Il blog di Joe7

  1. DIVINA COMMEDIA DI NAGAI E DI DANTE: PARADISO, CANTO 8

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    Divina Commedia
    By joe 7 il 9 Sep. 2023
     
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    PARADISO CANTO 8 - TERZO CIELO DI VENERE - SPIRITI AMANTI: CARLO MARTELLO D'ANGIO'
    (primo post: qui; precedente post: qui)

    Dante-Carlo-d-Angi-Martello
    Dante e Beatrice incontrano Carlo Martello d'Angiò (non c'entra nulla col Carlo Martello vincitore dei musulmani a Poitiers).



    Dante interrompe un momento la narrazione, spiegando che il mondo pagano credeva - a suo rischio - che la dea Venere (detta "la bella ciprigna", perché nata dalle acque del mare intorno all'isola di Cipro) diffondesse, dal pianeta che porta il suo nome, la tendenza all'amore sensuale: "folle amore", lo chiama Dante. Infatti, più che amore, si trattava solo di passione erotica, al passaggio da un letto all'altro, senza amore vero, ma giustificato per "l'influsso di una dea", e favorendo così la degradazione umana. Infatti non si possono fare cose simili in totale libertà senza alla fine degradarsi, sia nell'anima che nel corpo. Lo si vede oggi infatti nel luridume della pornografia in rete e nei fumetti, soprattutto i manga giapponesi, assai pieni di perversioni sessuali. Tutte cose che oggi sono assai in voga e sbandierati come normalità nei mass media: LGBT, omosessualità, gender eccetera.

    Quindi gli antichi, nel loro errore, adoravano non solo Venere, ma anche sua madre Dione1 e il figlio Cupido2, raccontando che lui si era seduto in grembo a Didone.3 I pagani identificavano quindi come Venere proprio "la stella / che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio", cioè la stella che il Sole corteggia ora da dietro, ora di fronte, a seconda del fatto che Venere sia mattutino (quindi compare prima del Sole) o vespertino (quindi compare alla sera dopo il Sole). Questo non avviene nello stesso giorno, ovviamente, ma in diversi momenti dell'anno.

    Dante non si è accorto di essere asceso al Terzo Cielo di Venere: però lo comprende quando vede che la bellezza di Beatrice è diventata ancora maggiore di prima. Più lei si avvicina a Dio, più diventa bella e luminosa. Dante, in tutta quella luce dei Terzo Cielo, vede delle luci che ruotano in cerchio più o meno veloci, simili a faville che si distinguono nella fiamma, oppure a una voce modulante che si sente insieme a una voce ferma. Sono gli Spiriti Amanti del Terzo Cerchio. La velocità con cui sono comparsi davanti a Dante e Beatrice è maggiore di qualunque lampo o turbine sia mai partito dal cielo: quelle anime erano venute dal Primo Mobile, il Cielo più alto (sopra di esso c'è l'Empireo: ma, essendo Cielo Immobile, lì non si danza, si contempla Dio). Dal Primo Mobile, dove danzavano, scendono nel loro cielo, quello di Venere, per incontrare Dante. Le anime più vicine a Dante risuonavano dentro di un "Osanna" così divino che il poeta ne ha ancora nostalgia, tanto la vorrebbe ancora sentire.

    CARLO MARTELLO D'ANGIO', IL BUON PRINCIPE

    Una delle anime si avvicina a Dante: si tratta di Carlo Martello d'Angiò (1271-1295), detto anche Carlo III d’Angiò, della stirpe reale degli Angioini, che visse poco (24 anni): fu chiamato così in onore del più famoso Carlo Martello, il nonno di Carlo Magno, che sbaragliò gli Arabi a Poitiers nel 732. Avrebbe potuto regnare sulla Provenza francese, sull'Italia meridionale e sull'Ungheria, ma fu portato via dalla peste. Già nel 1292 era stato eletto re d'Ungheria (almeno formalmente) e nel 1294 si recò a Firenze per incontrare i suoi genitori, che rientravano dalla Francia, trattenendosi nella città toscana per una ventina di giorni. Per onorare il principe angioino, fu predisposta una delegazione, della quale pare facesse parte lo stesso Dante che, forse, in quell'occasione, strinse amicizia col giovane Carlo, probabilmente per una vicinanza di gusti letterari. Già l'anno successivo, Carlo Martello morì, lasciando un grande rimpianto, perchè in lui molti vedevano il buon principe, e poco dopo morì anche la giovane moglie Clemenza, che Dante di certo vide durante la sosta fiorentina, mentre nel 1281 raggiungeva Napoli per sposare Carlo Martello.

