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  1. DIVINA COMMEDIA DI NAGAI E DI DANTE: PARADISO, CANTO 9 (seconda parte)

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    Divina Commedia
    By joe 7 il 30 Sep. 2023
     
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    PARADISO CANTO 9 - TERZO CIELO DI VENERE - SPIRITI AMANTI: FOLCHETTO DI MARSIGLIA (seconda parte)
    (primo post: qui; precedente post: qui)

    Folchetto-3
    Folchetto di Marsiglia, prima e dopo: poeta e trovatore pieno di avventure amorose, poi vescovo combattente e santo.


    Siamo sempre al Terzo Cielo di Venere, dove Dante ha appena ascoltato Cunizza da Romano. Lei, dopo aver parlato, tace, rivolta ad altro, cioè alla contemplazione di Dio: torna a danzare in cerchio come faceva prima, piena di gioia, allontanandosi, mentre lo spirito che lei aveva indicato prima, Folchetto di Marsiglia, sembra a Dante splendente come un rubino rosso colpito dal sole. Prima di andare avanti, è meglio spiegare chi è il nuovo beato.

    FOLCHETTO DI MARSIGLIA

    Folchetto di (o da) Marsiglia era detto anche Folco di Tolosa. Nacque a Marsiglia da famiglia genovese. Fu mercante, trovatore, musicista: è famoso ancor oggi come poeta. La sua figura come trovatore era famosissima e riconosciuta nelle corti di Barcellona, Tolosa e Provenza. Lo stesso Dante lo stimava profondamente già da tempo, fin dalla stesura del suo libro "De Vulgari Eloquentia". L'attività della Scuola poetica Siciliana iniziò proprio con la traduzione di una lirica di Folchetto di Marsiglia da parte del poeta Jacopo (o Giacomo) da Lentini, citato nel Purgatorio nel Canto 24, alla Cornice dei Golosi. Folchetto ebbe una vita sregolata e piena di amori: cantò il suo amore appassionato per la moglie del visconte di Marsiglia e fu per questo costretto ad allontanarsi dalla corte. Si dice che, alla morte della donna tanto amata, Folchetto si convertì ed entrò nell'ordine cistercense, divenendo in breve abate del monastero di Torronet. Successivamente, fu eletto vescovo di Tolosa (da qui il secondo nome Folco di Tolosa). Insieme a San Domenico, aderì alla crociata del visconte e condottiero di Tolosa Simone IV di Montfort contro gli eretici Catari (o Albigesi). Assistette alla fondazione dei primi monasteri del futuro Ordine Domenicano e fu fra i fondatori dell'Università medievale di Tolosa. Folchetto morì nel 1231, dopo aver compiutamente vissuto la sua realtà di spirito amante, prima amando intensamente l'amore terreno, poi amando Dio e il bene della Chiesa. E' venerato nella Chiesa come beato il 25 Dicembre. La faccenda dei Catari merita un discorso a parte, quindi scusate se approfondisco qui brevemente l'argomento, spesso poco compreso.

    L'ERESIA DEI CATARI O ALBIGESI

    sterminio
    Questa è la terribile devastazione provocata dagli eretici Catari: il loro crudele fanatismo portava alla distruzione delle città, dell'uomo, della vita, di ogni cosa.


