Il blog di Joe7

  1. DIVINA COMMEDIA DI NAGAI E DI DANTE: INFERNO, CANTO 30

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    Divina Commedia
    By joe 7 il 14 May 2022
     
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    INFERNO, CANTO 30 - OTTAVO CERCHIO O MALEBOLGE
    DECIMA BOLGIA: FALSARI; LA MOGLIE DI PUTIFARRE

    (primo post: qui; precedente post: qui)

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    La violenza del falsario Gianni Schicchi contro Capocchio


    Siamo ancora all'Ottavo Cerchio dell'Inferno, quello dei Fraudolenti, diviso in dieci Bolge, o fosse (per questo l'Ottavo Cerchio è detto anche Malebolge). Ora Dante e Virgilio sono arrivati alla Decima e ultima Bolgia, quella dei Falsari. Hanno appena incontrato gli Alchimisti, coloro che falsano la materia.

    LA BESTIALITA' DI GIANNI SCHICCHI E MIRRA, FALSIFICATORI DI PERSONA

    Poco dopo aver parlato con gli alchimisti Griffolino e Capocchio nel precedente canto, Dante vede due dannati, che sono dei falsari di persona: un uomo, Gianni Schicchi, e una donna, Mirra, che corrono con furore, azzannando chiunque venga loro a tiro. Gianni Schicchi afferra Capocchio, azzannandolo da dietro sul collo e gettandolo con violenza a terra. La ferocia dello scontro è così bestiale che Dante, nel cercare di fare un confronto, ricorre prima alla similitudine con la tremenda storia di Atamante,1 poi con la penosa storia di Ecuba2. Ma nessuno di questi esempi di follia possono descrivere il furore di queste anime dannate. Griffolino d'Arezzo, il dannato che non è stato assalito dallo Schicchi e vede lo scempio che lui fa di Capocchio, resta lì tremante e dice a Dante di Gianni Schicchi. Quando era ancora in vita, lui aveva finto di essere il defunto Buoso Donati, per assegnarsi, con un testamento falso, la più bella giumenta del Donati. Dante poi si affretta a chiedergli chi sia l'altra anima che era giunta lì in preda alla furia (prima che morda anche il Griffolino). Lui risponde che si tratta di Mirra, la donna che si invaghì del padre, contrariamente a ogni legge morale: pur di giacere con lui, si era finta un'altra donna3.

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    Virgilio e Dante di Nagai incontrano Mirra (immagine presa da un'incisione di Dorè). Però non è aderente al poema, perchè anche Mirra, come Gianni Schicchi, va in giro ad aggredire e a mordere chiunque.


    MASTRO ADAMO, FALSIFICATORE DI MONETE

    Udite le parole dell'alchimista, Dante passa a osservare gli altri dannati della Bolgia e nota un dannato dal ventre così gonfio che sembrerebbe un liuto, se non fosse che al fondo della pancia ha le due gambe. Ciò è effetto dell'idropisia, una malattia che deforma le parti del corpo, accumulando del liquido nel ventre. Il dannato ha anche le labbra aperte per la sete, proprio come accade al tisico. Il dannato apostrofa Dante e Virgilio, meravigliato del fatto che vanno per l'Inferno senza alcuna pena, quindi si presenta come Mastro Adamo, che visse nell'abbondanza e ora brama un goccio d'acqua. Mastro Adamo è dannato a causa dei conti Guidi, che l'hanno indotto a falsificare i fiorini con tre carati di metallo vile. Egli ripensa sempre ai freschi ruscelli del Casentino e tale ricordo lo tormenta assai più della malattia di cui ora è vittima. La giustizia divina lo punisce facendogli pensare a quei luoghi dove peccò e inducendolo a sospirare di continuo. In quelle terre, infatti, c'è il castello di Romena, dove lui aveva falsificato i fiorini ed è stato arso sul rogo. Se solo vedesse tra i compagni di pena l'anima di Guido, o di Alessandro o del loro fratello Aghinolfo (i conti Guidi), in cambio rinuncerebbe a bere dell'acqua della fonte Branda: uno di loro (Guido) è già nella Bolgia, stando a quel che dicono gli altri dannati, e se Adamo potesse muoversi anche solo di un'oncia in cent'anni si sarebbe già messo alla sua ricerca, nonostante la Bolgia abbia una circonferenza di undici miglia e non sia larga meno di mezzo miglio.