    Come mai un regnante è tra gli Spiriti Amanti? Perchè Dante fa capire che per regnare bene si deve amare, e sul serio, non in modo sdolcinato. Nel "De Monarchia" Dante dice che la cupidigia rende l'uomo - soprattutto se regnante o comunque importante - capace solo di disprezzare gli altri uomini, desiderando solo la ricchezza, la fama, l'onore, il potere, l'ideologia. Invece la carità, fissando il suo centro in Dio, fa sì che l'uomo - soprattutto potente - desideri il bene degli altri uomini. E, siccome il bene maggiore dell'uomo è vivere in pace con tutti, e siccome la pace è frutto di giustizia, se ne deduce che la carità, cioè l'amore (che gestisce quindi la giustizia in modo retto) deve essere la prima virtù di un sovrano. Tutta un'altra cosa dal Principe di Machiavelli, che dice che il fine giustifica i mezzi...e sprofonda e fa sprofondare all'Inferno.

    CARLO MARTELLO D'ANGIO' SI PRESENTA A DANTE

    Carlo-Martello
    Carlo Martello d'Angiò, Beatrice e Dante


    Carlo Martello, che non si è ancora presentato, dice a Dante che è pronto, come gli altri beati, a interrompere la sua danza per soddisfare ogni richiesta del poeta, affinchè lui gioisca insieme a loro.

    "Noi ci volgiam coi principi celesti ("Noi ruotiamo coi Principati (gli Angeli che gestiscono il Terzo Cielo di Venere, qui detti anche Principi Celesti)
    d’un giro e d’un girare e d’una sete, (condividendo la stessa danza, lo stesso movimento e lo stesso desiderio di Dio che hanno loro)
    ai quali tu del mondo già dicesti: (ai quali tu nel mondo un tempo dicesti:)

    ‘Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete’; ('Voi che col vostro intelletto muovete il terzo Cielo'; )
    e sem sì pien d’amor, che, per piacerti, (e siamo così pieni d'amore che, per compiacerti,)
    non fia men dolce un poco di quiete". (non ci sarà meno dolce restare fermi per un po'.")

    Carlo Martello, in sostanza, spiega che essi ruotano, cioè danzano, insieme all'intelligenza angelica dei Principati, che gestiscono il Cielo di Venere, cui Dante stesso si rivolse con la canzone Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete, citata da Carlo Martello, che già aveva conosciuto Dante e le sue opere da vivo. Il verso citato è l'incipit (cioè l'inizio) del canto 79 delle Rime4 di Dante, commentato poi dallo stesso Dante nel II Trattato del Convivio.

    E' curioso il fatto di quanto le anime dei beati danzino sempre senza mai fermarsi, come ripete spesso Dante nel Paradiso: è come se fossero pieni di una tal gioia da scoppiare, esprimendola attraverso la danza. Non è tanto che facciano dei balletti: ma Dante lo esprime in un modo che possa essere un pò comprensibile a noi sulla Terra. Il loro "danzare" è qualcosa di indescrivibile e il concetto di "danza" usato da Dante può dare un'idea di quello che fanno. Ma noi non lo possiamo capire pienamente, perchè è al di là della nostra portata.

    Dante si rivolge con uno sguardo a Beatrice, con aria interrogativa, per vedere se può parlare a quell'anima, e lei risponde con un cenno di assenso: quindi torna a parlare all'anima e le chiede di presentarsi (Dante non l'aveva ancora riconosciuto). La luce che avvolge il beato si fa assai più splendente, mostrando così la grande gioia che egli prova nel rispondere a Dante.

    Carlo Martello, nella sua risposta, non svela mai direttamente il suo nome a Dante, forse per fargli capire a poco a poco, parlando, chi sia lui. Inizia spiegando di essere vissuto poco tempo sulla Terra (infatti morì all'improvviso di peste a soli 24 anni): se fosse rimasto vivo più a lungo, si sarebbero evitati molti mali ora presenti. Poi aggiunge che la sua gioia lo avvolge completamente di luce, come un baco avvolto nella seta, rendendolo inconoscibile a Dante, che in vita lo amò molto e con ragione: se lui fosse vissuto più a lungo, avrebbe ricambiato il suo affetto in modo più adeguato.

