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  1. DIVINA COMMEDIA DI NAGAI E DI DANTE: PARADISO, CANTO 6 (seconda parte)

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    Divina Commedia
    By joe 7 il 1 July 2023
     
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    PARADISO CANTO 6 (seconda parte) - SECONDO CIELO DI MERCURIO - SPIRITI OPERANTI PER LA GLORIA TERRENA: L'IMPERATORE GIUSTINIANO E LA TEOLOGIA DELLA STORIA; ROMEO DI VILLANOVA
    (primo post: qui; precedente post: qui)

    Giustiniano-Teodora
    Il famoso mosaico di Ravenna che rappresenta l'Imperatore Giustiniano e l'imperatrice Teodora.


    GIULIO CESARE

    Giustiniano continua a raccontare a Dante la storia di Roma, o meglio dell'Aquila Imperiale, cioè l'autorità dell'Impero in terra, che passa lungo i secoli. Nel periodo vicino alla nascita di Cristo, per preparare la Sua venuta il Cielo, cioè Dio, volle che il mondo fosse in pace: per questo, l'Aquila Imperiale venne presa in mano da Giulio Cesare. Ecco le parole di Giustiniano al riguardo:

    Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle (Poi, quando fu vicino il tempo in cui il Cielo volle)
    redur lo mondo a suo modo sereno, (far diventare tutto il mondo sereno a sua immagine (per la nascita di Cristo),
    Cesare per voler di Roma il tolle. (Cesare assunse il segno dell'aquila per volere di Roma.)

    Cesare realizzò straordinarie imprese in Gallia lungo i fiumi Varo, Reno, Isère, Loira, Senna, Rodano:

    E quel che fé da Varo infino a Reno, (E ciò che esso (l'Aquila Imperiale, con Cesare) fece dal fiume Varo fino al fiume Reno,)
    Isara vide ed Era e vide Senna (lo videro l'Isère, la Loira, la Senna)
    e ogne valle onde Rodano è pieno. (e ogni valle di cui è pieno il Rodano)

    I fiumi citati sono tutti della Gallia e videro le imprese di Cesare. Il Varo (fiume a est della Francia) e il Reno (fiume che attraversa la Germania) costituiscono i confini occidentale e orientale dell'area in cui Cesare operò. L'Isara è l'Isère (fiume a sudest della Francia, dove Cesare sconfisse i Celti). L'Era probabilmente è la Loira, al centro della Francia, dove si trova Alesia: laggiù il più famoso capo del Galli, Vercingetorige, dopo un lungo assedio, si arrese a Cesare. Fu il punto di svolta delle Guerre Galliche, in favore di Roma. Il fiume Senna indica Parigi, allora Lutezia, che fu conquistata da Cesare nelle Guerre Galliche, nel 52 a.C. Infine, il fiume Rodano (che attraversa la Svizzera e la Francia) ricorda la Battaglia di Genava, vicino all'attuale Ginevra, dove Cesare sconfisse gli Elvezi.

    Cesare
    Vercingetorige cede le armi a Cesare in segno di resa: tutta la Gallia è conquistata. Forse.


    Cesare passò poi il Rubicone e iniziò la guerra civile con Pompeo,

    Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna (Quello che fece dopo essere uscito da Ravenna)
    e saltò Rubicon, fu di tal volo, (ed aver passato il Rubicone, fu un volo così veloce, o meglio così importante,)
    che nol seguiteria lingua né penna. (che né la lingua né la penna potrebbero descriverlo.)

