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  1. DIVINA COMMEDIA DI NAGAI E DI DANTE: PURGATORIO, CANTO 24

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    Divina Commedia
    By joe 7 il 4 Mar. 2023
     
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    PURGATORIO CANTO 24 - SESTA CORNICE: GOLOSI - FORESE DONATI, BONAGIUNTA DA LUCCA
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    Dante, Virgilio e Stazio osservano l'albero coi frutti, che i golosi non ne possono mangiare.


    PICCARDA DONATI

    Siamo sempre nella Sesta Cornice del Purgatorio riservata ai Golosi: laggiù, Dante e l'anima penitente di Forese Donati, il suo amico poeta, continuano a parlare tra di loro e a camminare, senza rallentare e procedendo spediti. Intanto, le altre anime penitenti, che sembrano morte due volte, tanta è la loro magrezza, osservano Dante coi loro occhi incavati, stupite del fatto che sia vivo. Dante nota che Stazio procede lentamente verso l'alto con loro, perchè sta parlando con Virgilio. Poi chiede a Donati se sa qual'è il destino ultraterreno della sorella di lui, Piccarda Donati; inoltre, gli chiede se, conosce qualcuno tra i compagni di pena. Donati risponde che sua sorella, che era già bella e buona quando era in vita, ora è fra i beati in Paradiso ("triunfa lieta ne l’alto Olimpo già di sua corona").

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    Piccarda Donati: busto di Giovanni Bastianini.


    LE ALTRE ANIME

    Per quanto riguarda le altre anime, è necessario che lui le indichi espressamente a Dante, perchè la loro eccezionale magrezza le rende irriconoscibili. Donati indica l'anima del poeta Bonagiunta da Lucca1. Accanto a lui, c'è quella di Papa Martino IV di Tours2, che sconta il suo amore per il cibo, in particolare le anguille di Bolsena e la vernaccia. Donati nomina altre anime di golosi: e tutti sono contenti di essere indicati, senza fare alcun gesto di stizza. Fra di essi Donati indica "per fame a voto usar li denti", cioè masticare a vuoto:

    - Ubaldino della Pila: aristocratico imparentato col cardinale Ottaviano e con l'arcivescovo Ruggieri, entrambi dannati.

    - Bonifacio Fieschi: arcivescovo di Ravenna. Dante alimenta l'accusa che spesso veniva rivolta ai prelati di darsi smodatamente al cibo e di vivere nell'opulenza.

    - il Marchese degli Argugliosi: aristocratico che, quando era vivo a Forlì, bevve in modo smodato.

    BONAGIUNTA DA LUCCA E IL DOLCE STIL NOVO

    Dante nota che l'anima di Bonagiunta, in particolare, si mostra desiderosa di parlare con lui, mentre, intanto, mormora un nome che al poeta sembra essere "Gentucca", un nome da donna, che pronuncia con le labbra tormentate dalla fame e dalla sete. Dante si rivolge a lui e lo invita a parlargli: Bonagiunta risponde che nella sua città, Lucca, è già nata una femmina (appunto Gentucca), che è ancora giovinetta, ma un giorno lei avrà modo di ospitarlo, durante il suo esilio. Il penitente invita Dante a ricordarsi della sua profezia, che sarà poi avvalorata dai fatti.

    Bonagiunta poi gli chiede se sia proprio lui Dante, il poeta che aveva iniziato il nuovo stile poetico di fare rima con la canzone Donne ch'avete intelletto d'amore. Si tratta di un poema della Vita Nova di Dante, che, con questo poema, rinnova lo stile poetico di allora, che prima salutava l'amata. Adesso, invece, con questa opera, Dante celebra l'amata, invece di salutarla soltanto: trova appagamento dalla lode stessa della propria donna. Cambia anche il destinatario: invece della sola amata, Dante individua subito il suo pubblico nelle donne e, tra di esse, in quelle che hanno "intelletto" (cioè piena conoscenza, esperienza) "d'amore", di carità, però, più che carnale.

    Dante risponde a Bonagiunta dicendo di essere un poeta che, quando scrive, segue ciò che l'Amore gli detta nel cuore. E' un modo trasversale e cortese di dire che l'autore di quel poema era proprio lui.

