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  1. DIVINA COMMEDIA DI NAGAI E DI DANTE: PARADISO, CANTO 6 (prima parte)

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    Divina Commedia
    By joe 7 il 24 June 2023
     
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    PARADISO CANTO 6 (prima parte) - SECONDO CIELO DI MERCURIO - SPIRITI OPERANTI PER LA GLORIA TERRENA: L'IMPERATORE GIUSTINIANO E LA STORIA DI ROMA
    (primo post: qui; precedente post: qui)

    Giustiniano-e-Teodora
    L'Imperatore Giustiniano e l'Imperatrice Teodora1, con in mano il "Corpus Iuris Civilis".


    LA FONDAZIONE DI COSTANTINOPOLI

    Dante arriva al Cielo di Mercurio, il Secondo Cielo, insieme a Beatrice: lì si trovano coloro che hanno operato bene, ma lo fecero anche per desiderio di gloria. Dante, nel Canto precedente, aveva chiesto all'anima beata di Giustiniano chi sia lui e perchè si trova in questo Secondo Cielo: è forse riservato ad un gruppo particolare di anime come la sua, come ha raccontato Piccarda Donati? Giustiniano risponde, volendo parlare prima di tutto dell'Impero, che una volta lui rappresentava. Quindi inizia subito con Costantino, che spostò l'Aquila Imperiale (cioè la Capitale dell'Impero, e quindi la sua autorità) da Roma a Costantinopoli nel 330.

    "Poscia che Costantin l’aquila volse ("Dopo che Costantino portò l'aquila imperiale)
    contr’al corso del ciel" (contro il corso del cielo" (cioè da Occidente a Oriente)

    Infatti, l'Impero Romano, ai tempi dell'Imperatore Costantino, aveva raggiunto la sua massima espansione e Roma era troppo distante per poter gestire la sua autorità. Di conseguenza, nel 330 Costantino scelse come nuova capitale dell'Impero la città di Bisanzio, a causa della sua posizione geografica: infatti, Bisanzio era al centro di eccellenti vie di comunicazione, sia terrestri che marine, verso i principali centri dell'impero; inoltre, dominava gli stretti strategici del Bosforo e dei Dardanelli, permettendo sia il controllo del Mediterraneo che del Mar Nero. Costantino la chiamò Nuova Roma, ma ben presto la città fu chiamata semplicemente Costantinopoli, la "città di Costantino": forse perchè di Roma ce n'è una sola. Successivamente, Costantinopoli mantenne il suo nome anche dopo che fu invasa dai Turchi nel 1453 e divenne la nuova capitale dell'Impero Ottomano, che fu sconfitto dopo la I Guerra Mondiale e decadde nel 1922. Nel 1923 fu fondata la repubblica di Turchia: la capitale fu trasferita da Costantinopoli ad Ankara e nel 1930 Costantinopoli fu chiamata ufficialmente Istanbul, che significa "nella Città".

    Tornando a Giustiniano, questi osserva che Costantino andò contro il normale sviluppo che sempre aveva seguito la civiltà, cioè dall'Oriente all'Occidente (tutta la civiltà, infatti, ha sempre seguito nei secoli il "corso del sole", da Est a Ovest: dai Fenici, agli Egiziani, a Roma, alla Spagna, all'America e così via). Infatti, prima, l'Aquila Imperiale aveva viaggiato da Est, cioè dalla Troade (penisola della Turchia dove si trovano le rovine di Troia), insieme a Enea, fino a Ovest, nel Lazio, dove Enea sposò Lavinia e fondò Roma. Con Costantino, l'Aquila Imperiale ("l’uccel di Dio" la chiama Giustiniano) tornò da dove era partita (infatti Costantinopoli era vicina all'antica Troia), e ci rimase per duecento anni, lì nell'estremità dell'Europa ("ne lo stremo d’Europa si ritenne"), da un Imperatore all'altro, fino a quando giunse nelle mani di Giustiniano (infatti divenne imperatore nel 527, proprio duecento anni dopo il trasferimento della capitale da Roma a Costantinopoli).