    Egli si presenta come il signore atteso (ma mai arrivato a causa della sua dipartita) nella terra di Provenza (il Sud della Francia), solcata dai fiumi Rodano e Sorga, e in Italia meridionale, cioè il Regno di Napoli (chiamato da lui "corno d'Ausonia": Ausonia è l'antico nome classico dell'Italia, mentre il "corno" è rappresentato dalla Calabria, Basilicata e Puglia, in fondo all'Italia, che formano appunto una specie di mezzaluna.

    Regno-di-Napoli
    Il Regno di Napoli del Sud Italia, in giallo scuro.


    Così Carlo Martello descrive il suo Regno di Napoli:

    e quel corno d’Ausonia che s’imborga (così come (mi attendeva come signore) quel corno d'Italia (il regno di Napoli) che ha come città)
    di Bari e di Gaeta e di Catona (Bari, Gaeta e Catona,)
    da ove Tronto e Verde in mare sgorga. (da dove i fiumi Tronto e Liri sfociano in mare.)


    In sostanza, Carlo Martello cita le tre città più periferiche del Regno di Napoli, descrivendone quindi i suoi confini: Bari (il capoluogo della Puglia) a Sud, Gaeta a nord (nel Lazio, poco più a nord di Napoli: fu un ducato e una Repubblica Marinara) e Catona, sempre a Sud (vicino a Reggio Calabria). Cita anche il fiume Tronto, che attraversa le Marche e sfocia nell'Adriatico, e il fiume Verde detto oggi Liri-Garigliano, che sfocia a Gaeta, nel Tirreno. Sono i due fiumi che indicano il confine settentrionale del Regno di Napoli. Quindi, con solo tre versi pieni di riferimenti geografici, Carlo Martello ha descritto tutti i confini del Regno di Napoli.

    Inoltre, continua Carlo Martello, lui era stato già incoronato re d'Ungheria ("quella terra che ‘l Danubio riga / poi che le ripe tedesche abbandona.", cioè "quella terra che il Danubio attraversa, dopo aver abbandonato le terre tedesche."). Non solo: avrebbe regnato anche sulla Sicilia, dove l'Etna erutta per un fenomeno naturale e non per la presenza del gigante Tifeo, se il malgoverno dei francesi Angioini non avesse scatenato la rivolta del Vespro5, che fece scacciare gli Angioini dalla Sicilia:

    E la bella Trinacria, che caliga (E la bella Sicilia (Trinacria è il nome antico dell'isola), che è coperta di caligine (a causa delle eruzioni dell'Etna)
    tra Pachino e Peloro, sopra ‘l golfo (tra Pachino, detto Capo Passero, che è l'estremità a Sud-Est della Sicilia, e Capo Peloro, l'estremità a Nord-Est della Sicilia, proprio davanti allo stretto di Messina: in mezzo a questi due estremi c'è proprio l'Etna),
    che riceve da Euro maggior briga, (il golfo di Catania, tra Pachino e Peloro, a est della Sicilia, è battuto dallo Scirocco, detto Euro, il vento che viene dall'Oriente: da qui il nome)

    non per Tifeo ma per nascente solfo, (non (è coperta di caligine) a causa del gigante Tifeo6, ma per lo zolfo che è prodotto dal sottosuolo,)
    attesi avrebbe li suoi regi ancora, (avrebbe atteso ancora i suoi sovrani)
    nati per me di Carlo e di Ridolfo, (nati attraverso me da Carlo e Rodolfo,7)

    se mala segnoria, che sempre accora (se il malgoverno, che spinge sempre)
    li popoli suggetti, non avesse (i popoli a ribellarsi, non avesse)
    mosso Palermo a gridar: "Mora, mora!". (indotto Palermo a gridare: "Muoia, muoia!" (la rivolta del Vespro).

    Vespri-siciliani
    L'inizio della rivolta dei Vespri Siciliani: la donna offesa è svenuta, e il marito sta uccidendo il francese che l'aveva offesa con la scusa che "stava facendo solo il suo dovere di soldato". L'eterna, vecchia scusa dei vigliacchi e dei prepotenti.