    LA MOGLIE DI PUTIFARRE E SINONE, I FALSARI DI PAROLA

    Lionello-Spada-Joseph-and-Potiphar-s-wife
    Giuseppe rifiuta le avances della moglie di Putifarre


    Dante chiede a Mastro Adamo chi sono i due dannati stesi accanto a lui, che bruciano di febbre e fumano come le mani bagnate d'inverno. Il monetiere risponde di averli trovati lì al suo arrivo nella Bolgia e di non averli mai visti muoversi: sono la moglie di Putifarre, che accusò falsamente Giuseppe4, e il greco Sinone, che ingannò i Troiani per conto di Ulisse, facendo credere loro che il Cavallo di legno fosse un'offerta dei Greci per propiziarsi gli dei e da portare dentro le mura di Troia.

    IL LITIGIO TRA SINONE E MASTRO ADAMO

    A questo punto Sinone, irritato per essere stato nominato, colpisce con un pugno la pancia gonfia di Mastro Adamo: questi gli risponde con un pugno al viso, dicendo a Sinone che, se non può più muovere le gambe, può però colpire con le braccia. Sinone ribatte che Adamo non era stato così agile con le braccia quando l'avevano mandato al rogo, mentre lo era stato invece nel fabbricare monete false. Mastro Adamo ribatte che è vero quello che dice Sinone, ma lo stesso Sinone non fu certo altrettanto sincero quando raccontò del cavallo a Troia. Sinone ribatte che lui disse il falso solo una volta, ma Adamo falsificò un mare di monete. Adamo gli ricorda allora che tutto il mondo è a conoscenza del suo spergiuro sul cavallo. Sinone gli rinfaccia la sete che lo tormenta e l'acqua che gli rigonfia orribilmente la pancia; Adamo ribatte che la bocca di Sinone è arsa dalla febbre e gli duole la testa, quindi non gli servirebbero molti inviti per leccare qualche goccia d'acqua. Dante osserva il volgare alterco con grande attenzione, quando d'improvviso è rimproverato da Virgilio, che gli dice di essere sul punto di arrabbiarsi con lui, che si interessa di cose così meschine. Dante si vergogna molto per le sue parole e Virgilio lo perdona. Lo invita poi ad averlo sempre accanto, nel caso assista nuovamente a una simile penosa rissa, perché attardarsi ad ascoltare cose simili è desiderio vile.

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    Dante osserva il litigio tra Sinone e Mastro Adamo, mentre sullo sfondo si vedono Gianni Schicchi e Mirra, che qui è più fedele al Canto: infatti sta per aggredire qualcuno.


    COMMENTO

    Lo scambio di insulti e improperi tra Sinone e Mastro Adamo, in cui ciascuno risponde per le rime all'avversario è simile a quanto Dante stesso aveva fatto in uno scambio di sonetti offensivi con Forese Donati. Dante prende le distanze da quella poesia di genere comico che aveva sperimentato e che ora respinge per ragioni stilistiche e morali. Come nel Canto Quinto (quello di Paolo e Francesca) aveva condannato certa poesia amorosa che può portare alla dannazione, così qui egli supera una fase della sua precedente produzione nella quale non può più riconoscersi, come appare chiaro dalla raccomandazione di Virgilio.

    I “falsatori di persone”, al di là delle apparenze, si rivelano molto simili agli alchimisti nella colpa e nella pena subìta: anch’essi infatti ebbero la presunzione di credersi padroni della propria ragione, poiché ritennero di poter trasformare a proprio piacimento la loro stessa persona, per ottenere qualcosa con l’inganno. Il loro peccato è più radicale di quello degli alchimisti, che si credevano fondamentalmente dominatori della natura, e di se stessi soltanto di riflesso: non deformavano direttamente l’umano (anche se, però, erano sulla strada per farlo) La presunzione dei falsari di persone di poter disporre di sé come si vuole è punita con la pazzia (Gianni Schicchi e Mirra, infatti, attaccano come pazzi chiunque vedano di fronte). La pazzia infatti è una malattia che stravolge non il corpo, ma la mente (dunque il centro stesso della superbia umana). La pazzia, in altri termini, distrugge l’illusione dell’autosufficienza umana e, come direbbe oggi uno psicanalista, spazza via l’illusione dell’auto-generazione, la pretesa di poter ricreare se stessi ex-novo secondo la propria volontà.