    GIUSTINIANO SI PRESENTA

    E a questo punto Giustiniano rivela il suo nome a Dante, insieme a quello che fece sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, cioè l'emanazione del Corpus Iuris Civilis, una compilazione omogenea della legge romana, che è tutt'oggi alla base del diritto civile, l'ordinamento giuridico più diffuso al mondo:

    Cesare fui e son Iustiniano, (Fui imperatore romano e mi chiamo Giustiniano)
    che, per voler del primo amor ch’i’ sento, (sono colui che, ispirato dallo Spirito Santo (definito da Giustiniano "Primo Amor")
    d’entro le leggi trassi il troppo e ‘l vano. (eliminai dalle leggi ciò che era superfluo e ciò che era inutile (cioè, perfezionò la legge romana)

    Prima di dedicarsi a tale opera, egli però aveva aderito all'eresia monofisita, credendo che in Cristo vi fosse solo la natura divina2. Però Papa Agapito lo aveva ricondotto alla vera fede3 e a quella verità che, adesso, egli contempla in Dio, "come tu vedi che in un giudizio contraddittorio c'è una frase vera e una falsa", spiega Giustiniano a Dante. Cioè l'errore del monofisismo e la verità della fede cristiana qui gli appare evidentissima. Non appena l'imperatore tornò alla vera fede, Dio gli ispirò l'alta opera legislativa (il Corpus Iuris Civilis) e si dedicò tutto ad essa, affidando le spedizioni militari al generale Belisario4, che ebbe il favore del Cielo nelle sue guerre contro i barbari. Col Corpus, Giustiniano raccolse e semplificò l'immensa legislazione romana, con un codice che è tuttora alle origini del nostro diritto. Con un efficace chiasmo ("Cesare fui e son Iustiniano") l’Imperatore sottolinea che nell’eternità non contano le cariche che abbiamo ricoperto in vita: un imperatore può trovarsi all’Inferno, come Federico II, o in Paradiso, e in maniera analoga può accadere a papi, cardinali, vescovi. Saremo nell’aldilà senza maschere, mansioni, cariche, ricchezze, nudi solo con la nostra anima e con l’amore con il quale abbiamo risposto all’amore di Dio.

    Giustinianook
    Papa Agapito fa comprendere a Giustiniano gli errori dei monofisiti.


    GIUSTINIANO: ENEA FONDA ROMA

    Fin qui, Giustiniano avrebbe risposto alla prima domanda di Dante, ma la sua risposta lo obbliga a far seguire un'aggiunta, affinché il poeta si renda conto quanto sbagliano coloro che si oppongono al simbolo sacro dell'aquila (i Guelfi) e coloro che se ne appropriano per i loro fini (i Ghibellini). Ci torneremo più avanti. Il Simbolo Imperiale, continua Giustiniano, è degno del massimo rispetto, e ciò è iniziato dal primo momento in cui Pallante morì eroicamente per assicurare la vittoria di Enea. Infatti, Pallante, amico di Enea, combatté contro Turno, re dei Rutuli: pur mostrando grande valore, fu ucciso da Turno e fu il primo a morire perchè venisse edificato l'Impero Romano, voluto dalla Provvidenza Divina.

    ALBA LONGA, GLI ORAZI E I CURIAZI

    Giustiniano ripercorre le vicende storiche dell'Aquila Imperiale:

    Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora (Tu (Dante) sai che esso (il simbolo dell'Aquila Imperiale) dimorò ad Alba Longa,)
    per trecento anni e oltre, (infino al fine più di trecento anni fino al momento)
    che i tre a’ tre pugnar per lui ancora. (in cui Orazi e Curiazi lottarono ancora per lui.)

    Cioè: l'Aquila Imperiale dimorò per trecento anni in Alba Longa: infatti era stata la città fondata da Ascanio, figlio di Enea. Da Ascanio discese la dinastia dei Re Albani, fino a giungere ai re Numitore e Amulio: Numitore avrebbe dovuto essere il re, ma il fratello minore Amulio lo spodestò dal trono e costrinse Rea Silvia, la figlia di Numitore (e quindi sua nipote) a non avere figli, che potrebbero minacciare il suo possesso del trono. Infatti, la obbligò ad essere vestale, cioè sacerdotessa della dea Vesta, deputata alla verginità. Ma lo stesso dio Marte rese incinta Rea Silvia, che partorì i fratelli Romolo e Remo: furono abbandonati nel bosco da Amulio, ma una lupa li allattò. Diventati grandi, Romolo e Remo scacciarono Amulio dal trono e ci misero il loro zio Numitore. Per ringraziarli, Numitore permise a Romolo e Remo di fondare una loro città, appunto Roma. Col crescere della potenza di Roma sotto il re Tullo Ostilio, le due città vennero a contrasto. Su proposta del re di Alba Longa, Mezio Fufezio, la contesa fu decisa da una disfida fra tre fratelli romani, gli Orazi, e tre fratelli di Alba Longa, i Curiazi, disfida vinta dai campioni romani. In seguito, Alba Longa fu distrutta dai Romani e non fu mai più ricostruita. I suoi abitanti furono trasferiti a Roma e si insediarono sul Celio, andando a ingrandire così la stessa Urbe.