    Oggi si ha la convinzione errata che le eresie medievali, come appunto lo era quella catara, fossero state solo un'innocua manifestazione di idee personali, un modo diverso di pensare, quindi una cosa legittima, perseguitata da una Chiesa paranoica, ossessiva, violenta. Il Nome della Rosa di Umberto Eco è solo un esempio di questo pensiero. Ma si tratta di una versione romanzata e ridicola della realtà storica. Queste eresie erano invece delle idee sanguinarie e crudeli: avrebbero distrutto tutta la nostra civiltà e il nostro modo di vivere, che sarebbe stato terribilmente diverso se, nella storia, avesse vinto l'eresia catara, per esempio. Il fanatismo era la caratteristica di queste eresie: vere e proprie esplosioni di follia, generate da sedicenti profeti che si ponevano al di sopra di ogni cosa, dell'uomo, del bene, del male, rifiutando qualsiasi autorità, legame familiare, rapporto umano. Dicevano di essere venuti a compiere i tempi, a separare il grano dalla zizzania, a sconfiggere i malvagi sterminandoli tutti, in modo definitivo, senza la minima pietà. Tutti sogni utopistici e totalitari, accompagnati da gravi e altisonanti espressioni bibliche. E tutto ciò che si opponeva a loro: Chiesa, Principi, persone, uomini, donne, erano l'Anticristo da distruggere per preparare il Nuovo Millennio. Sotto un'apparenza di pietà, fecero azioni raccapriccianti. Altrochè "innocue manifestazioni di libero pensiero". Queste eresie erano pericolose e terribili, perchè minavano di base tutto ciò che è umano. Portando facilmente la gente a dannarsi, insegnando e vivendo un cristianesimo alterato e perverso, una sua vera e propria caricatura. Parliamo dei Catari come esempio, per capire bene cosa significa "eretico": i Catari dicevano che le creazione, la materia, era opera di un dio malvagio, quindi andava contrastata in ogni modo, distruggendo i corpi, visti come le prigioni dell'anima. Quindi via libera, anzi obbligo, all'infanticidio, al suicidio rituale, al disprezzo di ogni lavoro (perchè mai lavorare in un mondo di lurida "materia"?), al disprezzo di ogni vita attiva, al disprezzo del matrimonio, perchè dà vita a nuovi "corpi", al disprezzo della donna, perchè si permette di procreare nuovi "corpi" col suo stesso sozzo "corpo". Erano permessi i rapporti sessuali finchè si voleva, a patto che fossero infecondi. Ovviamente erano permesse, quindi, l'omosessualità e tutte le altre deviazioni, che sono appunto sterili. E se una donna era incinta, doveva abortire subito, piuttosto che perpetuare la "schiavitù dello spirito" in un nuovo miserabile corpo umano. E spesso i catari passavano a vie di fatto, con azioni violente, organizzando bande di fanatici che bruciavano le case, i conventi, torturavano i religiosi, provocavano conflitti che finivano nel sangue. Degli altri. Intere città erano catare, come quella di Alba, in Francia: da qui il termine "Albigesi".

    La Santa Inquisizione (da "inquirere", cioè: indagare, ricercare, informarsi, esaminare), nata nel 1184 proprio a causa della diffusione dell'eresia catara, era un tribunale che voleva indagare scrupolosamente sull'eresia, senza fare generalizzazioni pericolose (il governo e la gente, a volte, aggrediva quelli che non erano davvero catari, aumentando la confusione), con l'intento di riportare alla ragione, e quanto possibile al perdono, gli eretici. I metodi dell'Inquisizione non erano violenti come sempre si dice: essa istituiva dei processi regolari (facendo nascere così il tribunale come lo conosciamo oggi), che trattavano con rispetto l'imputato. C'erano de notai che trascrivevano quello che si diceva nei processi (parecchie di queste documentazioni sono consultabili ancora oggi). C'era anche l'avvocato difensore per l'imputato. In pratica, era quasi un tribunale moderno. Spesso, gli inquisitori pagavano con la vita il loro tentativo di mettere ordine in questo caos. Ricordiamo infatti che c'erano intere città catare, con molti potenti che li appoggiavano: fare l'inquisitore era un mestiere rischioso. Per esempio, San Pietro da Verona, inquisitore, fu ucciso dai catari con una falce in testa.

    San-PIetro-da-Verona
    L'inquisitore domenicano San Pietro da Verona, con gli arnesi del suo martirio per opera dei Catari.


    Se l'imputato era impenitente, non c'era nessuna possibilità di aiutarlo a cambiare vita, e l'inquisitore, nonostante i suoi tentativi di portarlo sulla retta via - senza violenza, ripeto - non poteva farci più niente. Vista la pericolosità dell'eretico (poteva ancora provocare sommosse o altro) veniva allora affidato al "braccio secolare", cioè alla giustizia laica, che si occupava appunto dei criminali: e chi faceva il cataro era praticamente un criminale. E a quei tempi non ci andavano certo leggero coi criminali. Oltre all'Inquisizione, gli stessi Francescani e Domenicani furono fondati per combattere l'eresia catara. Lo stesso Cantico delle Creature di San Francesco era un manifesto anticataro: "Laudato sii, mì Signore, per fratello Sole, sorella acqua, fratello foco..." Francesco presentava quindi tutta la realtà come positiva, perchè creata da Dio, perchè dono di Dio. Un cataro invece avrebbe aborrito questo cantico. Gli stessi storici, anche non cattolici, sono concordi nel ritenere che, se avesse vinto l'eresia catara, sarebbe stata la fine dell'umanità, visti i suoi presupposti.