    Più in generale, si può dire che questi due canti, il 29 e il 30, chiudono in maniera esemplare le Malebolge, che è la parte dell’Inferno in cui sono puniti i peccati di frode e inganno. Infatti, si mostra qui in piena evidenza qual è la radice comune a tutti questi peccati: l’uso distorto dell’intelligenza, che è un dono divino, che però viene piegata a fini malvagi, con l’illusione di poterla utilizzare astutamente e in modo opposto alle intenzioni di Dio, che aveva dato l'intelligenza all'uomo perchè fosse usata per il bene. Le riflessioni dantesche investono qui anche il problema della libertà umana, che rischia sempre di cadere nell’equivoco e nell’illusione dell’uomo “piccolo dio”, privo di vincoli e di limiti, e quindi che si crede, per questo, di essere "libero". Mentre invece diventa prigioniero di se stesso, privo di un fondamento dei propri valori e del proprio stesso esistere, perdendo la consapevolezza di sè e la sua dignità.

    IL DANTE DI NAGAI

    Nel manga di Nagai, la scena del litigio tra Sinone e Mastro Adamo è stata saltata, e quindi anche il rimprovero di Virgilio. Anche la moglie di Putifarre non c'è. L'unica che compare è Mirra, insieme a Gianni Schicchi. Inoltre, Nagai ne approfitta per inserire delle riflessioni sue che non compaiono nel canto:

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    1) Dante, nel manga, dice che è impossibile che l'uomo non commetta peccati, se no "non saremmo esseri umani", conclude. E' un'osservazione in parte giusta e in parte sbagliata. E' difficile infatti che l'uomo, ferito dal peccato originale, possa evitare del tutto i peccati: per questo infatti esiste la confessione, per avere il perdono da Dio. Ma non è "umano" peccare. Non è che, peccando, diventiamo "più umani", come dice Nagai attraverso Dante. Anzi, col peccato si diventa meno umani e più disumani: si offende Dio e si distrugge se stessi. Non è il peccato che eleva l'uomo (anzi, lo degrada), ma la virtù: cioè, fare il bene. Qui il Dante nagaiano sbaglia dalla grossa.

    2) Virgilio, sempre nel manga, dice che la stoltezza dell'uomo gli fa credere di essere costretto a commettere peccati. E qui ha centrato in pieno la situazione: infatti, Dio non costringe nessuno a peccare. Il peccato è una libera scelta dell'uomo, non è una costrizione dovuta alle circostanze. Dio, piuttosto, aiuta tutti a non peccare: ma la scelta definitiva di peccare o meno resta solo dell'uomo.

    3) "La vita è una prova alla quale Dio ci sottopone", dice Virgilio nel manga. Questa è una mezza verità: la vita è sì una prova, ma Dio stesso ci aiuta nelle prove. Il cenno all'aiuto che Dio ci dà è assente nelle osservazioni di Nagai. Quindi è una verità sì, ma non completa.

    4) Virgilio, nel manga, dice che Dante è all'Inferno per far vedere agli altri, con la sua poesia, in che razza di Inferno finiscono gli uomini, se peccano. E Dante replica che ha capito la "gravosa missione" che gli è stata affidata. Ma, a dire il vero, con questo ragionamento sarebbe bastato allora che Dante vedesse l'Inferno e basta, e avrebbe già finito tutto. Invece, va anche nel Purgatorio e nel Paradiso. La missione che il Poeta si era affidato, infatti, era quella di far capire all'uomo il motivo per cui vive e muore, il perchè della sua esistenza. In sostanza, la missione di Dante era quella di far vedere il Paradiso all'uomo, non l'Inferno e basta. Ne avevo già parlato qui: posto un estratto dell'articolo in questione, per spiegarmi meglio.

    "Dante ha scritto una volta che aveva composto la Divina Commedia per la felicità dell'uomo. Cioè: con quest'opera, Dante voleva aiutare noi uomini (sia quelli del suo tempo che noi del dopo 2000) ad allontanarsi dalla tristezza, cioè dalla nostra condizione di miseria, di peccato, per raggiungere la vera gioia, la felicità e la beatitudine: in sostanza, la salvezza eterna, il Paradiso. Dante dice che due sono gli obiettivi dell'uomo: la felicità in questa vita e la beatitudine nell’altra vita. La Divina Commedia è una via per comprendere il mistero dell'uomo (chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo?) e aiutarlo a raggiungere il suo fine, cioè il Paradiso, la Somma Gioia. Dante desidera testimoniare la verità da lui vista e incontrata, quella cristiana. Una verità che coincide con la bellezza e la sua contemplazione. Una verità, quindi, che non è un concetto filosofico da apprendere, ma piuttosto qualcosa di infinitamente bello da contemplare. Un passaggio quindi dall'Inferno (quello vero) al Paradiso (quello vero)."

