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  1. DIVINA COMMEDIA DI NAGAI E DI DANTE: PURGATORIO, CANTO 8

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    Divina Commedia
    By joe 7 il 15 Oct. 2022
     
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    PURGATORIO CANTO 8 - ANTIPURGATORIO - SERPENTE; NINO VISCONTI E CORRADO MALASPINA
    (primo post: qui; precedente post: qui)

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    L'angelo scaccia il serpente, simbolo del diavolo.


    IL CANTO DELLA COMPIETA

    Siamo sempre nell'Antipurgatorio e siamo al tramonto, descritto da Dante come l'ora in cui i viaggiatori sentono una stretta al cuore per la nostalgia di casa, specie quando ascoltano il suono delle campane che indica la Compieta (è l'ultimo momento di preghiera della giornata prima di andare a dormire: è praticata soprattutto dai frati e monaci), mentre si allontanano dal loro Paese. Dante osserva una delle anime della valle dei principi negligenti - non specifica chi sia - che si alza e leva ambo le mani al cielo, guardando a oriente, dove sorgerà ancora il sole, simbolo di Dio, come se dicesse che null'altro oltre a Lui gli basta: inizia a recitare l'inno Te lucis ante con grande devozione, imitata dalle altre anime che alzano tutte gli occhi al cielo. Il "Te lucis ante" è un inno cantato dai monaci al termine della giornata, come invocazione di aiuto e difesa da parte di Dio, perché i sogni notturni e le suggestioni diaboliche non contaminassero i corpi durante il riposo:

    Te lucis ante terminum (Al termine del giorno)
    Rerum Creator poscimus, (sommo Creatore di tutte le cose, vegliaci)
    Ut pro tua clementia, (affinchè per tua clemenza)
    Sis praesul et custodia. (Tu sia per noi presidio e custode)

    Procul recedant somnia, (Ci siano lontane dal sonno)
    Et noctium phantasmata; (le ombre della notte)
    Hostemque nostrum comprime, (respingi il nostro nemico)
    Ne polluantur corpora. (affinchè il corpo non sia contaminato)

    Praesta, Pater piissime, (Sia onore al Padre)
    Patrique compar Unice, (al Figlio e allo Spirito Santo,)
    Cum Spiritu Paraclito (al Dio Trino ed Unico)
    Regnans per omne saeculum. Amen. (che regna nei secoli dei secoli. Amen.)

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    Un'anima canta il Te Lucis Ante.


    Il poeta vede le anime della valle restare in attesa e guardare in alto, poi vede scendere due angeli armati di spade infuocate e senza punta, che indossano vesti verdissime e hanno ali con penne dello stesso colore. Uno si pone sopra di lui, l'altro si colloca all'altro capo della valle, per cui le anime si raccolgono al centro. Il poeta distingue i loro capelli biondi, ma non riesce ad osservare il loro volto, che è al di là della comprensione umana. Sordello spiega che entrambi gli angeli vengono dal grembo di Maria a proteggere la valle da un serpente che arriverà tra poco. Dante, non sapendo da quale parte giungerà il malefico animale, si sente raggelare e si stringe al suo maestro.

    NINO VISCONTI

    Simbolo-dei-Visconti
    Il "Biscione", simbolo e stemma della potente casata dei Visconti di Milano.