    Lupa-capitolina
    La Lupa Capitolina, simbolo di Roma, con Romolo e Remo.


    LA FINE DEL REGNO DI ROMA E L'INIZIO DELLA REPUBBLICA

    Seguì poi il ratto delle Sabine e l'oltraggio a Lucrezia che causò la cacciata dei re di Roma e le prime vittorie contro i popoli vicini a Roma.

    E sai ch’el fé dal mal de le Sabine (E sai cosa fece (il simbolo dell'Aquila) dal ratto delle Sabine)
    al dolor di Lucrezia in sette regi, (fino all'oltraggio a Lucrezia, all'epoca dei sette re di Roma,)
    vincendo intorno le genti vicine. (vincendo i popoli circonvicini.)

    Infatti, Romolo, dopo aver fondato Roma, si era reso conto che le donne in città erano poche. Si rivolse alle popolazioni vicine per stringere alleanze e ottenere delle donne con cui procreare e popolare la nuova città. Al rifiuto dei vicini, rispose con l'inganno: organizzò un grande spettacolo per attirare gli abitanti della regione, soprattutto Sabini, e rapire le loro donne: appunto il "ratto delle Sabine". Ci fu guerra coi popoli circostanti, che volevano riavere le loro donne, ma alla fine furono le stesse Sabine a volere la pace e ad accettare il matrimonio coi Romani. Successivamente, Roma ebbe sette re, fino a Tarquinio il Superbo: suo figlio Sesto Tarquinio, invaghitosi della matrona Lucrezia, che era sposata, la violentò. Lucrezia, successivamente, si suicidò davanti ai suoi parenti per riparare al disonore. Avvenne poi una rivolta che fece scacciare Sesto Tarquinio e il re: da allora nacque la Repubblica Romana, che iniziò la conquista della penisola italica.

    LE GUERRE CONTRO BRENNO E I POPOLI ITALICI

    In seguito, i Romani portarono l'Aquila Imperiale contro i Galli di Brenno, contro Pirro e contro altri popoli italici: guerre che diedero gloria a Torquato, a Quinzio Cincinnato, ai Deci e ai Fabi.

    Sai quel ch’el fé portato da li egregi (Sai che cosa fece (il simbolo dell'Aquila Imperiale), portato dai nobili)
    Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, (Romani contro Brenno e Pirro,)
    incontro a li altri principi e collegi; (e contro altre repubbliche e monarchi dell'Italia;)

    onde Torquato e Quinzio, che dal cirro (per cui Torquato e Quinzio Cincinnato, che fu detto così)
    negletto fu nomato, i Deci e ‘ Fabi (per la chioma trascurata, nonché Deci e Fabi)
    ebber la fama che volontier mirro. (ebbero la fama che io volentieri onoro.)

    Brenno, capo dei Galli, mise a ferro e fuoco Roma, ma fu respinto alla fine dal condottiero Furio Camillo. Famosa è la frase di Brenno, che mostra la sua spietatezza: "Vae victis!" cioè "Guai ai vinti!" Quando i Romani proposero di dare a Brenno dell'oro perchè non distrugga Roma, Furio Camillo rispose: "Non con l'oro, ma col ferro si riscatta la patria!"

    Nuova-immagine
    Furio Camillo mette la sua spada sulla bilancia, sottolineando la sua frase.


