INFERNO, CANTO 10 - SESTO CERCHIO: GLI ERESIARCHI (seconda parte)(primo post: qui; precedente post: qui)VALLE DI GIOSAFAT; EPICUREIVirgilio guida Dante fra le tombe infuocate della città di Dite, riservate agli eretici, costeggiando il lato interno delle mura. Dante è incuriosito e chiede al maestro se sia possibile vedere le anime che giacciono nei sepolcri, dal momento che sono aperti e non ci sono dei demoni a custodirli: infatti, dopo l'arrivo dell'angelo, erano scappati via tutti. Virgilio risponde affermativamente e aggiunge, per spiegare al discepolo, che queste tombe saranno chiuse per l'eternità il giorno del Giudizio Universale, quando le anime risorte per il Giudizio di salvezza o di condanna si saranno riappropriate del proprio corpo nella
valle di Giosafat (si tratta della valle che si trova a Gerusalemme, tra il Monte degli Ulivi e la Spianata del Tempio). Virgilio, inoltre, spiega che in quest'area del Cerchio giacciono tutti gli eretici che furono seguaci di
Epicuro (filosofo greco che proclamò la mortalità - o l'inesistenza - dell'anima), e promette a Dante che troverà lì Farinata Degli Uberti: una richiesta che lui non ha fatto, ma che Virgilio aveva intuito. Infatti, nel
Cerchio dei Golosi, Ciacco aveva detto a Dante che avrebbe trovato lì Farinata. Dante si giustifica dicendo che, se gli tiene celati alcuni desideri, è solo per evitare di parlare a sproposito, cosa che lo stesso Virgilio gli aveva insegnato. Dante è interessato a questo Farinata, perchè a Firenze era stato un personaggio famoso.
FARINATA DEGLI UBERTI: INIZIO
Farinata e Dante (Virgilio è in ombra)
D'improvviso, una voce proveniente da una delle tombe infuocate chiama Dante, identificandolo come toscano e pregandolo di trattenersi, poiché il suo accento lo indica come originario de
lla sua città. Dante ne ha timore e si stringe a Virgilio, che però lo invita a voltarsi e a guardare
Farinata degli Uberti, che è visibile dalla cintola in su, con la fronte alta e il petto gonfio, come se disprezzasse tutto l'Inferno (tanto da aver
"l’Inferno a gran dispitto") e lo stesso Giudizio di Dio. Farinata chiama all'inizio Dante in questo modo:
"O Tosco, che per la città del foco (O toscano, che per questo Cerchio di fuoco)
vivo ten vai così parlando onesto, (vivo ti incammini parlando la nostra lingua)
piacciati di fermarti in questo loco. (ti piaccia fermarti qui)
La tua loquela ti fa manifesto (Le tue parole mostrano che tu sei)
di quella nobil patria natio, (nativo della nobile città di Firenze)
a la qual forse fui troppo molesto." (alla quale io forse non feci del bene.)Farinata visse un secolo prima di Dante, quindi i due non si incontrarono mai in vita. Fu uno dei capi dei Ghibellini (favorevoli a una Firenze al servizio dell'Impero, avversi al Papa e alla Chiesa) ed eretico. Sconfisse i Guelfi (favorevoli al Papa e alla Chiesa, mantenendo l'indipendenza di Firenze) nella sanguinaria battaglia di
Montaperti. Dopo la vittoria, l'Impero avrebbe voluto radere al suolo Firenze, città Guelfa e ribelle: ma Farinata vi si oppose, imponendo tuttavia l'esilio ai Guelfi. Successivamente, i Guelfi ritornarono a Firenze e gli Uberti furono esiliati definitivamente: non tornarono mai più a Firenze.
Farinata chiede a Dante chi fossero i suoi antenati, e Dante risponde che lui è un Alighieri. Il dannato replica che gli Alighieri erano Guelfi, quindi nemici suoi e degli Uberti: lui cacciò i Guelfi (e gli Alighieri) per ben due volte da Firenze, dice sprezzante a Dante. Ma il poeta ribatte prontamente, dicendo che, se gli Alighieri furono scacciati due volte da Firenze, seppero però ritornare in città entrambe le volte, mentre non si può dire lo stesso degli Uberti, che furono esiliati in modo definitivo. Ma il loro battibecco si interrompe: dalla tomba infuocata di Farinata esce un altro dannato.