    Bonagiunta, allora, replica a Dante con una frase diventata famosa tra i letterati e gli studiosi di letteratura: dice infatti di capire adesso quale differenza separa lui e altri autori (Giacomo da Lentini - caposcuola dei poeti Siciliani - e Guittone d'Arezzo - famoso autore della lirica siciliana) da questo dolce stil novo di cui Dante ha appena parlato.

    Bonagiunta voleva dire che lui e gli altri poeti siciliani avevano scritto in maniera convenzionale, come per fare un gioco letterario, ma non certo per trasmettere un’avventura reale del cuore. Mentre questi "stilnovisti" seguirono invece l'ispirazione amorosa: la nuova poesia di Dante nasceva sempre dall’incontro con una donna, da cui proveniva l’ispirazione poetica. La poesia scaturisce, quindi, da un fatto, da un accadimento, non da qualcosa di retorico e inventato. Si scrive sempre perché accade qualcosa di importante nella propria vita: da questo fatto amoroso sgorga l’ispirazione. L’esperienza provata e conservata nella memoria e nel cuore deve poi trovare le parole opportune con cui venga comunicata agli altri. Questo è lo "Stil Novo".

    Poi Bonagiunta tace, mostrandosi soddisfatto della risposta.

    Bonagiunta
    Bonagiunta da Lucca


    Questa terzina di Bonagiunta è famosa perchè si tratta della prima e unica attestazione del termine "Dolce stil novo", cioè, appunto, stile nuovo, che contrasta quello vecchio. Termine che i critici letterari hanno poi esteso a tutta la nuova maniera poetica inaugurata da Guinizelli e ripresa dai poeti fiorentini, Dante compreso. La «novità» consisterebbe nell'immediata trasposizione dell'ispirazione amorosa, mentre Bonagiunta e i poeti guittoniani (che cioè presero dal poeta Guittone d'Arezzo) peccarono per eccesso di retorica, specie Guittone, mentre gli stilnovisti ricercarono un linguaggio semplice e non sofisticato.

    Si è molto discusso se la definizione di "dolce stil novo" di Bonagiunta vada estesa a tutta la scuola, oppure solo alle "Rime Nuove" iniziate da Dante nel cap. XIX della Vita Nova, ovvero le poesie in cui Dante ripone tutta la sua soddisfazione nelle parole di lode a Beatrice e non nel saluto di lei: ma tale ipotesi sembra troppo restrittiva e non spiegherebbe perché Dante senta il bisogno di spiegare la propria poesia a un esponente dei siculo-toscani. Del resto, il poeta lucchese crea un'opposizione tra Siciliani e siculo-toscani da una parte e Dante e i suoi amici dall'altra (dice infatti "le vostre penne"), per cui pare ragionevole che la sua definizione indichi la maniera inaugurata da Guinizelli e contro cui lui stesso aveva polemizzato. E' indubbio che Dante e Cavalcanti avessero coscienza di formare una cerchia di poeti accomunati da una stessa visione dell'amore e del modo di scriverne, benché non sia certo che essi si definissero veramente «Stilnovisti». Resta il fatto che la corrente delllo Stil Novo fu veramente presente in quel periodo.

    LA CRUDELE FINE DI CORSO DONATI

    Le altre anime adesso si allontanano da Dante, affrettando il passo, simili alle gru che, lungo il Nilo, fanno una larga schiera in cielo e poi volano via in fretta, tutte allineate. Camminano spedite, sia per la magrezza che per la volontà di espiazione. Solo Donati resta ancora con Dante, camminando lentamente e lasciando andare avanti le altre anime. Donati chiede a Dante quando lo rivedrà. Il poeta risponde che non sa quanto gli resti ancora da vivere: ma di certo è grande il suo desiderio di staccarsi dalle cose terrene e di lasciare la città di Firenze, che di giorno in giorno mostra sempre più il suo declino morale. Donati risponde gravemente che, molto presto, il principale responsabile di questo sfacelo, che è suo fratello Corso Donati, sarà trascinato all'Inferno legato alla coda di un cavallo, che lo sfigurerà orribilmente3. Non passeranno molti anni, aggiunge, prima che i fatti chiariscano a Dante il senso della sua oscura profezia. Alla fine delle sue parole, Donati si accommiata da Dante e raggiunge i compagni di pena, per non perdere troppo tempo nell'espiazione delle sue colpe.

