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  1. DIVINA COMMEDIA DI NAGAI E DI DANTE: INFERNO, CANTO 15

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    Divina Commedia
    By joe 7 il 4 Dec. 2021
     
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    INFERNO, CANTO 15 - SETTIMO CERCHIO, TERZO GIRONE: I VIOLENTI CONTRO NATURA - BRUNETTO LATINI
    (primo post: qui; precedente post: qui)

    ARGINI INFERNALI

    Dante e Virgilio continuano il loro cammino, percorrendo uno degli argini del fiume di sangue Flegetonte, che attraversa il sabbione infuocato. Il fumo che si leva dal fiume rosso e bollente li protegge dalla pioggia di fiamme. Gli argini sono di pietra, alti e spessi, e Dante li paragona alle dighe di Wissant ("Guizzante" nelle Commedia), di Bruges ("Bruggia" nella Commedia) e di Padova (che aveva messo degli argini sul fiume Brenta). Wissant si trova nell'Alta Francia e si affaccia sul mare di Calais, proprio di fronte all'Inghilterra. Bruges, invece, è nel nord del Belgio, ma non si affaccia sul mare. Wissant e Bruges erano città fiamminghe, assai frequentate nel Duecento dai mercanti fiorentini e, quindi, probabilmente, anche da Dante.

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    Questa immagine degli argini di Bruges dà l'idea della descrizione di Dante.


    BRUNETTO LATINI

    I due poeti si sono ormai allontanati dalla selva dei suicidi a tal punto che Dante non riesce più a vederla. Ad un certo punto, Dante scorge un gruppo di anime che si avvicinano all'argine e guardano i due dal basso, strizzando gli occhi come fanno i vecchi sarti per vederci bene quando devono infilare l'ago nella cruna. Sono i violenti contro natura o sodomiti (cioè gli omosessuali), che devono camminare sul sabbione infuocato in mezzo alla pioggia di fuoco. Una delle anime della schiera si avvicina a Dante e lo tira per il lembo della veste: il poeta lo guarda bene e, nonostante il suo viso sia tutto bruciato dalle fiammelle, lo riconosce: é Brunetto Latini, il suo maestro di retorica. Ai tempi di Dante non c'erano tante possibilità di proseguire gli studi in letteratura e retorica, se non affidandosi a un maestro privato. Dante quindi si affidò a Brunetto Latini, un notaio di alto livello; occupò cariche prestigiose e fu un punto di riferimento della vita politica e amministrativa di Firenze. Fu autore di un'enciclopedia in francese, chiamata Tresor; fece anche una versione dell’enciclopedia in versi toscani, chiamata Tesoretto; fece il Favolello, un poemetto sull’amicizia. Dante apprese da lui la scrittura colta e professionale che gli sarebbe servita negli incarichi che avrebbe ricoperto successivamente come diplomatico e uomo dotto di corte.

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    Dante si commuove nel rivedere il suo maestro Brunetto.


    Dante lo saluta, meravigliandosi di trovarlo lì. Brunetto vorrebbe staccarsi per un pò dalle altre anime e seguire Dante, per parlare con lui: il poeta ne è ben felice e gli risponde che si fermerà con lui a parlare, se Virgilio glielo permetterà. Brunetto replica che non può fermarsi: se un sodomita smette per un istante di camminare, è costretto a restare fermo per cent'anni senza mai potersi riparare dalla pioggia di fuoco. Invita quindi Dante a camminare con lui, poi lui seguirà il cammino degli altri dannati, abbandonandolo. Dante non osa scendere dall'argine per avvicinarsi a Brunetto, in mezzo alla pioggia di fuoco: tuttavia prosegue il cammino, tenendo il capo basso per udire meglio le sue parole e in segno di deferenza. Brunetto chiede a Dante per quale motivo egli compia questo viaggio nell'Aldilà e chi sia la sua guida. Dante risponde di essersi smarrito in una valle oscura, quella dell'inizio della Commedia, prima della fine dei suoi giorni, e Virgilio gli era apparso e ora lo riconduce sul retto cammino. E' da notare che Dante non dice il nome di Virgilio a Brunetto. Quest'ultimo dice che Dante non può fallire nella sua missione letteraria e politica, se segue la sua stella e se lui ha ben giudicato quando era in vita. Anzi, se Brunetto non fosse morto precocemente, lo avrebbe aiutato lui stesso, visto che il cielo è stato così benevolo con Dante.