    Pirro, re dell'Epiro (una regione tra l'Albania e la Grecia), attaccò Roma. Nel primo scontro, tuttavia, il suo esercito subì perdite così gravi da dare luogo al detto popolare "vittoria di Pirro", cioè una vittoria che costa più al vincitore che al vinto. Nel 257, Pirro fu sconfitto dal console Curio Dentato nei pressi di Malevento, che da allora prese il nome di Benevento. Costretto a rientrare in Epiro, Pirro fu poi ucciso in una campagna contro Sparta. Essendo stato un crudele dittatore, Dante lo mette nell'Inferno tra i Violenti contro il prossimo (Assassini e Tiranni): è completamente immerso nel fiume bollente di sangue Flegetonte (Primo Girone del Settimo Cerchio; Canto XII dell'Inferno). Torquato e Quinzio furono due famosi condottieri romani. Tito Manlio Torquato fu vincitore dei Galli e dei Latini e fu famoso per la sua severità: infatti, condannò a morte suo figlio, perchè aveva contravvenuto ai suoi ordini e aveva attaccato un manipolo di Latini. Lucio Quinzio Cincinnato fu nominato console e dittatore nella guerra contro gli Equi: ottenuta la vittoria, Cincinnato tornò ad occuparsi delle sue proprietà terriere, divenendo esempio di patriottismo e disinteresse verso il potere, inteso principalmente come servizio. Dante lo chiama qui "dal cirro negletto", cioè dalla chioma trascurata, come dovrebbe significare il nome "cincinnato": ma in latino il termine significa "riccioluto". Ciò non toglie che potesse avere davvero la chioma trascurata: "cirro" tra l'altro significa "ricciolo". I Deci e i Fabi furono delle famiglie romane che si distinsero per il loro eroismo contro le guerre di espansione di Roma: Publio Decio Mure, padre e figlio, vinsero i Sanniti e i Latini, morendo entrambi in battaglia. E gli uomini della famiglia Fabia si distinsero nelle guerre contro i Veienti; il più noto membro della famiglia Fabia, Quinto Fabio Massimo, il Temporeggiatore, ricoprì il consolato cinque volte e, dopo la sconfitta al fiume Trasimeno contro Annibale, fu l'ispiratore di una singolare tattica di logoramento contro il generale cartaginese che, sebbene lunga e contrastata, portò alla vittoria finale nella seconda guerra punica.

    ANNIBALE E LA SECONDA GUERRA PUNICA

    Annibale-2
    La tremenda discesa lungo le Alpi con gli elefanti.


    L'Aquila Imperiale poi sbaragliò i Cartaginesi che passarono le Alpi al seguito di Annibale, là dove nasce il fiume Po; sotto le insegne imperiali conobbero i loro primi trionfi Scipione e Pompeo, e l'aquila parve amara al colle di Fiesole, sotto il quale nacque Dante.

    Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi (Esso (il simbolo dell'Aquila) abbatté l'orgoglio dei Cartaginesi)
    che di retro ad Annibale passaro (che al seguito di Annibale passarono)
    l’alpestre rocce, Po, di che tu labi. (le Alpi, dalle quali tu, o fiume Po, discendi.)

    Sott’esso giovanetti triunfaro (Sotto di esso trionfarono, da giovani,)
    Scipione e Pompeo; e a quel colle (Scipione e Pompeo; e a quel colle (Fiesole)
    sotto ’l qual tu nascesti parve amaro. (sotto il quale tu (Dante) sei nato parve amaro.)

    Dante qui descrive in poche battute tutta la Seconda Guerra Punica, che avvenne tra Roma e Cartagine per il predominio del mondo intero allora conosciuto. Il condottiero cartaginese Annibale Barca invase la Spagna occupando la città di Sagunto, alleata di Roma, provocando così la Seconda Guerra Punica. Varcò le Alpi con le sue schiere di armati e i suoi elefanti: vinse ripetutamente i Romani fino alla battaglia campale di Canne, dove Roma conobbe la disfatta (216 a.C). Quinto Fabio Massimo, il Temporeggiatore, cercò di attaccare Annibale con tattiche logoranti, dando tempo al condottiero Publio Cornelio Scipione di attaccare direttamente Cartagine, sconfiggendo Asdrubale, il fratello di Annibale. Quest'ultimo fu costretto così a tornare a Cartagine e affrontare Scipione: ma fu sconfitto nella battaglia di Zama, vicino a Cartagine, in Africa. Questa vittoria valse a Scipione il soprannome di Africano. Annibale scelse l'esilio da Cartagine: inseguito dai romani, si suicidò a Lybissa (oggi Gebze), in Turchia, vicino a Bisanzio. Dante cita anche Pompeo: non per le sue vittorie contro i Cartaginesi (Pompeo visse dopo questi fatti), ma sempre per "aver portato l'Aquila Imperiale" nelle sue battaglie contro Mitridate e nella sua conquista della Spagna. Inoltre, Dante chiama i Cartaginesi "Arabi" come richiamo al pericolo costante dei Musulmani in Africa, che avevano preso il posto dei Cartaginesi, e, come loro, minacciavano la civiltà cristiana. Fiesole è un comune toscano, vicino a Firenze, di origini etrusche. Durante la guerra con Catilina, fu distrutta dai Romani e al suo posto Giulio Cesare fondò Firenze. La cosa è citata anche nell'Inferno dal dannato Brunetto Latini, nel girone degli Omosessuali o Violenti contro Natura (Inferno, Canto XV). A causa della sua ribellione contro l'Aquila Imperiale, Dante chiamò "amaro" il colle di Fiesole.