    Carlo Martello conclude il discorso dicendo che, se suo fratello, ancora vivente, Roberto d'Angiò, ora re di Napoli, facesse attenzione a questo fatto (cioè la rivolta di Sicilia), eviterebbe "l'avara povertà di Catalogna" per non subire danni. La terminologia "l'avara povertà di Catalogna" indica la grettezza e avarizia di Roberto d'Angiò. Il termine "Catalogna" fa allusione ai ministri catalani di cui il sovrano si era circondato nel governo di Napoli, tra i quali anche dei mercenari catalani, chiamati gli Almogaveri, la cui avidità avrebbe danneggiato il regno. Infatti, gli Almogaveri, essendo mercenari, pensavano solo ai guadagni. Guadagni che Roberto d'Angiò, nella sua avidità, era poco disposto a concedere: da qui i conflitti coi mercenari e le incertezze del governo di Napoli. E' da notare che Roberto d'Angiò diventerà re nel 1309, mentre i fatti della Divina Commedia sono ambientati nel 1300: ovviamente Dante ha scritto la Commedia dopo il 1309 (Dante è morto nel 1321). Roberto d'Angiò, conclude il beato Carlo Martello, pur discendendo da antenati di indole "liberale" (cioè onesta e disposta a spendere se necessario), ha invece un'indole gretta, avara e meschina.

    SPIEGAZIONE SULLE DIVERSE INCLINAZIONI UMANE

    Dante è felice nel sentir parlare Carlo Martello, e il fatto che il beato può leggere la sua gioia nella mente di Dio rende il poeta ancora più lieto. Però ora Dante ha un dubbio: chiede a Carlo Martello come sia possibile che da un padre liberale nasca un figlio avaro, come nell'esempio da lui citato di Roberto d'Angiò.

    "Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro, ("Tu mi hai reso lieto, così ora rendimi le cose chiare,)
    poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso (dal momento che con le tue parole mi hai indotto a dubitare)
    com’esser può, di dolce seme, amaro." (di come sia possibile che un figlio sia degenere rispetto al padre".)

    Carlo si dichiara pronto ad illuminare Dante con la verità e spiega che Dio, che fa ruotare i Cieli del Paradiso, fa sì che la sua Provvidenza (la sua azione) diventi virtù operante negli Astri: cioè, Dio determina la natura umana non solo per la sua essenza (cioè le sue caratteristiche di base: amore, sentimento, volontà, ecc.), ma anche per il suo fine nel mondo. Carlo Martello vuol dire che ognuno ha un suo scopo da svolgere nel mondo, per cui ogni cosa stabilita dalla Provvidenza si avvera in base a un determinato scopo. C'è ordine nel mondo: se non fosse così, se non ci fosse uno scopo per ciascuno, le influenze celesti sarebbero rovinose per gli uomini perchè non ci sarebbe nessun vero piano di salvezza. Non ci sarebbe ordine. Il che non è possibile, perchè le intelligenze angeliche, che muovono i Cieli, non sono carenti nè difettose, come ovviamente non lo è Dio. Ma questo scopo può essere seguito o no dall'uomo, che è libero: e, se il padre può seguirlo, il figlio può benissimo non seguirlo, anche se questo sarà a suo danno.

    Carlo Martello chiede a Dante se su questo punto necessiti di un'ulteriore spiegazione, ma il poeta si dichiara soddisfatto.

    Carlo Martello vuole però approfondire la questione, per meglio aiutare Dante a comprendere, spiegando che è bene che l'uomo, sulla Terra, sia un cittadino (e quindi non un vagabondo o simili: in questo modo, non maturerà mai). Ma questo richiede che gli uomini svolgano diverse funzioni e mestieri, come aveva detto Aristotele. Dunque, è inevitabile che, per influsso divino, l'indole degli uomini sia di volta in volta diversa. Quindi un uomo può nascere legislatore ("Solone", dice Carlo Martello: in onore di Solone, celebre riformatore ateniese) e un altro può nascere re (Carlo Martello dice "Serse", re persiano, citandolo come esempio), un altro sacerdote (detto da Carlo "Melchisedech", il primo grande sacerdote d'Israele) o un altro ingegnere (Dedalo, chiamato da Carlo Martello "quello/che, volando per l'aere, il figlio perse", facendo riferimento al figlio Icaro, che morì volando troppo vicino al Sole con le ali di cera fabbricate dal padre).