    Giustiniano cita Ravenna, perchè fu il luogo dove Cesare riunì le sue forze, prima di attraversare il fiume Rubicone: a quei tempi indicava il confine tra l'Italia - considerata parte integrale del territorio di Roma - e la provincia della Gallia Cisalpina. Di conseguenza, era vietato ai generali, come Cesare, di attraversarlo con le armi. Al termine delle guerre galliche, il Senato romano, timoroso del potere di Cesare, ordinò al condottiero di congedare l'esercito, rinunciare ai poteri sulla Gallia Cisalpina e di recarsi a Roma consegnando tutto al Senato. Cesare, intuendo il complotto ai suoi danni, e temendo per la sua stessa vita, rifiutò e attraversò il Rubicone col suo esercito (49 a.C.). Essendo penetrato in armi nel territorio di Roma, manifestò la sua ribellione allo Stato romano e prese i poteri di "imperatore". Fu in questa occasione che Cesare disse la famosa frase "Alea Iacta Est", cioè "Il dado è tratto": significa che, da qui in avanti, non si torna più indietro. "Varcare il Rubicone", infatti, anche oggi significa prendere una decisione definitiva, dalla quale non si può più ritornare.

    cesare-rubicone-2
    Cesare varca il Rubicone


    Successivamente, Cesare affrontò Pompeo prima in Spagna, poi a Durazzo, vincendo infine nella battaglia di Farsàlo e costringendo Pompeo a riparare in Egitto.

    Inver’ la Spagna rivolse lo stuolo, (Rivolse le truppe contro la Spagna)
    poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse (e poi verso Durazzo, e colpì Farsàlo)
    sì ch’al Nil caldo si sentì del duolo. (a tal punto che il dolore arrivò sino al caldo Nilo.)

    Giustiniano parla della Spagna, perchè fu lì, nella città di Munda, che l'esercito di Cesare sgominò quello di Pompeo, ottenendo la vittoria definitiva sia su Pompeo che sui suoi rivali a Roma, almeno temporaneamente. Pompeo dovette fuggire: affrontò di nuovo Cesare a Durazzo, in Albania, dove ottenne una temporanea vittoria; però dovette riparare a Farsalo, in Grecia: laggiù Pompeo subì la disfatta definitiva. Fuggì in Egitto, da re Tolomeo, che lo tradì e lo fece uccidere (Dante, infatti, per questo chiamò "Tolomea" il luogo dei Traditori degli Ospiti, nel nono e ultimo girone dell'Inferno) , consegnando poi la sua testa a Cesare. Ma Cesare, indignato per il trattamento fatto al suo nemico, depose Tolomeo e mise sul suo trono la sorella Cleopatra. Mentre Cesare inseguiva Pompeo in Egitto, fece una deviazione nella Troade, dove c'erano i resti di Troia, per visitare il sepolcro dell'eroe troiano Ettore:

    Antandro e Simeonta, onde si mosse, (L'Aquila Imperiale (Cesare) rivide il porto di Antandro e il fiume Simoenta)
    rivide e là dov’Ettore si cuba; (da cui si mosse, e il sepolcro di Ettore;)
    e mal per Tolomeo poscia si scosse. (e poi ripartì per l'Egitto, con nefaste conseguenze per Tolomeo.)

    Antandro era il porto della Frigia da cui partì Enea dopo la caduta di Troia. Simeonta era il fiume che scorreva accanto a Troia. Abbiamo già parlato delle "nefaste conseguenze" per Tolomeo. Cesare sconfisse poi Iuba, alleato di Pompeo e re della Mauritania/Numidia (regione a nordovest dell'Africa). Tornò poi in Occidente, dove c'erano ancora gli ultimi Pompeiani.

    Da indi scese folgorando a Iuba; (Da lì scese come una folgore contro Giuba, re di Mauritania,)
    onde si volse nel vostro occidente, (e poi si portò nell'Occidente del vostro mondo,)
    ove sentia la pompeana tuba. (dove sentiva la tromba dei Pompeiani.)

    OTTAVIANO AUGUSTO

    Il successore di Cesare, Augusto, sconfisse Bruto e Cassio, i traditori e assassini di Cesare; poi fece guerra a Modena e Perugia:

    Di quel che fé col baiulo seguente, (Di quello che esso fece (l'Aquila Imperiale) col successore di Cesare, Ottaviano, detto "baiulo", cioè "portatore" dell'Aquila)
    Bruto con Cassio ne l’inferno latra, (Bruto e Cassio ancora latrano nell'Inferno)
    e Modena e Perugia fu dolente. (e Modena e Perugia ne furono dolenti.)