    Annibale
    Annibale, nel suo accampamento in marcia verso Roma, riceve la testa del fratello Asdrubale, che gli manda Scipione. In questo modo, Annibale capisce che Cartagine è assediata.



    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-vi.html

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    1 Teodora: Basilissa e moglie di Giustiniano, non compare nè è citata nella Divina Commedia, probabilmente perchè aveva sostenuto l'eresia monofisita: Dante comunque non la colloca in nessuno dei Tre Regni. Di origini umili e dalla giovinezza dissoluta, ad un certo punto cambiò vita e conobbe il nuovo console Giustiniano. I due si sposarono e Giustiniano divenne poi Imperatore (Basileo) di Bisanzio e Teodora divenne imperatrice, cioè Basilissa. Seppe governare insieme a Giustiniano, nonostante parteggiasse per i monofisiti (Giustiniano era cattolico). Famosa è la scena del suo coraggio davanti a Giustiniano durante la rivolta di Nika (così detta dal motto dei ribelli, Nika, cioè "vinci"): nel 532 Costantinopoli brucia, a causa dei rivoltosi di fazioni avverse all'Imperatore (detti Verdi e Azzurri), chiedendone la deposizione e, al suo posto, l’ascesa al trono del senatore Flavio Ipazio. Sembra che sia giunta la fine di Giustiniano: infatti, l’imperatore tentenna e discute con il consiglio i particolari della resa e della fuga. Ma Teodora interviene, dicendo al marito di non fuggire da codardo: lei è pronta a morire da imperatrice. Se il marito vuole andarsene, lei rimarrà a Costantinopoli per andare incontro al proprio destino. Gli ricorda che «il trono è un glorioso sepolcro e la porpora il più bel sudario». Giustiniano, colpito dalla fermezza di Teodora, desiste dai propositi di fuga: in poco tempo viene organizzata la reazione imperiale. I generali Narsete e Belisario soffocano nel sangue la rivolta e Flavio Ipazio e i suoi più stretti sostenitori sono messi a morte.

    giustiniano1
    Teodora dice a Giustiniano di non fuggire.



    2 Monofisiti: eresia fondata dal monaco bizantino Eutiche, che sostiene che la natura umana di Gesù era assorbita da quella divina: quindi in lui era presente solo la natura divina e non quella umana. Quindi era umano solo in apparenza. In questo modo, però, si nega l'Incarnazione, cioè che Dio si è fatto uomo, e quindi si nega la salvezza dell'uomo, anima e corpo. Solo un Dio che si fa uomo, che si fa vera carne, e che quindi ha anche una natura umana vera, come hanno tutti gli uomini, può davvero salvare l'uomo, sia nell'anima che nel corpo.

    3 Agapito: fu papa nel 533-536. Si recò a Costantinopoli per trattare la pace tra i Goti e Giustiniano, e in quell'occasione convinse l'Imperatore del suo errore sul monofisismo.

    4 Belisario: fu il più abile dei generali di Giustiniano. Sconfisse i Vandali e i Goti nel nord Italia. Inoltre fondò l'Esarcato di Ravenna (un esarcato è un distretto amministrativo dell'Impero gestito da un vicerè, chiamato Esarca: in questo caso, Belisario). Tuttavia suscitò l'invidia della corte, che riuscì ad accusarlo di complotto contro l'Imperatore. Caduta presto l'accusa, Belisario fu riabilitato.

    (Continua qui)

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    Edited by joe 7 - 1/7/2023, 14:46
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