    La virtù dei Cieli opera queste distinzioni tra uomo e uomo, ma non distingue tra le varie casate o famiglie: perciò accade che Esaù (patriarca ebraico) sia del tutto diverso dal fratello Giacobbe, mentre Romolo (chiamato "Quirino") era figlio diverso dal padre, il pastore Faustolo (ma fu chiamato figlio di Marte per nobilitarne l'origine). Se la Provvidenza divina non operasse in tal modo, i figli seguirebbero sempre le orme dei padri e ciò non sarebbe utile alla società, che evidentemente non è fatta per fotocopie o cloni (cosa che invece il governo vorrebbe fare, appiattendo le persone allo stesso livello).

    Immagine
    L'orgoglioso Esaù, il primogenito, fiero del suo arco e delle sue frecce, affamato dopo una caccia, vende la sua primogenitura (e quindi la benedizione e l'eredità del padre) a Giacobbe in cambio di un semplice piatto di lenticchie offertogli dal furbo fratello.



    GLI UOMINI DEVONO ASSECONDARE LE INCLINAZIONI

    Ora, afferma Carlo Martello, Dante ha compreso perfettamente, ma, siccome è un piacere per lui stare con Dante, vuole aggiungere ancora un corollario alla sua spiegazione: se la disposizione naturale trova l'ambiente intorno a sé discordante per via della sorte, gli effetti sono sempre negativi, come un seme che cresce nel terreno sbagliato. E, se gli uomini badassero di più alle inclinazioni naturali di ciascuno, avrebbero persone più rette e adatte alla loro funzione. Invece, il mondo, conclude Carlo Martello, tante volte forza a diventare monaco chi sarebbe invece nato per diventare guerriero, oppure costringe a diventare re chi sarebbe portato alla vita religiosa: e in questi casi il cammino degli uomini è fuori dalla strada tracciata da Dio.

    COMMENTO

    Il protagonista assoluto del Canto ovviamente è Carlo Martello d'Angiò, il cui incontro è diviso in due parti: nella prima, il beato si presenta e critica il fratello Roberto; nella seconda, parla delle inclinazioni individuali e della necessità di rispettarle. Il lamento di Carlo Martello è quello di un buon principe che avrebbe potuto essere un sovrano migliore di quelli attualmente presenti in Provenza e a Napoli. Riguardo agli influssi celesti, Dante ha già chiarito che gli influssi delle stelle non determinano le azioni degli uomini, né il loro destino, tuttavia indirizzano la vita dei singoli individui che nascono ognuno con una sua particolare inclinazione. Inoltre, non sempre la Provvidenza divina, nell'ordinare le inclinazioni, tiene conto delle famiglie: non necessariamente, allora, chi è figlio di un buon re sarà un buon sovrano, per esempio, e così va: per cui Carlo Martello ammonisce gli uomini a tener conto delle disposizioni individuali e a non forzare le persone a un destino che non gli compete, tenendo conto unicamente della stirpe cui appartengono. Spesso, infatti, gli uomini svolgono dei mestieri che non hanno nulla a che vedere con le loro passioni, i loro talenti e le loro capacità.

    Ciascuno di noi ha dei talenti. Possederne anche uno solo, ma scoprirlo e farlo fruttare, produce molto di più che possedere tanti talenti ma tenerli nascosti (cioè non usarli mai). Per questo, Gesù dice: "A chi ha (cioè a chi avrà sviluppato i suoi talenti), sarà dato (la ricompensa eterna, cioè il Paradiso) e a chi non ha (cioè a chi non avrà sviluppato i suoi talenti) sarà tolto anche quello che ha" (cioè, andrà all'Inferno). Infatti, non sviluppare i nostri talenti significa diventare più malvagi. La bontà infatti è anche sviluppare i talenti: essere buoni richiede impegno, sacrificio, lavoro su se stessi. Essere buoni è una cosa da uomini (qui detto nel senso di "homo", cioè sia l'uomo che la donna), non da balenghi che sorridono e danno le pacche sulle spalle a tutti, dicendo di essere buoni comportandosi così.

    parabolatelenti-1
    Il giorno del giudizio, quando ogni servo porta i talenti in più che ha sviluppato, il servo pigro porta il suo unico talento che aveva e che non ha mai sfruttato nella sua vita e viene punito dal Signore, perchè nella sua vita ha fatto solo malvagità: chi non sviluppa i talenti, infatti, sviluppa i vizi.


