firenze: Dante non mostra particolare affetto per il conterraneo. Solo apparente è il dolore che prova per il goloso (
"Il tuo affanno / mi pesa sì, ch'a lagrimar mi 'nvita"), perché subito lo incalza con delle domande sulla sua città:
1) A che punto arriveranno i fiorentini con le loro discordie?La risposta non è favorevole a Dante, che è un
Guelfo Bianco, perchè Ciacco gli dice che vinceranno i Guelfi Neri (Dante scrive la Commedia durante l'esilio a causa della vittoria dei Neri, quindi sapeva bene cosa sarebbe successo).
2) C’è qualche giusto a Firenze?La risposta di Ciacco è:
"Giusti son due, e non vi sono intesi". Cioè, praticamente nessuno è giusto ("due", cioè pochissimi), e nessuno li ascolta ("intesi").
3) Quali sono le ragioni che hanno disseminato l’odio nella città?La risposta di Ciacco è chiara e richiama le tre bestie di Dante all'inizio della Commedia:
"superbia, invidia e avarizia sono / le tre faville c'hanno i cuori accesi". Questi sono i tre gravi peccati che non permettono agli uomini di vivere in pace tra di loro, nel rispetto reciproco e nella prospettiva di realizzare il bene comune.
4) Dove sono le persone eminenti che gestirono la città di Firenze, cioè "ch'a ben far puoser li 'ngegni" come Farinata, Arrigo, Mosca?Ciacco risponde che Dante potrà vedere quei politici nei successivi Cerchi dell’Inferno.
LA POLITICA, QUESTA BESTIA SCONOSCIUTADante, fin da subito, nel poema sottolinea gli ambiti e i problemi fondamentali dell’umana esistenza:
- i primi tre canti parlano della relazione con se stessi;
- il canto 5 parla della relazione col prossimo;
- il canto 6 parla del vivere associato, cioè la relazione col mondo in cui si vive.
Sia nell'Inferno, che nel Purgatorio, che nel Paradiso, il Sesto Cantico è sempre di argomento
politico, secondo un passaggio ascendente che va da Firenze (questo cantico) all'Italia (Canto VI, Purgatorio), all'Impero (Canto VI, Paradiso). Qui il discorso politico è dedicato alla città di Dante, di cui vengono analizzate le lotte interne e le discordie attraverso il personaggio di Ciacco. Politica viene da "polis", città, e indica l'amministrazione di una città (appunto), ma anche di un Paese, di una Nazione e così via. Dante dà una bellissima definizione del politico:
colui che ha usato la sua intelligenza e i suoi talenti per compiere il bene comune. Aristotele definì l’uomo come "animale sociale": cioè una persona che, per sua natura, tende a vivere insieme con gli altri (e questo mostra la disumanità di essere stati costretti a stare "dissociati", nei lockdown del 2020-21). L’uomo, per sua natura, è portato a fare rapporti con gli altri uomini, per affrontare i problemi non da un punto di vista solo individualistico, ma anche comunitario. Dante, attraverso Ciacco, non vuole certo dire che l’attività politica porti all'Inferno: ma ribadisce come non basta dedicare il proprio tempo alla politica, occorre
farla bene. Cioè, come tutte le attività umane, anche quella politica deve essere sempre stare attenta a non degradarsi, cercando il proprio interesse a scapito degli altri. La politica, da sola, senza morale, non salva l’uomo; né tantomeno un grande personaggio politico si salva, se è senza morale.
Una politica vera, che faccia il bene, deve essere liberata in continuazione dalle ideologie, che portano a fare il male, sotto l'apparenza del bene. Che cosa può purificare l’agire politico? L’incontro con Gesù Cristo dà strada e forza per questa purificazione, che è anche sociale, non solo personale. Di purificazione non ha bisogno solo l’amore tra le persone, ma anche quello per il proprio paese e per il proprio vivere sociale.
Oggi c'è il disinteresse per la politica, vista come il ricettacolo dell'inferno: si è persa così la consapevolezza che la politica - se è rettamente intesa - serve per il bene comune. Dante ne parlò nel suo
"De monarchia", dove parla di Impero e Chiesa: la necessità dell’Impero (oggi, lo Stato) è giustificata dal fatto che l’unità imperiale (oggi, l'unità statale) permette la pace, che è, a sua volta, la condizione indispensabile perché ciascun uomo possa essere
libero e perseguire il fine della vita umana, cioè
la propria felicità. In pratica, l’Impero (oggi lo Stato) è uno strumento dell’uomo e non il contrario. E' lo Stato che deve servire l'uomo, mai il contrario.
Dante insiste sul fatto che
due sono i fini della vita umana: la felicità in questa terra e la beatitudine eterna in Paradiso. In questo contesto, Dante sottolinea l’importanza della presenza di un’autorità morale e religiosa a cui fare riferimento, da lui identificata nella Chiesa e nel Papato. Quindi, l' unità territoriale (Italia), in una realtà politica unica (Stato) e con un riferimento morale (Chiesa) appare come la possibilità di garanzia di una condizione che permetta la vera crescita dell’uomo: nella pace, nella libertà e nella felicità. Almeno per quanto sia possibile in questo mondo.