    Sordello invita i due poeti a scendere nella valle per parlare con le anime dei reali, cosa che sarà molto gradita a loro. I tre scendono di appena tre passi e Dante, giunto nella valle, si accorge di uno spirito che lo osserva attentamente, come se volesse riconoscerlo. È quasi buio, ma questo non impedisce a Dante di riconoscere in quel penitente il giudice Nino Visconti, una sua conoscenza, che gli si fa incontro. Il Visconti fu un importante cittadino di Pisa (la famiglia Visconti poi era una delle più rinomate): fu anche giudice in Sardegna. Fu coinvolto negli intrighi pisani del Conte Ugolino (vedi il canto dell'Inferno dedicato a lui), che era suo nonno. Siccome non volle partecipare ai loro traffici, Ugolino e il vescovo Ruggieri (quello che Ugolino divora all'Inferno) lo scacciarono da Pisa. Sposò Beatrice D'Este, della potente casata ferrarese degli Estensi. Si recò anche a Firenze, dove probabilmente conobbe Dante. Il poeta è felice di vederlo tra le anime salve. I due si salutano con affetto; poi il Visconti chiede a Dante quando sia giunto sulla spiaggia del Purgatorio. Il poeta risponde di essere giunto lì attraverso l'Inferno e di essere ancora vivo, poiché compie questo viaggio per ottenere la salvezza. All'affermazione di Dante, sia Sordello sia Nino Visconti si sorprendono, e, mentre Sordello si rivolge a Virgilio, Nino chiama l'anima di Corrado Malaspina, per mostrargli ciò che la grazia divina ha concesso. Successivamente, Visconti chiede a Dante di dire sulla Terra alla figlia Giovanna di pregare per la sua anima. Beatrice d'Este, la vedova di Nino Visconti, non lo ama più, dal momento che ha lasciato le bianche bende del lutto (l'usanza di allora) per risposarsi, cosa di cui dovrà dolersi. Lei, dice Visconti, è l'esempio di come l'amore delle donne - almeno quelle superficiali - finisca presto, se i sensi non lo tengono desto. Ma, quando sarà morta, lo stemma dei Visconti di Milano non ornerà il suo sepolcro. Visconti dice queste parole con un dolente e misurato sdegno: non tanto perchè lei si sia risposata, ma perchè lei non lo ha amato. A proposito dello stemma dei Visconti qui raffigurato: si tratta di una biscia azzurra incoronata, che divora un bambino nudo, scuro di carnagione. Il suo significato è oscuro, come pure lo è il suo motto: “Vipereos mores non violabo”, cioè “Non violerò le usanze dragonesche”. Oggi è il simbolo della città di Milano, insieme al Duomo e alla Madonnina, ed è chiamato "il biscione". E' lo stemma che identifica meglio la città di Milano. E' anche stato usato come marchio, o brand, di società importanti e celebri come la casa automobilistica Alfa Romeo e la Fininvest, oltre che essere il simbolo della squadra di calcio dell’Inter. Il drago potrebbe rappresentare il mostro marino che divorò il profeta Giona della Bibbia; oppure al fatto che Ottone Visconti, mentre partecipava alla seconda crociata, avrebbe sconfitto un feroce guerriero saraceno chiamato Voluce e, una volta tornato in patria, a memoria dell’impresa, avrebbe adottato il simbolo del serpente come icona per la sua impresa. Un'altra possibilità è quella della leggenda del drago Tarantasio, la cui tana si trovava nei pressi del lago Gerundo. La bestia, che si nutriva di bambini, fu uccisa da Umberto Visconti, che salvò così un bambino dalla bocca del terribile animale.

    GLI ANGELI E IL SERPENTE

    Dante alza lo sguardo al cielo, nel punto dove le stelle ruotano più lentamente (il polo): vede tre stelle, tanto splendenti da illuminare tutto il cielo australe. Virgilio spiega a Dante che le quattro stelle viste prima da Dante sono ora dietro il monte, mentre queste nuove tre stelle sono sorte al loro posto. Mentre sta parlando, Sordello lo tira a sé e gli indica un punto col dito da dove, dice, sta arrivando il loro avversario: dal lato in cui la valle non è riparata dal monte, arriva un serpente, che, forse, è lo stesso che aveva dato il frutto proibito ad Eva. Il malefico animale striscia tra le erbe e i fiori, leccandosi il dorso con la lingua: Dante non vede come si muovano i due angeli, ma si accorge che calano in basso e fendono l'aria con le ali verdi, per cui il serpente è messo in fuga e gli angeli tornano in alto, là da dove erano giunti. Il senso allegorico di questa scena è che solo la grazia può aiutare il credente a sconfiggere le tentazioni demoniache, rappresentate qui appunto dal serpente che ha l'aspetto di quello che tentò Eva nell'Eden, di cui la valle in cui si trova adesso Dante ne è la prefigurazione. Il tutto è confermato dalla visione delle tre stelle che hanno preso il posto delle precedenti quattro viste al mattino, e che rappresentano le tre virtù teologali (fede, speranza e carità) indispensabili alla salvezza. Il verde degli angeli, tra l'altro, è il colore della speranza (appunto, "sempreverde": non appassisce mai). Le anime dei principi e tutte le altre del Purgatorio sono ormai salve e quindi immuni a ogni tentazione: il serpente a loro non può più fare niente (infatti quella del serpente e degli angeli era solo una scena di valore simbolico). Il dato che prevale su tutta la scena è infatti quello di grande serenità da parte delle anime, sia nella preghiera che nella cacciata del serpente. Il solo a preoccuparsi davvero del serpente è proprio Dante, che, essendo ancora vivo, è l'unico ad essere ancora esposto al rischio della tentazione.