    Dante fa cenno a Bruto e Cassio che sono nel più profondo degli Inferni in bocca a Lucifero. Riguardo a Modena, laggiù si rifugiarono le forze armate del cesaricida Bruto e di Marco Antonio: nella Battaglia di Modena, l'esercito di Ottaviano Augusto ebbe la meglio e Bruto e Marco Antonio dovettero fuggire. Nella Battaglia di Perugia, Ottaviano debellò l'esercito dei seguaci di Marco Antonio (che era stato favorevole all'omicidio di Cesare). Infine, Ottaviano sconfisse Cleopatra, che si uccise facendosi mordere da un serpente:

    Piangene ancor la trista Cleopatra, (Ne piange ancora la triste Cleopatra,)
    che, fuggendoli innanzi, dal colubro (che, fuggendogli davanti, col serpente.)
    la morte prese subitana e atra. (si diede la morte improvvisa e atroce.)

    Infatti, nella battaglia di Filippi (città della Macedonia, vicino alla Grecia) Ottaviano debellò gli eserciti di Bruto e Cassio, che si suicidarono. Ad Azio, Ottaviano sconfisse Marco Antonio, alleato e amante di Cleopatra, che alla sconfitta si suicidò. Cleopatra a sua volta si uccise facendosi mordere con l'aspide: Dante la mette nell'Inferno, nel girone dei Lussuriosi (Canto V)

    battaglia-filippi3
    Prima della battaglia di Filippi, il fantasma di Cesare apparve a Bruto. Sognò uno spettro che lo fissa: "Chi sei tu? Da dove vieni?" chiede Bruto nel sogno. Lo spettro, che ora l'altro riconosce essere Cesare, gli risponde: "Sono il tuo cattivo demone. Bruto, ci rivedremo a Filippi!" "Ti vedrò."


    Augusto portò l'Aquila Imperiale fino al Mar Rosso, garantendo a Roma la pace e facendo addirittura chiudere per sempre il tempio di Giano, cosa mai successa fino ad allora.

    Con costui corse infino al lito rubro; (Con Ottaviano l'aquila corse fino al Mar Rosso;)
    con costui puose il mondo in tanta pace, (con lui ridusse il mondo in pace,)
    che fu serrato a Giano il suo delubro. (al punto che fu chiuso il tempio di Giano.)

    Il "lito rubro" è il Mar Rosso, con cui si allude alla conquista da parte di Ottaviano dell'Egitto. All’interno della linea della Storia della Salvezza, che inizia attraverso la rivelazione raccontata nella Bibbia nelle vicende di Abramo, di Mosè e dei Profeti, si arriva ora a quella che san Paolo chiama "pienezza dei tempi", cioè il momento in cui Dio si incarna nel Figlio Gesù Cristo, appunto sotto l’impero di Ottaviano Augusto (27 a. C.- 14 d. C.). E in quel periodo si verifica una pace universale, la cosiddetta pax augusta, in cui viene chiuso il tempio di Giano: infatti il dio Giano Bifronte, dio dell'inizio e della fine, era una delle divinità più importanti della religione romana, fin dai tempi del secondo re di Roma, Numa Pompilio. Il tempio veniva chiuso appunto durante i periodi di pace.

    TIBERIO E LA CROCIFISSIONE DI GESU' CRISTO

    Ma tutto ciò che l'Aquila Imperiale aveva fatto finora era ben poca cosa, se si guarda al terzo imperatore, Tiberio: poiché, durante il suo impero, la giustizia divina gli concesse di compiere la vendetta del peccato originale, con la crocifissione di Cristo:

    ché la viva giustizia che mi spira, (infatti la giustizia divina che mi ispira)
    li concedette, in mano a quel ch’i’ dico, (gli concesse, in mano a Tiberio,)
    gloria di far vendetta a la sua ira. (la gloria di punire il peccato originale (con la crocifissione di Cristo).

    crocifissione


    TITO E LA DISTRUZIONE DI GERUSALEMME

    Successivamente, con Tito, la giustizia divina punì la stessa vendetta, con la distruzione di Gerusalemme, per punire gli Ebrei del loro deicidio.

    Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco: (Ora prendi ammirazione per ciò che aggiungo:)
    poscia con Tito a far vendetta corse (in seguito con Tito corse a vendicare)
    de la vendetta del peccato antico. (la vendetta dell'antico peccato (con la distruzione di Gerusalemme).

    INVETTIVA CONTRO GUELFI E GHIBELLINI

    Poi, quando la Chiesa di Roma fu minacciata dai Longobardi, fu soccorsa da Carlo Magno, il nuovo portatore dell'Aquila Imperiale. Giustiniano invita ora Dante a giudicare l'operato di Guelfi e dei Ghibellini che è la causa dei mali del mondo. Riassumo qui per chiarezza la definizione di guelfi e ghibellini:

    - GUELFI: In linea di massima, erano favorevoli al Papa ed avversi all'Impero. Però erano divisi in due fazioni:
    1) GUELFI NERI: volevano la loro città legata ai potenti esterni, sia di natura papale che di natura regale, se necessario, per poter sviluppare i loro interessi economici e di potere, sacrificando così l'autonomia della città.
    2) GUELFI BIANCHI: favorevoli al Papa, però mantenendo l'indipendenza e l'autonomia della città da ingerenze esterne, sia imperiali che papali, mantenendo così la propria libertà personale. Dante era stato un Guelfo Bianco.

    - GHIBELLINI erano favorevoli all'Impero ed erano avversi al Papa: come i futuri protestanti, più o meno.

    I Guelfi, continua Giustiniano, si oppongono al simbolo imperiale dell'Aquila, appoggiandosi però ai gigli d'oro della casa di Francia (quindi non erano tanto devoti al Papa). I Ghibellini invece usano l'Impero, o l'Aquila Imperiale, se ne appropriano per i loro fini politici. Quindi è arduo stabilire chi dei due sbagli di più. I Ghibellini dovrebbero fare i loro maneggi sotto un altro simbolo, non quello imperiale, perchè in questo modo lo infangano, separandolo dalla giustizia. Non creda il re francese Carlo II d'Angiò di poter abbattere l'Aquila Imperiale coi suoi Guelfi, dal momento che l'Aquila, coi suoi artigli ha scuoiato leoni più feroci di lui. I figli spesso pagano le colpe dei padri e Dio non cambierà certo il simbolo dell'Aquila Imperiale con quello dei gigli della monarchia francese. Ai tempi di Dante, l'Aquila Imperiale era in mano all'imperatore Alberto I d'Austria, del casato degli Asburgo. Un Imperatore infatti comanda sopra i Re.

    LA CONDIZIONE DEGLI SPIRITI NEL SECONDO CIELO

    Giustiniano poi risponde alla seconda domanda di Dante, riguardo al Cielo di Mercurio, e spiega che questo Cielo ospita i buoni spiriti che in vita hanno perseguito onore e fama. Per quanto le loro intenzioni siano state buone, quando i desideri sono rivolti anche alla gloria terrena, è inevitabile che si ricerchi in minor misura l'amore divino. Tuttavia, spiega Giustiniano, lui e gli altri beati sono lieti della loro condizione, perchè i premi celesti sono commisurati al loro merito, ne sono pieni esattamente come tutti gli altri: la giustizia divina è talmente perfetta e giusta che non possono nutrire alcun pensiero negativo su di esso, perchè ne vedono la loro completezza. Inoltre, come voci diverse producono dolci melodie, così i vari gradi di beatitudine producono una dolcissima armonia nelle sfere celesti. Oppure come un prato pieno di una ricchissima varietà di fiori colorati e profumati.