    DANNATA FIRENZE!

    Pure Brunetto, come Farinata, prevede a Dante il suo futuro esilio da Firenze. I Fiorentini, definiti da lui "l'ingrato popolo disceso da Fiesole" (cioè dai monti) "e che conserva ancora la durezza della sua origine", si faranno nemici di Dante a causa delle sue buone azioni. Brunetto, qui, si rifà alla leggenda secondo cui Fiesole era stata rasa al suolo dopo la ribellione di Catilina e Cesare aveva fondato al suo posto una nuova città, appunto Firenze, in cui erano stati accolti i superstiti della città distrutta. Dante considerava la propria famiglia discendente diretta degli antichi Romani (Paradiso XVI, 40-45). "I Fiorentini" continua Brunetto "sono gente avara, invidiosa e superba e Dante deve starne lontano: vorranno sfogare il loro odio su di lui, ma non ne avranno la possibilità. I Fiorentini dovranno rivolgere il proprio astio su se stessi e non toccare quei concittadini che, come Dante, conservano il sangue puro dei Romani, che fondarono anticamente la città di Firenze." Dante ribatte che, se dipendesse da lui, Brunetto sarebbe ancora nel mondo dei vivi: in lui, il ricordo del maestro, che gli insegnò come acquistare fama eterna, è sempre vivo. Riguardo alla profezia di Brunetto, Dante dice che se la farà spiegare meglio da Beatrice, quando la raggiungerà (in realtà, sarà il suo trisavolo Cacciaguida a spiegare tutto nel canto XVII del Paradiso). Il poeta aggiunge inoltre che è pronto ai "colpi della fortuna", cioè a quello che accadrà. Virgilio dice a Dante che "è un buon ascoltatore chi prende nota di ciò che gli viene detto".

    I COMPAGNI DI PENA

    Dante chiede a Brunetto chi siano i suoi compagni di pena. Lui risponde che indicherà solo le anime più note: sarebbe troppo lungo elencarle tutte. Questi sono una schiera di sacerdoti e letterati di gran fama, ma "d’un peccato medesmo al mondo lerci", cioè sporchi tuti allo stesso modo dallo stesso peccato, cioè la sodomia. Brunetto cita Prisciano da Cesara (grammatico romano), Francesco d'Accorso (giurista e letterato italiano) e il vescovo Andrea de' Mozzi (alcuni dicono Ottaviano degli Ubaldini), colui che Bonifacio VIII trasferì da Firenze a Vicenza, dove morì "lordo di tale peccato" (cioè mori compiendo continuamente atti omosessuali). Brunetto si attarderebbe ancora, ma il colloquio si deve interrompere, perchè vede il fumo sollevato da un'altra schiera di sodomiti, della quale lui non deve far parte. Si congeda da Dante raccomandandogli il Trésor (citato prima), che gli ha dato fama imperitura; poi si allontana di corsa, come un corridore che vince il palio di Verona.

    COMMENTO

    Protagonista assoluto del Canto è Brunetto Latini: Dante lo rievoca in questo episodio con grande affetto sul piano umano, ma anche con una ferma condanna della sua sodomia. L'atteggiamento di Dante verso l'antico maestro è di stupore nel vederlo dannato, di profonda deferenza e rispetto (gli dà del voi e lo chiama col titolo onorifico "ser"). Ne rievoca affettuosamente la cara e buona immagine paterna di quando a Firenze gli insegnava ad acquistare fama imperitura, "come l'uom s'etterna", cioè come diventi famoso grazie al suo talento letterario. Cionondimeno, Dante lo colloca tra i dannati: il che dimostra che c'è un contrasto netto tra la fama e i meriti terreni, letterari e politici, e la giustizia divina, che è implacabile con chi si è macchiato di gravi colpe, indipendentemente dai suoi meriti letterari. Dante ha scelto l’eternità del Cielo, oltre che quella della fama terrena; Brunetto, invece, si è fermato alla fama terrena. Infatti, si dimostra poco consapevole della propria colpa ed è ancora attaccato alla vita terrena, dal momento che si complimenta con Dante per il privilegio di poter visitare da vivo il regno dei morti: e sembra credere che ciò sia dovuto esclusivamente ai suoi meriti di intellettuale e politico, come già Cavalcanti aveva fatto, e non per sola grazia. Una visione tutta orizzontale. Dante, nel rispondere a Brunetto, in modo sottinteso indica Virgilio come suo vero maestro morale. Ma Brunetto non sembra comprendere le sue parole e osserva che Dante deve seguire la sua "stella che lo condurrà a glorioso porto": ovvero alla gloria letteraria e politica. Come già Cavalcante, anche Brunetto non capisce nulla del percorso di purificazione compiuto dal discepolo e considera solo la gloria terrena, non quella divina. Dal suo orizzonte è del tutto esclusa la grazia divina, ovvero Beatrice, che è il vero punto di arrivo dello straordinario viaggio dantesco. Il dannato è quindi prigioniero di una dimensione unicamente terrena e materiale, tant'è vero che il suo discorso prosegue con la profezia a Dante dell'esilio da Firenze (anche in questo c'è un'analogia con l'episodio di Farinata).