STATO E CHIESAL’unificazione economico-politica europea del dopoguerra ha dato sessant'anni di pace, ma ha fatto vedere, soprattutto negli ultimi anni, che l'Europa ha molti volti ed anime, non ne ha una sola, e non è possibile realizzare una vera unità territoriale e di pensiero basandosi solo su fattori economici. E nemmeno con un "pensiero unico" che viene martellato ossessivamente dai giornali e da tutti i mass-media. Senza un’autorità morale e religiosa, non si va avanti: una "religione laica" fatta dall'uomo non porterà a nessuna pace e a nessuna unione, anzi acuirà sempre di più le differenze, provocando contrasti sempre più profondi. La teoria di Dante dei due soli (Impero-Stato e Chiesa), giudicata frettolosamente come anacronistica, illumina invece il passato dell’Europa come il suo presente e futuro. Non si deve credere che Dante volesse proporre una realtà politica su basi
teocratiche: quello sarebbe caratteristico del mondo musulmano. Dante, invece, ha sempre voluto evidenziare la divisione tra potere temporale e potere spirituale: il primo gestito dall’autorità imperiale o dall'autorità statale; il secondo affidato alla Chiesa. La posizione di Dante è chiaramente espressa nel canto centrale di tutta la Commedia, il XVI del Purgatorio, in cui
Marco Lombardo, una delle anime del Purgatorio, così si esprime:
Marco Lombardo e Dante
"Soleva Roma, che 'l buon mondo feo,
due soli aver, che l'una e l'altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo.
L'un l'altro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e l'un con l'altro insieme
per viva forza mal convien che vada;
però che, giunti, l'un l'altro non teme."Cioè: Roma aveva due "soli", due riferimenti: l’uno mondano e politico, l’altro religioso. Quando i poteri temporale e religioso sono affidati ad una sola persona,
non procedono bene. Ma Dante criticherebbe certamente con toni aspri la posizione laicista di oggi, secondo la quale le riflessioni religiose possono essere espresse solo in uno spazio privato, mentre in ambito pubblico non si può esporre la propria convinzione di fede. Per Dante, infatti, l’uomo
è sempre integrale, mai disunito, e porta sempre con sé in ogni ambito il proprio credo, le proprie convinzioni, i propri ideali. Non esiste una settorializzazione degli ambiti, perchè l’unità della persona investe ogni aspetto della vita: dalla cultura, alla politica, alla letteratura. Oggi, invece, sembra dominare gli scenari nazionali e internazionali l’insegnamento di Machiavelli, secondo il quale la legge dell’agire è solo
la ragion di Stato, cioè il suo mantenimento o ingrandimento. Quindi il fine giustifica i mezzi nell’ambito politico: ogni azione è consentita, è lecita, per conservare il potere o per ottenerlo. E' proprio con questa mentalità errata che si aprono le porte dell'Inferno per chi le pratica: se comportarsi bene conta nel privato, questo conta anche nel pubblico e, quindi, anche nella politica.
LO STATO AL SERVIZIO DELL'UOMO, MAI IL CONTRARIONella prospettiva di Dante, l’uomo non è un mezzo e uno strumento finalizzato allo Stato, bensì è quest’ultimo, invece, che deve avere come fine quello di
garantire la libertà della persona (cosa violata in questi due orribili anni di lockdown, che nessuna emergenza sanitaria può giustificare), permettendogli di ricercare la felicità. La politica contemporanea ha dimenticato questa funzione dello Stato. Infatti, lo Stato è composto da uomini, quindi è nato
dopo l’uomo, non prima di esso. Lo Stato non è Dio. E ha il dovere di garantire i diritti inalienabili dell’uomo.
I diritti e il valore della persona non sono mai fondati sullo Stato, nè dipendono dallo Stato, ma sono connaturati all’uomo. Lo Stato ha solo il dovere di riconoscerli e di sottomettervisi. I politici non devono dimenticare che "il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica" (Scola). In questo senso,
non ci può esistere pace senza giustizia, cioè senza dare all'uomo quello che gli spetta.
"Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?" afferma sant’Agostino. La constatazione che lo Stato debba garantire un giusto ordine non significa certo che esso si debba sostituire al popolo, alle sue iniziative, alle sue opere.
IL DANTE REALE E QUELLO DI NAGAI: IL CONFRONTOGeneralmente, Nagai rispetta il cantico, anche se ci sono delle variazioni: infatti, i dannati sono divorati da Cerbero che li digerisce e ne fa degli escrementi che butta via; poi, si riformano. Ma questo nella Commedia non c'è: Cerbero "squatra" e basta, non si fa cenno a dannati divorati ed espulsi. Forse questa aggiunta di Nagai è dovuta al tipico disprezzo orientale per il corpo, in un orrendo ciclo di "reincarnazioni".
Cerbero "scarica" i dannati sotto forma di escrementi.
Nagai salta la parte in cui Dante chiede a Ciacco di di Farinata e degli altri uomini politici di Firenze. Inoltre, è Dante, insieme a Virgilio, a gettare del fango a Cerbero. E, mentre Dante lo fa, vede che quel fango che tiene in mano è un pezzo di persona. Non c'è nella Commedia questo dettaglio: Virgilio butta a Cerbero del vero fango e basta. Inoltre, Cerbero, nel manga, anche se ha mangiato il "fango", insegue Dante e Virgilio, mentre nel poema non lo fa.
BIBLIOGRAFIA:https://divinacommedia.weebly.com/inferno-canto-vi.htmlBussola Quotidiana, Giovanni Fighera(Continua qui)QUI TUTTI I LINK SULL'ANALISIEdited by joe 7 - 30/5/2022, 18:46
Last comments