    ROMEO DI VILLANOVA

    Giustiniano indica poi a Dante l'anima di Romeo di Villanova. Vissuto tra il 1170 e il 1250, fu ministro e Gran Siniscalco (cioè alto dignitario) di Raimondo Berengario IV, Conte di Provenza (regione a sudest della Francia, al confine con l'Italia e il Mar Mediterraneo, famosa per la dolcezza del suo ambiente, tanto da essere chiamata, appunto Provenza, cioè la Provincia per eccellenza. Vi si trovano non solo la Costa Azzurra, ma anche Cannes, Saint-Tropez, Nizza). Grazie all'azione di Romeo di Villanova, le quattro figlie del Conte ebbero eccellenti matrimoni: Margherita sposò Luigi IX il Santo, re di Francia; Eleonora sposò Enrico III d'Inghilterra; Sancia sposò Riccardo, Conte di Cornovaglia e re dei Romani nel 1257; Beatrice sposò Carlo I d'Angiò. Aveva anche accresciuto le rendite statali. Tuttavia, fu ricambiato con ingratitudine dal Conte, a causa dell'invidia dei cortigiani. Ecco come Giustiniano lo presenta:

    E dentro a la presente margarita (E dentro questa stella (o fiore), riferito al Cielo di Mercurio)
    luce la luce di Romeo, di cui (risplende la luce di Romeo di Villanova,)
    fu l’ovra grande e bella mal gradita. (la cui opera bella e grande fu poco apprezzata.)

    Però l'opera dei cortigiani fu punita, come dice ancora Giustiniano:

    Ma i Provenzai che fecer contra lui (Ma i Provenzali, che agirono contro di lui,)
    non hanno riso; e però mal cammina (non hanno riso (furono cioè puniti: infatti, caddero sotto il dominio dei francesi Angioini) e dunque percorre una cattiva strada)
    qual si fa danno del ben fare altrui. (chi è invidioso e considera un proprio danno le buone azioni degli altri.)

    Romeo di Villanova quindi se ne andò via dalla Corte, vecchio e povero, e fu ridotto a chiedere l'elemosina. Giustiniano conclude dicendo che, se il mondo sapesse con quanta dignità Romeo si ridusse a chiedere l'elemosina, lo loderebbe assai più di quanto già non faccia.

    Dago
    Romeo di Villanova.


    COMMENTO

    Il Canto è occupato interamente dal discorso dell'imperatore Giustiniano (caso unico nel poema) che risponde alle due domande che Dante gli ha posto alla fine del precedente, rivelando cioè la sua identità e spiegando la condizione degli spiriti del II Cielo. Nella parte centrale, fa seguire alla prima risposta una digressione sulla storia dell'Impero Romano e della sua funzione provvidenziale. Infatti il tema del VI Canto è politico, come lo è stato il VI Canto di ogni Cantica: quello dell'Inferno presenta la politica di Firenze, attraverso le parole di Ciacco, nel Girone dei Golosi; il VI Canto del Purgatorio parla dell'Italia, nella famosa invettiva di Dante contro l'Italia nel suo incontro con Sordello. Si ha così una gradazione crescente: da Firenze, all'Italia, all'Impero.

    La ragione della lunga digressione è mostrare, nelle intenzioni del personaggio, la cattiva condotta di Guelfi e Ghibellini nei confronti dell'Aquila, simbolo dell'Impero, in quanto i primi vi si oppongono e i secondi se ne appropriano per i loro fini politici, causando molte divisioni che affliggono l'Italia e l'Europa del tempo. La soluzione a questi mali è, secondo Dante, un Impero che amministri la giustizia. Giustiniano aveva emanato il Corpus iuris civilis, ispirato dallo Spirito Santo secondo Dante: fu la base del diritto di tutto il mondo romanizzato del Medioevo e un'opera giuridica immensa, a cui Dante assegnava un alto valore.