    Quindi le osservazioni di Nagai attraverso Virgilio sono sbagliate...anzi rovesciate.

    5) Sempre il Dante di Nagai si rivolge a Beatrice chiamandola "mio angelo" (un'espressione che leggo solo nel manga) dicendo che lei gli aveva affidato un compito troppo gravoso, ma farà del suo meglio con la sua poesia. Il "compito gravoso" è quello descritto da Virgilio nel punto 4, e valgono le considerazioni fatte prima. E comunque, nel poema le intenzioni di Beatrice erano la salvezza di Dante e basta: non che lui componga un poema pieno di tuoni e fulmini infernali.

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    1 Atamante era un re della Beozia che Giunone aveva fatto impazzire per vendetta. Infatti, Atamante aveva sposato Ino, sorella di Semele, un'amante di Giove (Giunone infatti era vendicativa anche verso i parenti delle amanti di Giove. Questo dà un'idea di quanto fosse spietata). Dopo aver provocato la morte di Semele, Giunone si vendicò della sorella Ino, facendole impazzire il marito: Atamante e Ino avevano due figli, Learco e Melicerte: una volta impazzito per intervento di Giunone, Atamante credette di vedere al posto della moglie una leonessa e al posto dei figli dei leoncini. Nella sua follia, afferrò il figlio Learco e lo sfracellò contro uno scoglio; poi gettò Melicerte in mare, dove annegò. Ino si gettò in acqua per salvare Melicerte, ma annegò anche lei.

    2 Ecuba era la moglie di Priamo, re di Troia. Dopo la caduta di Troia, Ecuba fu fatta schiava e apprese in seguito della morte dei suoi figli Polissena e Polidoro, per cui impazzì e si mise a latrare come un cane.

    3 Mirra era la figlia di Teia, un re assiro (altre versioni lo indicano come re di Cipro), ed era innamorata del padre per opera di Afrodite, tanto da giacere dodici notti di seguito col padre, inconsapevole della sua vera identità. Il re, quando lo scoprì, la volle uccidere: per salvarla, gli dei la trasformarono in un albero dalla resina profumata, appunto la mirra. Dopo nove mesi, l'albero si aprì, dando alla luce Adone, frutto dell'amore incestuoso tra Mirra e il padre.

    4 La moglie di Putifarre (il nome non è stato mai rivelato) è un personaggio dell'Antico Testamento. Si era innamorata di Giuseppe, uno dei patriarchi ebrei che era prigioniero in Egitto e lavorava come schiavo al servizio del marito di lei, Putifarre. Ma Giuseppe rifiutò di unirsi a lei e allora la donna, infuriata, accusò falsamente Giuseppe davanti al marito Putifarre di averle fatto violenza. E per questo Giuseppe fu messo in carcere e condannato a morte.

    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/inferno-canto-xxx.html

    (Continua qui)

    QUI TUTTI I LINK SULL'ANALISI SU DANTE

    Edited by joe 7 - 21/5/2022, 17:09
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    Dante incontrerà Forense Donati fra i golosi del Purgatorio.
    In questo canto compaiono sia personaggi reali (Mastro Adamo), immaginari (Sinone il greco, Mirra) e addirittura biblici (la moglie di Potifarre), cosa che non succederà in altri canti.
     
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    CITAZIONE (Andrea Micky1 @ 14/5/2022, 17:41) 
    Dante incontrerà Forense Donati fra i golosi del Purgatorio.

    Calma, non ci sono ancora arrivato: ne parleremo quando ci arriveremo. ^_^

    CITAZIONE (Andrea Micky1 @ 14/5/2022, 17:41) 
    In questo canto compaiono sia personaggi reali (Mastro Adamo), immaginari (Sinone il greco, Mirra) e addirittura biblici (la moglie di Potifarre), cosa che non succederà in altri canti.

    Può darsi, non ci ho fatto caso.
     
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