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    Piccarda Donati, fatta rapire dal convento dal fratello Corso Donati.


    ARRIVO AL SECONDO ALBERO

    Forese Donati si allontana a passi rapidi, simile a un cavaliere che esce di schiera al galoppo per scontrarsi col nemico, mentre Dante resta in compagnia di Virgilio e Stazio. Il poeta segue Donati con gli occhi, finché scorge un altro albero, i cui rami sono carichi di frutti. Sotto di esso, i golosi alzano le mani verso i rami e gridano parole incomprensibili, come dei bambini di fronte a un adulto che mostra loro la cosa desiderata, ma tenendola sempre lontano da loro. Alla fine, le anime si allontanano e i tre poeti raggiungono a loro volta l'albero. Laggiù sentono una voce misteriosa che dice loro di non avvicinarsi. Inoltre, aggiunge che quella pianta è nata dall'albero dell'Eden, il cui frutto fu morso da Eva. I tre si stringono alla parete del monte e si allontanano.

    ESEMPI DI GOLA PUNITA

    La voce continua, ricordando esempi di gola punita:

    - I centauri che, ubriachi, combatterono Teseo e furono vinti. I centauri furono invitati alle nozze di Piritoo e Ippodamia, ma Euritione, il re dei Centauri, si era ubriacato e aveva tentato di rapire Ippodamia. Teseo, che era amico degli sposi, combattè contro il centauro per salvare Ippodamia e lo uccise.

    Teseo-e-il-Centauro
    Teseo abbatte il Centauro Euritione. Scultura di Antonio Canova.


    - gli Ebrei che si mostrarono inclini al bere, per cui Gedeone non li volle come soldati nella guerra contro i Madianiti.

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    Tutti quelli che bevvero l'acqua direttamente dal fiume furono scartati, mentre furono accettati quelli che prendevano l'acqua raccolta nelle loro mani: infatti quel comportamento era segno di temperanza.



    L'ANGELO DELLA TEMPERANZA

    I tre poeti passano oltre, stringendosi all'orlo interno della Cornice. Oltrepassato l'albero, i tre poeti proseguono nella Cornice ormai deserta, ciascuno meditando su ciò che ha udito. A un tratto sentono un'altra voce, che chiede loro cosa stanno pensando. Sentendo questo, Dante si scuote "come fan bestie spaventate e poltre", cioè, come fanno le bestie spaventate e pigre. Alza lo sguardo e scorge l'Angelo della temperanza, che rosseggia ancora più di un metallo arroventato e invita i tre a salire lì, se vogliono accedere alla Cornice successiva. Dante è abbagliato da quella vista e non ci vede più: segue gli altri due ascoltandone le voci. Nello stesso tempo, sulla fronte sente un dolce vento profumato di erba e fiori, simile a una brezza primaverile, prodotto dalle piume dell'angelo, che gli cancella la sesta P. L'angelo dichiara beati coloro che sono illuminati dalla grazia e non sono troppo inclini alla gola, avendo sempre desiderio della giustizia.

    COMMENTO

    Il Canto chiude l'episodio dedicato a Forese Donati ed è la seconda parte di un «dittico» iniziato nel Canto XXIII, con la differenza che qui l'amico di Dante è protagonista della prima e della terza parte del Canto, fra cui si inserisce la parentesi di Bonagiunta da Lucca, che introduce l'importante discorso intorno allo Stil Novo. La sorella di Donati, Piccarda, che è salvata, comparirà nel Canto III del Paradiso. Significativo è il contrasto che Donati crea tra i due opposti esempi dei fratelli, destinati rispettivamente al Cielo e all'Inferno, tanto più che i due erano legati da torbide vicende biografiche. Infatti, Corso Donati aveva rapito la sorella Piccarda dal convento dove si trovava, per costringerla a nozze con un uomo politico legato ai Guelfi Neri. Per cui la sua orribile morte costituisce la giusta punizione per i suoi peccati personali e le colpe politiche relative alle vicende fiorentine, tanto più gravi in quanto i Neri avevano causato l'ingiusto esilio del poeta nel 1302.