CAVALCANTE DEI CAVALCANTISi tratta di
Cavalcante dè Cavalcanti, che si sporge però solo fino al mento, come se fosse inginocchiato. Si guarda intorno con ansia, cercando qualcuno accanto a Dante, che però non trova. Piangendo, chiede a Dante dove sia suo figlio e perché non lo sta accompagnando in questo viaggio: se Dante è lì a causa della sua grande intelligenza, anche suo figlio dovrebbe esserci, intelligente com'è! Cavalcante così si rivolge a Dante:
"Se per questo cieco (se lungo questo oscuro)
carcere vai per altezza d’ingegno, (Cerchio tu vai grazie alla tua intelligenza)
mio figlio ov’è? e perché non è teco?" (allora dov'è mio figlio? Perchè non è con te (intelligente com'è lui, sottinteso)Dante capisce che quel dannato è il padre del suo amico poeta
Guido dè Cavalcanti. Il padre, anima perduta, è convinto che esistano solo
meriti umani: non sospetta che Dante, amico del figlio, possa essere in viaggio nell’aldilà per grazia di Dio (che Dante ha accolto, sia chiaro; poteva rifiutarla), in nome di una missione voluta dal Cielo. Dante così spiega a Cavalcanti; inoltre, precisa che l’amico Guido, figlio di Cavalcanti, non volle intraprendere la strada per raggiungere la verità, sprezzando la tradizione cristiana e la fede (indicando quindi il fatto di essere eretico, forse epicureo, come il padre): ecco le parole del poeta.
Da me stesso non vegno: (non è per mio merito che percorro questa strada della salvezza)
colui ch'attende là, (cioè Dio. Anche se può fare riferimento a Beatrice, l'arrivo definitivo è Dio)
per qui mi mena (per questa strada mi porta)
forse cui Guido vostro ebbe a disdegno (forse vostro figlio Guido disprezza questa via di salvezza)Cavalcante si alza allarmato e chiede a Dante se davvero suo figlio Guido sia morto (Dante infatti dice "ebbe", un verbo al passato). Il poeta è perplesso, visto che, siccome i dannati sanno della situazione della Terra, Cavalcante non dovrebbe fare questa domanda. Questo momento di perplessità farà disperare ancora di più il dannato, che torna di nuovo nella sua tomba per non uscirne più. Cavalcante, a differenza di Farinata, era Guelfo: tuttavia, sia lui che Farinata sono incapaci di comprendere le vere ragioni della loro dannazione. Farinata è tutto preso dagli odi politici, che non hanno più senso nel posto dove lui si trova, mentre Cavalcante parla solo di suo figlio e della sua intelligenza. Essendo entrambi epicurei, hanno una visione solo materiale della vita, che esclude la dimensione trascendentale. Cavalcante non comprende nulla del viaggio allegorico di Dante, essendo ormai totalmente sordo a tutto ciò che riguarda la fede cristiana, la grazia e la salvezza.
FARINATA: LA CONTINUAZIONEL'interruzione di Cavalcanti permette di mostrare la caratteristica precipua dei dannati: ovvero
la loro totale incapacità di guardare il prossimo, di provare amore, compassione o simpatia per qualcuno. Infatti, Farinata, per nulla scomposto dall'accaduto, prosegue il suo discorso con Dante come se non fosse successo niente. Dice che, se i suoi avi non seppero rientrare in Firenze dopo la cacciata, questo gli provoca ben più dolore delle pene infernali (questa è una smargiassata detta da Farinata per spregio). Tuttavia, continua Farinata, non passeranno più di quattro anni fino al momento in cui anche Dante saprà quanto pesa non poter tornare nella propria città (cioè, gli predice che tra quattro anni lui sarà esiliato da Firenze). Farinata chiede poi per quale motivo il Comune di Firenze è così duro in ogni sua legge contro la sua famiglia degli Uberti: Dante risponde che ciò è per il ricordo della terribile battaglia di Montaperti, che arrossò di sangue il fiume Arbia. Farinata osserva sconsolato che a quella battaglia non partecipò lui solo, mentre fu l'unico a opporsi alla distruzione di Firenze in seguito alla vittoria dei Ghibellini.