    Dalla digressione nasce poi l'aspra invettiva contro Guelfi e Ghibellini, che per motivi diversi oltraggiano il sacrosanto segno e sono da biasimare in quanto causa dei mali politici dell'Europa di inizio Trecento (perchè in fondo cercavano tutti i propri interessi). L'attacco è soprattutto contro il re francese Carlo II d'Angiò, più volte biasimato da Dante nel poema (nel Purgatorio, Canto VII, dove si trova l'Antipurgatorio coi Principi Negligenti: lì Dante incontra Carlo I, il padre di Carlo II; poi nel Purgatorio, Canto XX-Avari e Prodighi, in cui Dante incontra Re Ugo Capeto, che gli narra la storia della regalità Capetingia, tra cui le azioni di Carlo I e Carlo II). Anzi, Giustiniano rivolge un duro richiamo a Carlo II, affinché non si illuda che la monarchia francese possa sostituirsi all'autorità dell'Impero (un Re è inferiore a un Imperatore). Questa è la stessa polemica portata avanti da Dante contro il re di Francia Filippo il Bello (cfr. Purgatorio, XXXII, con l'analoga simbologia dell'aquila imperiale e del Carro profanato, che simboleggia la Chiesa).

    La risposta alla seconda domanda di Dante, ovvero la condizione degli spiriti operanti per la gloria terrena (che godono di un minore grado di beatitudine, ma non se ne dolgono, confermando quindi quanto già dichiarato da Piccarda Donati) dà modo a Giustiniano di concludere il Canto indicando un altro beato di questo Cielo, quel Romeo di Villanova ministro del conte di Provenza Raimondo Berengario e vittima delle calunnie degli altri cortigiani che lo costrinsero a lasciare la corte vecchio e povero. Non si tratta solo di un edificante esempio di cristiana rassegnazione: la figura di Romeo, cacciato dalla Provenza nonostante il suo ben operare, adombra quella di Dante stesso, che subì la stessa condanna da parte dei Fiorentini, che si pentiranno del loro gesto, come è toccato ai Provenzali passati sotto la tirannia degli Angioini (e il riferimento è quindi a Carlo II d'Angiò citato poco prima). L'ingiusto destino che accomuna Dante e Romeo è anche il prodotto della decadenza politica, quindi (nel caso di Dante) è causato dall'assenza di un potere imperiale in grado di applicare le leggi e assicurare la giustizia. E' una situazione simile a quella attuale: stiamo infatti vivendo un periodo di profonda decadenza e smarrimento, in cui l'unica autorità è il politicamente corretto, imposto da un gruppo di potenti che gestiscono i mass media, soprattutto i telefonini, i computer e internet, che portano la gente in uno stato di abulia.

    LA TEOLOGIA DELLA STORIA

    Clothes


    Dante, attraverso Giustiniano, presenta anche la Teologia della storia: cioè il fatto che la storia umana ha un senso, uno scopo, un significato, che si può vedere però solo attraverso la Providenza cristiana. La Storia della Salvezza si intreccia quindi con la Storia dell'uomo: per volere divino, fu creato l'Impero, e punto finale di tutto questo processo è ovviamente la venuta di Giulio Cesare e Ottaviano Augusto, voluti da Dio per unificare il mondo in un'unica legge e favorire così la venuta di Cristo. Infatti, dopo la celebrazione di coloro che per Dante erano i due primi imperatori, vi è quella del terzo, Tiberio, sotto il cui dominio Gesù fu crocifisso: l'evento centrale nella storia umana e che ha la funzione di punire il peccato originale. In seguito, tale punizione - cioè la crocifissione - viene a sua volta punita dall'imperatore Tito, che fu artefice della distruzione di Gerusalemme nella Guerra Giudaica, in cui Israele, fidando nella venuta del Messia, si rivoltò contro Roma, provocando una guerra sanguinosissima e la fine della presenza ebraica in Palestina. Il disegno provvidenziale continua per altre vie: infatti, poi l'Impero inizia il suo lento declino, culminato proprio nel trasferimento della capitale a Bisanzio/Costantinopoli e nella successiva divisione tra Oriente e Occidente, cui sarà Giustiniano a porre rimedio, sia pure in modo effimero. Da qui si arriva velocemente a Carlo Magno, legittimo erede dell'autorità imperiale, fino ad allora decaduta, e protettore della Chiesa contro i Longobardi. L'impero attuale degli Asburgo è, per Dante, erede e continuatore di quello romano: a quei tempi era imperatore Alberto I d'Austria, del casato degli Asburgo. Fu tuttavia rimproverato da Dante nel VI Canto del Purgatorio per via del fatto che abbandonò l'Italia al suo destino. L'Impero Asburgico, o Austro-Ungarico, cessò di esistere dopo sei secoli, dopo la I Guerra Mondiale, nel 1918, con l'ultimo imperatore Carlo I d'Austria, che fu beatificato da Giovanni Paolo II. Successivamente, nacque la Repubblica d'Austria. Per ora, attualmente, non si sa chi possa avere l'"Aquila Imperiale" (un Impero non è una Repubblica).