    Fondamentale quindi è scoprire ed essere educati a cogliere quali talenti abbiamo. Il talento è la nostra passione più profonda, in quanto è connaturata a noi stessi. La strada che dobbiamo percorrere è dentro la realtà che viviamo: per questo la realtà permette sempre di orientarti nuovamente e di riportarti sulla giusta via, se mantieni viva la domanda su quali siano le tue passioni e soprattutto i tuoi talenti. È chiaramente preferibile per sé imparare a leggere prima i segnali che ci permettono di capire meglio la nostra persona.

    Molti ragazzi e ragazze che devono iniziare a farsi una strada raramente partono da una domanda su di sé, sulle proprie inclinazioni: quasi sempre, invece, hanno come riferimento le aspettative di carriera, di guadagno, di successo, insinuate nel loro animo da un contesto culturale che spesso veicola la riuscita lavorativa in termini economici come unica possibilità di compimento personale. Poche volte si chiedono cosa davvero piaccia loro, quasi mai si chiedono quali siano i loro talenti. Scegliere partendo da una domanda su di sé e sulla propria felicità spalanca nella vita attese e prospettive insospettate.

    Quando Madre Teresa di Calcutta, che non aveva ancora preso i voti, chiese al suo padre spirituale come avrebbe riconosciuto la propria vocazione, si sentì rispondere: «Lo saprai dalla tua felicità interiore. La profonda letizia del cuore è la bussola che indica il sentiero da seguire». Non si può mentire a se stessi, non si può mentire sulla propria felicità. Solo uno sguardo puro e un indomito desiderio di felicità permettono di rimanere attenti agli indizi e ai segni che arrivano dalla realtà in cui il Mistero opera e ci chiama ad aderire. Tra questi segni vi sono anche i desideri e i sogni che albergano nel nostro cuore, come pure le passioni e i talenti che emergono dalla nostra persona. In questa prospettiva che accomuna un genio come Dante Alighieri e una santa della carità come Madre Teresa di Calcutta, la vita diventa così assunzione di responsabilità, compito, un «prendersi cura di». La vita diventa allora bella, perché sarà una continua scoperta, e la strada che percorreremo ci sorprenderà, perché ci mostrerà paesaggi e mete che supereranno ogni nostra aspettativa.

    IL DANTE DI NAGAI

    L'incontro con Carlo Martello d'Angiò è stato saltato. Anche qui si trattava di argomenti troppo complicati per un fumetto.

    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-viii.html

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    1 Dione: figlia dei titani Oceano e Teti (non c'entra con la madre di Achille con lo stesso nome: quella era una ninfa). I titani erano le divinità della prima generazione, poi spodestati da Zeus. In una versione, Dione era la moglie - o prima moglie - di Zeus e dalla loro unione nacque Afrodite. In un'altra versione, più famosa, Afrodite era stata generata dai genitali di Urano, nonno di Zeus, recisi dal figlio Crono e poi gettati in mare: e da li si ha l'immagine ricorrente di Afrodite/Venere che sorge dalle acque. Il nome "Dione" è la versione femminile di Zeus: infatti, il genitivo greco di Zeus è "Dios". Da qui la parola "Dio", per indicare il Signore.

    2 Cupido: detto anche Eros, è figlio di Afrodite e Ares, dio della guerra. E' il dio dell'amore fisico e del desiderio, dall'aspetto di fanciullo e dotato di arco e frecce che provocano sentimenti di amore a chi viene colpito. In altre versioni è anche una divinità primordiale.

    3 Nell'Eneide, Cupido, nei panni di Ascanio, il figlio di Enea, si fa mettere in grembo a Didone e la ferisce con una freccia, ispirando in lei un folle amore per Enea.

    4 Le Rime di Dante sono un gruppo di liriche (poemi, canti) raccolte dai filologi di Dante dopo la sua morte: si tratta di una serie di componimenti diversi, raccolti e ordinati successivamente dai critici moderni. Per questo il canto "Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete" è stato etichettato da loro come il 79°. Tale raccolta riunisce il complesso della produzione lirica dantesca, dalle prove giovanili sino a quelle dell'età matura.