FARINATA: LA PREVEGGENZA DEI DANNATIDante chiede a Farinata di risolvergli un dubbio, relativo alla facoltà che gli sembra abbiano i dannati di prevedere il futuro e che ha causato la sua precedente esitazione nel rispondere a Cavalcante. Farinata spiega che i dannati vedono, sì, il futuro, ma in modo imperfetto, riuscendo a scorgere gli eventi solo quando sono molto lontani; quando si avvicinano nel tempo o stanno avvenendo diventano loro invisibili e non sono in grado di saperne nulla, a meno che altri non portino loro delle notizie. Perciò, alla fine dei tempi, dopo il Giudizio Universale, la loro conoscenza del futuro sarà del tutto annullata. Dante comprende l'errore commesso e prega Farinata di informare Cavalcante che suo figlio Guido è in realtà ancora nel mondo dei vivi.
FARINATA E GLI ALTRI DANNATIVirgilio richiama Dante, che perciò si affretta a domandare a Farinata con chi condivida la sua pena nella tomba di fuoco. Questi gli risponde di giacere lì con più di mille anime, tra cui quelle di
Federico II di Svevia (imperatore del Sacro Romano Impero, molto apprezzato culturalmente ancor oggi, ma eretico, non credente nell'esistenza dell'anima e cristiano solo in apparenza) e del
cardinale Ottaviano degli Ubaldini (cardinale del Mugello, anche lui non credeva nell'esistenza dell'anima), mentre tace degli altri. A quel punto Farinata rientra nel sepolcro e Dante segue Virgilio, ripensando tristemente alla profezia dell'esilio.
Federico II di Svevia, ritratto da Sergio Toppi
VIRGILIO CONSOLA DANTEDopo un pò, Virgilio chiede a Dante quale sia la ragione del suo smarrimento e il discepolo gli svela le sue preoccupazioni: Farinata gli ha predetto l'esilio da Firenze. Virgilio gli promette che quando sarà giunto in Paradiso, di fronte a Beatrice, lei gli fornirà ogni spiegazione più chiara relativa alla sua vita futura, ricordando a Dante che la grazia, non la sola conoscenza razionale, è l'obiettivo del viaggio dantesco. Per l'ennesima volta viene ribadito che la sola filosofia razionale è insufficiente a salvarsi. Poi Virgilio si volge a sinistra e lascia le mura per imboccare un sentiero che conduce alla parte esterna del Cerchio, da dove si leva un puzzo estremamente spiacevole: si stanno avvicinando al Settimo Cerchio, quello dei
Violenti.
COMMENTO: IL PERSONAGGIO DI FARINATAFarinata ha dedicato tutta la sua esistenza terrena alla passione politica, alla sua fazione, al suo partito. È definito come uno di coloro che
"a ben far puoser li ‘ngegni" (cioè molto intelligente e dotato), ma ciò non è sufficiente alla sua salvezza. La fama di essere epicureo, di considerare quindi l’anima mortale, fa sì che Dante lo ponga tra gli eretici. Farinata e Cavalcanti
usano una ragione che non è spalancata sul Mistero e riescono a concepire soltanto la propria misura, l’uso di una intelligenza che è ridotta
alla sola fiducia nelle proprie forze, nelle proprie convinzioni politiche, presumendo di poter conquistare una salvezza tutta umana. Ma il valore di un uomo non dipende né da come nasce, né dall’altezza del suo ingegno. Dipende dal fatto che accetti che
Qualcuno si prenda cura di lui o no, spalancandogli orizzonti razionali molto più ampi di quelli forniti dalle proprie sole vedute. Farinata non capisce la situazione di Firenze, per la stessa ragione per cui il suo compagno di tomba Cavalcanti non riesce a capire come mai suo figlio non è qui. Entrambi, dall’alto della loro presunzione, dimostrano di non capire nulla: non vedono quello che si svolge sotto i loro occhi. Il male, se abbracciato e accolto in noi, ha il potere di distruggere tutto quanto di buono è stato fatto da noi (per esempio, Farinata che salva Firenze dalla distruzione). Ecco perché il Padre Nostro, la preghiera che Gesù ci ha insegnato, si conclude con
"non ci indurre in tentazione", che significa proprio
"fa’ in modo che noi possiamo stare lontani dalla tentazione, o che la vinciamo col tuo aiuto". E
questa è la traduzione corretta, mentre è errata quella attuale "non abbandonarci nella tentazione", che presume, quasi come una bestemmia, che Dio possa ABBANDONARE l'uomo nella sua colpa e così possa non aiutarlo a sfuggire all'Inferno e raggiungere il Paradiso. "Non abbandonarci nella tentazione" è una bestemmia nascosta, non una preghiera.