    Già in altri canti della Commedia Dante ci aveva mostrato la sua visione provvidenziale della storia, facendoci capire che esiste un disegno più alto. Dante, però, non è Hegel, che diceva che "tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale": con questa frase Hegel voleva dire che tutto ciò che accade sulla Terra, anche le ingiustizie, per il fatto stesso che accadono sono cose buone e giuste. Tipo l'ascesa di Hitler e i campi di concentramento, per esempio. Dante, invece, non vuole giustificare in nessun modo le ingiustizie, le sopraffazioni, le violenze: lo si è visto più volte nel percorso tra Inferno e Purgatorio. Però fa capire che esiste un disegno più alto, provvidenziale e il Creatore del mondo interviene nella storia per mezzo degli uomini e degli avvenimenti umani.

    Enea
    Enea e il padre Anchise


    Per esempio, nel canto II dell’Inferno, Dante parla di Enea, scelto da Dio come padre di Roma e del suo Impero: Roma infatti sarà anche sede del papato e quindi cuore del mondo. Inoltre, parla anche di San Paolo e della sua missione.

    (Enea) fu de l’alma Roma e di suo impero (egli (Enea) della nobile Roma e del suo impero)
    ne l’empireo ciel per padre eletto: (fu scelto nell'Empireo come fondatore)

    la quale e ’l quale, a voler dir lo vero, (e Roma e il suo impero (la quale e'l quale), a dire la verità,)
    fu stabilita per lo loco santo (furono stabiliti come la santa sede)
    u’ siede il successor del maggior Piero. (dove risiede il successore del primo papa (Pietro).

    Per quest’andata onde li dai tu vanto, (Grazie a questo viaggio (nell'Inferno e nell'Al di là) che tu (Virgilio) narri,)
    intese cose che furon cagione (Enea (che era andato negli inferi) sentì cose che lo portarono poi)
    di sua vittoria e del papale ammanto. (alla vittoria e produssero il manto papale (la nascita della Chiesa).

    Andovvi poi lo Vas d’elezione, (Vi andò poi (nell'Aldilà) lo strumento della scelta (san Paolo: in una visione, fu trasportato, vivo, in Paradiso),
    per recarne conforto a quella fede (per rendere salda quella fede)
    ch’è principio a la via di salvazione (che è principio alla via della salvezza.)

    La visione della storia cristiana, che Dante presenta, è lineare: ha un inizio, uno svolgimento e una fine. La stessa creazione ha dato avvio allo spazio e al tempo così come li conosciamo. La "pienezza dei tempi" è, quindi, un momento particolare della storia, che ha permesso agli Apostoli di peregrinare per tutto l’Impero, in un periodo di relativa tranquillità, grazie alla Pax Romana di quegli anni. San Paolo ha potuto, ad esempio, percorrere per terra e per mare migliaia di chilometri per diffondere la buona novella. Con l’incarnazione, la morte e la resurrezione di Gesù si compie la rivelazione, ovvero si sono manifestate tutte le verità di fede. Nulla di più potrà essere aggiunto nei secoli futuri in attesa del ritorno di Gesù, ritorno che sarà trionfale, la parusia (seconda venuta), che preluderà al giudizio universale, di cui spesso si è parlato nella Commedia. Allora avverrà la resurrezione dei corpi e finirà il mondo così come lo conosciamo: ci saranno cieli e terra nuova, non più questo tempo e questo spazio. In Inferno VI, Virgilio chiariva a Dante, a proposito del dannato Ciacco, che ha perso i sensi, sulla parusia:

    E ’l duca disse a me: «Più non si desta (E il maestro (Virgilio) mi disse: «(Ciacco) Non si rialzerà più,)
    di qua dal suon de l’angelica tromba, (fino al suono della tromba angelica,)
    quando verrà la nimica podesta: (quando verrà la potestà nemica (Cristo giudicante):

    ciascun rivederà la trista tomba, (ciascuno di essi rivedrà la triste tomba,)
    ripiglierà sua carne e sua figura, (si rivestirà del proprio corpo mortale,)
    udirà quel ch’in etterno rimbomba». (ascolterà la sentenza finale che risuonerà in eterno»)

    Il racconto delle vicende della storia romana e dell’aquila imperiale si dispiega all’interno di questa visione della storia.

    IL DANTE DI NAGAI

    Qui Nagai riduce la parte del Cielo di Mercurio in solo due pagine, con una sola immagine a figura intera, rappresentante dei tizi nudi che volano o si tuffano. Non ci sono nè Giustiniano, nè Romeo di Villanova. Beatrice dice a Dante: "Siamo nel Cielo di Mercurio! Qui si trovano gli spiriti di coloro che in vita operarono in favore del bene" Una definizione così vaga si può applicare a TUTTE le anime del Paradiso. Il Cielo di Mercurio, invece, era per le anime che avevano agito per la gloria terrena e poi per quella celeste: ma questa distinzione non è stata fatta notare ad Nagai. Quindi è un cielo generico, dove tutti sono nudi, felici e si tuffano nell'acqua. Sembra una specie di Super Club Mediterranée.

    368-369



    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-vi.html

    (Continua qui)

    QUI TUTTI I LINK SULL'ANALISI SU DANTE

    Edited by joe 7 - 9/9/2023, 14:57
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    Per non farsi deprimere dalla storia dell'umanità, bisogna ricordarsi che il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto non esiste: esiste solo il bicchiere, malgrado tutto, che è superiore e più longevo di ogni altra cosa
     
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    CITAZIONE (berlicche677 @ 1/7/2023, 15:06) 
    Per non farsi deprimere dalla storia dell'umanità, bisogna ricordarsi che il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto non esiste: esiste solo il bicchiere, malgrado tutto, che è superiore e più longevo di ogni altra cosa

    Non "malgrado tutto". Esiste il piano di Dio, piano di salvezza di un Padre che ci ama, in cui tutto ha un senso e in cui alla fine "ogni lacrima sarà asciugata" e "ci sarà giustizia". Tutto è grazia, anche i brutti momenti, che hanno anche loro un senso e un significato. Questa è la "Teologia della storia" per il cristiano.

    Ma, per chi non ci crede, la storia del mondo - e della propria vita - è come quella che dice Shakespeare nel Macbeth: "una storia insensata, raccontata da un pazzo, in una notte di tempesta piena di furore, che non significa nulla". Di conseguenza, buona disperazione, felice angoscia e terribile paura a tutti, e giù il sipario.
     
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    In questo canto Dante spiega come la volontà divina s'intreccia con la storia dell'umanità.
    Il suo é un discorso che dovremmo sempre tenere a mente.
     
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    CITAZIONE (Andrea Michielon @ 1/7/2023, 23:24) 
    In questo canto Dante spiega come la volontà divina s'intreccia con la storia dell'umanità. Il suo é un discorso che dovremmo sempre tenere a mente.

    Ma no, questo non è un discorso di Dante: la teologia della storia è quello che la Chiesa ha sempre creduto. Adesso non ne parla più, d'accordo, ma resta l'insegnamento ufficiale della Chiesa. La teologia della storia è una verità di fede, non è un pensiero di Dante.
     
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