    LA VERSIONE DI NAGAI

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    Il Dante di Nagai riflette su quanto è successo a Brunetto Latini, dicendo: "Io so perchè un uomo della sua grandezza è finito qui all'inferno. E' stata la disperazione, che l'ha spinto a rinunciare alla vita...alle donne...e l'ha indotto ad abbandonarsi ai piaceri della sodomia. Questo inferno è per me ancora oscuro...qual'è il cammino di ogni essere umano? E dov'è che interviene la Provvidenza divina?" Questo è il punto di vista di chi non crede, non di un cristiano. Infatti, attribuire la libera scelta di una persona solo a sentimenti come la "disperazione" significa considerare l'uomo incapace di scegliere il bene, cosa non vera. Infatti, Dio ha dato a tutti la libera scelta e la forza di scegliere il bene e rigettare il male: sta poi alla libera scelta dell'uomo, insieme all'aiuto di Dio, scegliere il bene, la luce, il vero, il giusto. Non è una cosa impossibile. Invece, il Dante di Nagai ne parla come se fosse una cosa impossibile da fare, trasformando così l'uomo in uno schiavo incapace di libera scelta e trasformando Dio - il Salvatore che è andato in Croce per salvarci! - in un sadico che aspetta solo che l'uomo - inevitabilmente - pecchi per mandarlo all'inferno, trasformando il cristianesimo in una sua caricatura. Inoltre, il Dante del manga si chiede "qual'è il cammino di ogni essere umano". Ma se nella Divina Commedia questo è ripetuto quasi ad ogni verso! Il cammino dell'uomo è quello a cui lo chiama Dio: cioè quello della salvezza e del Paradiso, l'unione completa con Lui. Infine, il Dante nagaiano si chiede "dov'è che interviene la Provvidenza divina". Interviene in ogni momento: sta all'uomo ascoltarla. A questo servono la preghiera, i sacramenti, la comunione, la confessione, per i cristiani; per gli altri - non cristiani - Dio usa strade diverse. Ma la strada principale, da cui vengono tutte le grazie, è e resta quella cristiana. La Provvidenza, insomma, c'è per tutti, cristiani e no: sta però all'uomo accoglierla.
    Come fanno i non credenti, ogni osservazione di Dante nel manga porta sempre ad un'accusa implicita a Dio, invece di comprendere la Sua azione di salvezza rispettando la libertà dell'uomo.

    "VIOLENTI CONTRO NATURA": UN TERMINE CHE VA SPIEGATO

    Questo articolo può essere difficile da comprendere per qualcuno: quindi, chi può capire, capisca. Chi non capisce, sappia che non ho scritto questo articolo con l'intenzione di offendere chicchessia.