    5 la rivolta del Vespro: si tratta dei Vespri siciliani, in cui a Palermo scoppiò una enorme rivolta contro i francesi Angioini, che iniziò proprio all'ora dei vespri (alle sei di sera) di Lunedì dell'Angelo (il Lunedì dopo Pasqua) nel 1282. Da Palermo, i moti si sparsero presto all'intera Sicilia e ne espulsero la presenza francese con la Pace di Caltabellotta. La rivolta fu provocata dal comportamento osceno di un soldato francese, Drouet, che, all'uscita della chiesa di Santo Spirito a Palermo, mise le mani addosso a una nobildonna davanti al marito, frugandola nelle vesti con la scusa di "verificare se portava delle armi". La donna svenne per l'offesa e il marito uccise il porco che aveva osato fare una cosa del genere: da lì scoppiò la rivolta contro i Francesi. I palermitani, proprio al grido di "Mora, mora!" ("muori, muori!") citato da Dante, fecero a una vera e propria "caccia ai francesi", che dilagò in breve tempo per tutta l'isola, trasformandosi in una carneficina. I pochi francesi che sopravvissero al massacro si rifugiarono nelle loro navi, attraccate lungo la costa. Il comportamento osceno di quel miserabile di Drouet dà l'idea del modo con cui gli Angioini trattavano i siciliani. Si racconta che i siciliani, per individuare i francesi che si camuffavano fra i popolani, mostrassero loro dei ceci, "cìciri", nella lingua siciliana, e chiedevano loro di pronunciarne il nome esatto. Quelli che venivano traditi dalla loro pronuncia francese, dicendo invece "sciscirì", venivano immediatamente uccisi. Fu un vero e proprio macello. Famoso simbolo di quella lotta divenne il termine «Antudo!», una parola d’ordine usata dagli esponenti della rivolta, che significava: «ANimus TUus DOminus», cioè: "Il coraggio è il tuo signore (e non i francesi)". Quando fu realizzata la nuova bandiera della Trinacria, su di essa era scritta proprio la parola "Antudo".

    6 Tifeo: fu uno dei Giganti, figli del Tartaro e della Terra; per aver tentato di spodestare Zeus, Tifeo fu colpito dal suo fulmine e sprofondò sotto l'Etna. Da qui la leggenda di Tifeo che fa eruttare l'Etna. Tifeo compare anche nell'Inferno, nel Cocito, tra i Giganti (Inferno, XXXI)

    7 Carlo e Ridolfo: Si tratta di Carlo I d'Angiò, il nonno di Carlo Martello, e di Rodolfo d'Asburgo, il padre di Clemenza d'Asburgo, la moglie di Carlo Martello.

    (Continua qui)

    QUI TUTTI I LINK SULL'ANALISI SU DANTE

    Edited by joe 7 - 16/9/2023, 18:27
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    Su certe cose mi convinci, su altre no. Comunque il discorso sui talenti è un bel far dare una mossa a chi non capisce che solo noi stessi possiamo essere felici, non possono essere gli altri a darci/imporci la loro felicità
     
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    CITAZIONE (berlicche677 @ 9/9/2023, 17:42) 
    Su certe cose mi convinci, su altre no. Comunque il discorso sui talenti è un bel far dare una mossa a chi non capisce che solo noi stessi possiamo essere felici, non possono essere gli altri a darci/imporci la loro felicità

    E' impossibile convincere su tutto. Infatti, io non ci provo neanche: scrivo, poi, se va bene, bene, se no, no. Non posso scrivere quello che non credo per avere gli applausi. Scrivo liberamente e basta.

    La felicità non va mai imposta: per sua natura, non si impone a nessuno. E non c'è felicità, nè libertà, senza verità. Quindi si deve cercare la verità: solo quella rende liberi. E felici.

     
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    Questa analisi sul paradiso mi sta spingendo ad un esame interiore.
    Chissà se riuscirò a migliorare me stesso, grazie alle conclusioni finali.
     
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    CITAZIONE (Andrea Michielon @ 9/9/2023, 21:09) 
    Questa analisi sul paradiso mi sta spingendo ad un esame interiore.
    Chissà se riuscirò a migliorare me stesso, grazie alle conclusioni finali.

    Dante, se letto con attenzione, fa pensare: fa riflettere anche me. Quando l'hanno chiamata la "Divina" Commedia non scherzavano.
     
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