    IL DANTE DI NAGAI

    Quasi tutto questo canto è stato saltato: c'è solo il cenno al nuovo albero e all'Angelo che canta "Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia perchè saranno saziati". Nagai mette il versetto originale del Vangelo, ma il Dante della Commedia lo aveva modificato:

    E senti’ dir: «Beati cui alluma (E sentii che diceva: «Beati coloro che sono tanto illuminati)
    tanto di grazia, che l’amor del gusto (dalla grazia, che nel loro petto)
    nel petto lor troppo disir non fuma, (non nasce un eccessivo desiderio di cibo,)

    esuriendo sempre quanto è giusto!». (avendo sempre fame di giustizia!»)

    Cioè, qui l'Angelo della temperanza dichiara una parte della quarta beatitudine, "Beati coloro che hanno fame di giustizia", mentre quello della giustizia aveva detto "Beati coloro che hanno sete di giustizia". Dante parafrasa il passo evangelico e indica beati coloro che hanno un amore giusto e misurato verso il cibo. Infatti, chi è sempre goloso e beone è poco interessato alla giustizia, perchè è troppo concentrato sui suoi piaceri.

    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/purgatorio-canto-xxiv.html

    --------------------------------------------------
    1 Bonagiunta Orbicciani da Lucca: poeta italiano vissuto a Lucca nel 1220-1296 circa, fu iniziatore della scuola poetica nota come "Siculo-toscana". Scrisse un sonetto polemico a Guido Guinizelli, l'iniziatore dello Stilnovo, in cui lo accusava di sottigliezza e astruseria.

    2 Martino IV di Tours: al secolo Simone de Brie (o Simon de Brion), francese. Prima di diventare Papa, fu Canonico della chiesa di S. Martino a Tours (Torso nella Commedia). Fu Papa dal 1281 al 1285: fu famosa la scomunica che mandò contro l'Imperatore di Bisanzio, Michele Paleologo, portando così alla definitiva rottura tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa. La sua ghiottoneria fu proverbiale: si narra che, uscendo da un Concistoro (riunione ufficiale dei Cardinali col Papa per l'elezione di nuovi Cardinali), spesso dicesse: "O Dio Santo, quante fatiche sopportiamo per il bene della Chiesa! Dunque beviamo!". Vero o falso che sia, era un fatto noto ai tempi di Dante. La vernaccia citata è la Vernazza, un vino delle Cinque Terre (famosi villaggi dalle parti di La Spezia, una delle quali è detta proprio Vernazza).

    3 Corso Donati (1250–1308): fratello maggiore di Forese, fu a capo dei Guelfi Neri di Firenze (Dante era Guelfo Bianco): era un condottiero e un politico. Fu un uomo facinoroso e fiero. Partecipò alla battaglia di Campaldino contro gli aretini ghibellini, ottenendo la vittoria. Fu esiliato dai Bianchi, ma tornò trionfalmente in città con l'aiuto di Papa Bonifacio VIII. La sua arroganza e crudeltà fu tale da inimicarsi persino i suoi compagni Guelfi Neri. Fece anche rapire sua sorella Piccarda Donati dal convento dove lei viveva, perchè si era fatta suora, costringendola ad un matrimonio per i suoi scopi politici. Fu anche commesso un attentato contro di lui; alla fine, le autorità di Firenze lo condannarono come ribelle e traditore. Un moto spontaneo della folla lo costrinse a fuggire precipitosamente dalla città: inseguito, nella fuga cadde da cavallo, rimanendo però impigliato in una staffa, cosa che gli rovinò il volto. Fu poi raggiunto dai suoi nemici che lo uccisero.

    (Continua qui)

    QUI TUTTI I LINK SULL'ANALISI SU DANTE

    Edited by joe 7 - 11/3/2023, 17:53
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    Il confronto fra stilnovisti e guittoniani mi ricorda la situazione attuale del fumetto, in quanto:
    -i mangaka, come gli stilnovisti, si limitano a raccontare in maniera semplice
    -i fumettisti occidentali, come i guittoniani, realizzano storie intricate ed ampollose.
     
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    CITAZIONE (Andrea Michielon @ 4/3/2023, 18:13) 
    Il confronto fra stilnovisti e guittoniani mi ricorda la situazione attuale del fumetto, in quanto:
    -i mangaka, come gli stilnovisti, si limitano a raccontare in maniera semplice
    -i fumettisti occidentali, come i guittoniani, realizzano storie intricate ed ampollose.

    Non ci ho mai pensato, è buono come paragone! :lol:
     
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