    Chi legge la Divina Commedia sa che "violenti contro natura" è il termine con cui Dante indica i sodomiti (l'antico nome degli omosessuali). Ma lo stesso termine può essere usato per le lesbiche, i queer, i LGBT, chi fa accoppiamenti tra uomo e donna non fertili e mille e mille altre definizioni simili. Infatti la "natura" come noi la intendiamo oggi, cioè le foreste, i boschi, l'armonia generale, la bellezza del tramonto, "ciascuno ha il diritto di fare certe cose come gli piace", "le costrizioni che proibiscono certe cose sono artificiali e ingiuste" e cose del genere, non c'entra nulla con la "natura" descritta da Dante. Infatti il poeta fa riferimento alla "natura" intesa in senso cristiano, e anche in senso logico, non in senso sentimentale come lo è oggi. "Natura", per il cristiano e per la logica, non è un bosco, nè l'Amazzonia, nè il Mondo, ma è il fine per cui esiste una cosa. Per esempio: il sole esiste per illuminare; il seme esiste per germogliare; le api esistono per impollinare; le gambe servono per camminare; l'occhio serve per vedere, e così via. E, nel nostro caso, l'organo sessuale maschile serve per generare insieme all'organo sessuale femminile, e viceversa. Sono azioni naturali, cioè normali. Le azioni omosessuali, invece, non usano questi organi per il fine a cui sono stati creati; quindi li usano "contro la loro natura", o "contro la loro funzione", se preferite. Per estensione, si può dire lo stesso per il profilattico, perchè impedisce la natura, cioè la funzione, della riproduzione legata agli organi sessuali; oppure per gli altri accoppiamenti tra uomo e donna fatti senza il fine di generare. Pure il rifiutare la donna e l'uomo così come sono secondo la loro natura, considerando queste visioni del maschio e della femmina come "artificiose e frutto di una società retrograda e bigotta", sono visioni contro natura tipiche della mentalità "queer": visioni violente, perchè impongono questo pensiero con la violenza delle leggi e della pressione sociale. Infatti, queste verità sull'uomo e sulla donna che hanno una propria natura che deve essere rispettata sono delle verità talmente ovvie da essere combattute necessariamente solo con una campagna pubblicitaria avversa, continua, martellante e ossessiva, che duri decenni e con l'emanazione di leggi, decreti, linee guida eccetera il più possibile crudeli e spietati contro chi osi anche solo sollevare leggere obiezioni al riguardo.
    Così tale mentalità si diffonde a macchia d'olio e viene seguita anche a livello locale in gruppi e associazioni (in particolare internet), dove chi dice qualcosa di contrario a queste imposizioni viene subito bannato senza che gli si dia la possibilità di difendersi, accusandolo di "discorsi di odio" e altre accuse infamanti. Oggi questo pensiero, che parte da un concetto errato di "natura", va per la maggiore, perchè è stato diffuso per più di cinquant'anni dai mass media manipolati da persone che sostengono queste idee. Ma parte da presupposti sbagliati, tra cui un'errata interpretazione della "natura".
    In questo modo, rifiutando la natura della persona, non la si ama più. Infatti si ama davvero una persona solo quando si riconosce la sua natura e il suo fine ultimo: altrimenti non è vero amore. E' il falso amore descritto da Francesca nell'Inferno: «Amor, ch'a nullo amato amar perdona». Quindi, per Francesca, al "vero amore" (omosessuale o libertino che sia), sarebbe impossibile resistere, deve per forza essere contraccambiato. Perché Francesca lo afferma? Perché vuole scaricare la sua responsabilità sulle circostanze, non sulle sue azioni («galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse»), negando che la natura umana ci rende, invece, esseri liberi dotati di ragione, e quindi capaci di resistere agli impulsi istintivi.