L'INDIVIDUALISMO E L'ILLUSIONE DELLA PROPRIA AUTONOMIA SONO GIA' UN ANTICIPO DELL'INFERNOFarinata ha speso la vita solo per la sua passione politica, ma vive nella propria solitudine e nell'orgoglio. L'inferno infatti è l'illusione della propria autonomia, presentata come "aspirazione" al giorno d'oggi. L'Inferno è ben rappresentato nella realtà terrena dall'individualismo contemporaneo: scriveva Bernanos nel
"Diario di un curato di campagna" che l’Inferno è
non amare più, non conservare più la capacità di amare. In altre parole, potremmo anche dire che la condizione infernale è l’esperienza della propria assoluta autonomia, quella totale autonomia che, spesso, nell’epoca contemporanea è presentata come aspirazione cui tendere: cioè la
totale assenza di legami, per cui noi viviamo come se gli altri non esistessero, siamo così incapaci di amare e di farci amare.
L’Inferno in vita si sperimenta quando non si vive con una
Presenza di fronte agli occhi, ma nella propria solitudine ci si abbandona alle proprie passioni che diventano l’orizzonte ultimo di riferimento. L’idolo ("immagine, fantasia") creato ben presto rivela la propria inconsistenza; il sogno tanto vagheggiato rapidamente dimostra la sua insufficienza a felicitarci. Già qui in vita possiamo sperimentare, come scrive s. Caterina da Genova, l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. Abbiamo, quindi, la prova della condizione delle anime dopo la morte nelle condizioni esistenziali che proviamo qui su questa Terra. Spesso è sufficiente rivolgersi con contrizione e spavento per la nostra umana miseria a Colui che tutto può o alla nostra intercedente presso il Figlio (la Madonna) per fuoriuscire dalla percezione di angoscia infernale e sentire la necessità di un’espiazione e di un’ascesi, che è il significato base della Divina Commedia: la salvezza dell'uomo dalla morte, dalla dannazione e dal non senso.
LA VERSIONE DI NAGAI SU FARINATAIl manga ha delle differenze notevoli, stavolta, rispetto al poema originario. Per prima cosa, non c'è l'interruzione di Cavalcanti e Dante non sta cercando Farinata per parlargli. Inoltre, Farinata non viene rimproverato, anzi, per lui Dante (e Nagai) ha solo parole di ammirazione:
"Ma tu sei Farinata, il grande condottiero Ghibellino! Colui che guidò le sue truppe nella battaglia di Montaperti dove noi Guelfi fummo sconfitti!" E poi il Dante di Nagai aggiunge:
"Grande Farinata, anche tu infine hai sperimentato quanto sia difficile trovarsi a comandare e quanto sia duro il trapasso! Se anche un simile eroe è nell'Inferno a soffrire, allora..." poi non dice nulla, implicando però che il Giudizio di Dio sia sbagliato. Non si fa nessun cenno all'eresia di Farinata, che è rappresentato anzi come la povera vittima di una "ingiustizia" divina. Anche questa volta Nagai presenta i dannati come degli innocenti, passando sopra a quello che hanno commesso. Farinata è vissuto nell'orgoglio, nell'autosufficienza, nel rifiutarsi di credere nell'aldilà, nell'anima, nel giudizio di Dio, e insegnando agli altri a fare altrettanto col suo esempio, aprendosi così ad ogni malvagità, perchè non ha mai sentito di dover rispondere a Qualcuno. Ma questo Nagai non lo dice: Farinata per lui è un eroe, un condottiero, una vittima.
Scusa, Dante nagaiano, ma Farinata NON ERA una brava persona!
BIBLIOGRAFIA:https://divinacommedia.weebly.com/inferno-canto-x.htmlBussola Quotidiana, Giovanni Fighera(Continua qui)QUI TUTTI I LINK SULL'ANALISIEdited by joe 7 - 27/11/2021, 18:22
Last comments