    CORRADO MALASPINA

    Malaspina-spino-secco
    I due stemmi delle principali casate dei Malaspina: quella dello Spino Secco e quella dello Spino Fiorito. Corrado Malaspina apparteneva alla casata dello Spino Secco.


    Durante l'azione degli angeli, Corrado Malaspina, l'anima che Visconti aveva chiamato, osserva Dante e, dopo avergli augurato di giungere alla fine del suo viaggio ultraterreno, gli chiede se ha qualche notizia della Val di Magra o Lunigiana, dove lui in vita è stato potente. La Lunigiana è il territorio corrispondente al bacino idrografico de fiume Magra e comprende delle terre sia della Liguria che della Toscana: laggiù era il feudo della famiglia nobile dei Malaspina, dove Dante trovò ospitalità dopo il suo esilio, cosa che accadrà dopo la sua "esperienza" del viaggio all'Inferno, Purgatorio e Paradiso. Specifica di essere Corrado Malaspina il Giovane, non il Vecchio, che fu il fondatore della dinastia. Dante risponde di non essere mai stato nella sua terra (ma in futuro ci andrà). Afferma anche che la fama dei Malaspina è diffusa in tutta Europa, come pure la loro cortesia. Oggi essere "cortese" significa essere educato, ma allora "cortesia" significava essere dotati delle migliori qualità umane, caratteristiche della cavalleria: per esempio, gentilezza e generosità, coraggio e onestà. Corrado Malaspina gli risponde che "il sole non entrerà in congiunzione con l'Ariete altre sette volte", cioè non passeranno altri sette anni, prima che la cortese opinione di Dante gli sia confermata con prove più convincenti dei discorsi altrui, se i decreti divini non arresteranno il loro corso: cioè, tra sette anni Dante sarà esiliato e sarà ospite dei Malaspina. E' da notare come queste profezie, dette nel Purgatorio, hanno un tono ben diverso rispetto a quelle infernali. Tra l'altro, il cenno iniziale di questo Canto alla nostalgia di casa è un evidente riferimento alla situazione di esule del poeta.

    IL DANTE DI NAGAI

    Nel manga c'è la scena dell'anima che canta il "Te lucis ante". Però Visconti e Malaspina non compaiono: c'è solo il serpente che viene attaccato dalla spada dell'angelo. Nel poema, però, questo attacco non accade: basta la presenza dei due angeli a far allontanare il serpente. Nagai fa dire a Sordello che lui e le altre anime sono preoccupate per la comparsa del serpente, una cosa che invece nel poema non c'è. Infatti, le anime del Purgatorio sono tutte salve, non hanno nessuna possibilità di cadere all'Inferno: quindi il serpente non può fare a loro alcun danno.

    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/purgatorio-canto-viii.html

    (Continua qui)

    QUI TUTTI I LINK SULL'ANALISI SU DANTE

    Edited by joe 7 - 22/10/2022, 17:55
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    La scena del serpente la ricordo per via di un'illustrazione sulla mia Divina Commedia ridotta.
    Piccola curiosità: che differenza c'é tra un frate e un prete?
     
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    CITAZIONE (Andrea Micky1 @ 15/10/2022, 20:01) 
    La scena del serpente la ricordo per via di un'illustrazione sulla mia Divina Commedia ridotta.

    L'originale infatti era di Dorè, e Nagai lo aveva inserito nel racconto.

    CITAZIONE (Andrea Micky1 @ 15/10/2022, 20:01) 
    Piccola curiosità: che differenza c'é tra un frate e un prete?

    Entrambi hanno preso i voti, ma il frate fa parte di una comunità, mentre il prete gestisce una parrocchia di fedeli. Un frate non ha una parrocchia, ma vive in un convento.
     
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