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    Ma, se si negano la ragione e la libertà, anche la differenza tra l'amore e l'istinto scompare. L'amore, infatti, implica il riconoscimento di uno scopo a cui si può scegliere di aderire o meno. Per spiegarsi a livelli più semplici, tipo amare qualcosa e non qualcuno, chi ama davvero una cosa (tipo un'automobile) ne riconosce la sua natura (automobile come mezzo di locomozione) e il suo fine ultimo (lo spostarsi da un punto all'altro) e lo si rispetta, usandola per il suo scopo (rispettando quindi l'uso giusto del volante, del freno, della frizione, ecc.). Provate ad usare un'automobile in un altro modo e vi lascio immaginare il disastro che ne verrebbe fuori. Allo stesso modo, si ama una persona quando si agevola il suo cammino verso la meta per cui è stata creata. Un uomo ama una donna se la rispetta in quanto donna, con le sue caratteristiche da donna; lo stesso nel caso di una donna che ama un uomo. Ma il rapporto omosessuale o lesbico o queer o lussurioso o simili non permette la crescita dell'altro/altra, nè la sua realizzazione. La natura dell'uomo ha il suo compimento solo nel rapporto con la donna, e viceversa. Persino la biologia dimostra che l'uomo e la donna sono fatti per unirsi e diventare una carne sola.
    Dicendo che quella omosessuale (ma anche quella lussuriosa) è un' "attrazione irresistibile", si giustifica (come fa Francesca) il proprio egoismo narcisista, usando l'altro secondo le proprie voglie. Al contrario, Beatrice va verso Dante non per portarlo a sé, ma per condurlo in Paradiso, a conoscere il suo Creatore, Colui per cui Dante è stato creato e in cui solo può trovare la sua piena realizzazione. Questo è Amore, quello vero.
    La mentalità corrente guarda le persone solo come materia da manipolare a proprio piacimento, invece di vederle nella loro realtà, vicina al divino, da contemplare, da rispettare e da proteggere come un valore altissimo, sacrificando i nostri istinti in loro favore. La mentalità corrente, grazie alla rivoluzione sessuale del '68, dice che importa solo quello che vuole il soggetto, indipendentemente dal discernimento sulla bontà del suo desiderio e sulle conseguenze che questo desiderio ha sugli altri e sulla realtà. In sostanza, l'amore, il diritto naturale e il bene comune vengono soppiantati dall'individualismo (cioè: "quello che voglio io è giusto non perchè è giusto, ma perchè lo voglio io e perchè io penso che sia giusto"), sostenuto dal potere dello stato e dei suoi apparati.
    La ragione non è più usata per conoscere la realtà, perché manca un'educazione, un allenamento alla bellezza. I mass-media ingannano dando visioni false, riduttive e ridicole dell'amore. Il potere statale ama sviluppare l'individualismo, e quindi l'egoismo e la solitudine, perchè le persone sole sono più facili da manipolare. E il potere statale odia nello stesso tempo la tradizione che, al contrario, ci fornisce immagini alte dell'amore. Per esempio, i personaggi femminili di Shakespeare sono così puri, pieni di grazia e bellezza da suscitare ammirazione in chi legge. Lo stesso accade di fronte all'amore vissuto e descritto da tanti altri poeti e letterati. I giovani desiderano ancora l'amore vero, ma non lo sanno finché non scoprono cos'è, finché non hanno davanti un'immagine che esemplifichi che cosa significhi adorare e rispettare l'amato. Spesso hanno solo immagini di amore lascivo, o omosessuale, o LGBT, o queer, eccetera, insieme all'annullamento dell'uomo e della donna. Il risultato di oltre cinquant'anni di diseducazione.

    T2
    Uomo, donna, rispetto, onestà, decoro, leggi giuste, missione, incarico, sacrificio, cavalleria, combattimento per le cause giuste, dignità, amore, bellezza, eleganza: molto si può dire in una sola immagine.


    BIBLIOGRAFIA:

    https://divinacommedia.weebly.com/inferno-canto-xv.html
    Bussola Quotidiana, Giovanni Fighera

    (Continua qui)

    QUI TUTTI I LINK SULL'ANALISI SU DANTE

    Edited by joe 7 - 11/12/2021, 15:58
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    Sì, con Brunetto Latini si vede bene come Dante distingua sempre peccato e peccatore.
    Sul tuo discorso dei violenti contro natura ne avrei di cose da dire, ma tacerò per non sollevare polveroni.
     
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    CITAZIONE (Andrea Micky1 @ 4/12/2021, 22:16) 
    Sì, con Brunetto Latini si vede bene come Dante distingua sempre peccato e peccatore.
    Sul tuo discorso dei violenti contro natura ne avrei di cose da dire, ma tacerò per non sollevare polveroni.

    Si deve sempre distinguere tra peccato e peccatore: è una caratteristica cristiana che c'è sempre stata.

    Riguardo al resto, sapevo che quello che ho scritto era un discorso totalmente contrario al politically correct: praticamente è dinamite. E può sollevare polveroni, come dici tu: ma Dante, con questo cantico, mi ha costretto a scrivere tutto questo...altrimenti l'analisi sarebbe stata monca.

    Non volevo fare polemiche: se qualcuno si arrabbierà per quello che ho scritto, me ne dispiace, ma non posso farci nulla.
     
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    Il Politically Correct é una piaga biblica, ma tutti lo trattano come se fosse una religione vera e propria.
    Ma é una cosa sbagliata e come tutte le cose sbagliate, prima o poi finirà.
     
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    CITAZIONE (Andrea Micky1 @ 5/12/2021, 08:57) 
    Il Politically Correct é una piaga biblica, ma tutti lo trattano come se fosse una religione vera e propria.
    Ma é una cosa sbagliata e come tutte le cose sbagliate, prima o poi finirà.

    Quando non si crede nel Cristianesimo, inevitabilmente si crea una propria (falsa) religione, da imporre a tutti. E' il vecchio peccato di idolatria, sempre attuale. E, sì, finirà come finiscono tutte le cose false: solo il vero rimane.
     
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