    DANTE E FOLCHETTO DI MARSIGLIA

    Dante, vedendo quanto il beato Folchetto brilli di più quando esprime la sua gioia, nota che in Paradiso i beati acquistano fulgore quando gioiscono, proprio come sulla Terra, quando qualcuno sorride. Invece, all'Inferno, dove si è nel dolore e nella pena, le anime diventano ancora più oscure, quanto più diventano rattristate. Un contrasto terribile. La voce di Folchetto canta insieme ai Serafini, che sono gli angeli del Nono Cielo o Primo Mobile, il Cielo più alto dopo l'Empireo. Sono detti "fuochi pii/che di sei ali facen la coculla", perchè "serafino" in ebraico vuol dire «ardente», e si ammantano di sei ali, che formano la coculla, o «cocolla», che è il saio col cappuccio dei monaci. Questi angeli sono descritti nel libro di Isaia, capitolo 6, versetto 2.

    Dante si rivolge a Folchetto (che non si è ancora presentato), mostrando un suo dubbio: lui, essendo beato, può leggere nella mente divina, perciò nulla può essergli ignoto, nemmeno quello che pensa Dante stesso. Allora perchè la tua voce di beato non risponde subito ai miei dubbi, prima ancora che io te li esponga? Se io, continua Dante, potessi leggere nella mente come fate voi beati, non penso che attenderei una parola, prima di parlare. Folchetto risponde senza spiegare direttamente a Dante il perchè del comportamento dei beati: infatti, è per cortesia che loro aspettano che l'altro faccia loro una domanda. Ma Folchetto ha la delicatezza di non farlo notare a Dante. Quindi risponde alla domanda inespressa di Dante: cioè sapere chi sia lui. Per iniziare, Folchetto spiega che proviene dal Mar Mediterraneo:

    "La maggior valle in che l’acqua si spanda", ("Il maggior avvallamento (il Mediterraneo) in cui si spande l'acqua dell'Oceano")
    incominciaro allor le sue parole, (cominciarono così allora le sue parole)
    «fuor di quel mar che la terra inghirlanda", ("quel mare che circonda tutte le terre")

    Un mare, continua Folchetto, che si estende da Cadice, in Spagna, dove si trova l'estremo limite occidentale del Mediterraneo, a Gerusalemme, dove si trova l'estremo limite orientale del Mediterraneo:

    tra discordanti liti contra ‘l sole (tra i lidi opposti si estende verso oriente: "contra 'l sole", che spunta appunto ad Oriente)
    tanto sen va, che fa meridiano (tanto che si fa meridiano (a Cadice)
    là dove l’orizzonte pria far suole. (là dove prima fa orizzonte (a Gerusalemme).

    Cadice-Gerusalemme


    Sono nato, dice Folchetto, sulle coste di quell'avvallamento (il Mediterraneo), tra la foce dell'Ebro (fiume del sud della Spagna, vicino alla Francia) e della Magra (detta "Macra" da Dante: è il fiume che per un breve tratto segna quasi il confine tra la Liguria e la Toscana: "per cammin corto / parte lo Genovese dal Toscano"). La città in cui nacque, Marsiglia, che subì un'orrenda strage ad opera di Bruto nella Guerra Civile contro Cesare (dalla Farsalia, o Bellum Civile, del poeta Lucano1), ha quasi lo stesso tramonto di Bougie, in Algeria (infatti, le due città sono sullo stesso meridiano).

    E infine si rivela: il suo nome fu Folco (Folchetto) e in vita subì l'influsso del Cielo di Venere, così come ora egli risplende in esso.

    Folco mi disse quella gente a cui (Mi chiamarono Folco (Folchetto) quelli che)
    fu noto il nome mio; e questo cielo (mi conobbero; e questo Cielo)
    di me s’imprenta, com’io fe’ di lui; (risplende della mia luce come io risplendetti della sua;)

    Folchetto qui è molto esplicito riguardo al suo turbolento passato: dice subito che nessuno arse d'amore quanto lui, quando era un giovane trovatore. E cita tre esempi della mitologia con cui si confronta: Didone (detta "figlia di Belo" re d'Assiria), non si innamorò quanto lui. Didone, che, innamorandosi di Enea, offese la memoria di Creusa, la defunta moglie di Enea e di Sicheo, re di Tiro e suo defunto marito. Nemmeno Fillide, si innamorò perdutamente quanto lui: Fillide amò Demofoonte tanto che si impiccò al suo tradimento2. Neppure Ercole (detto qui "Alcide" perchè era nipote di Alceo, re di Tirinto, città della Grecia) si innamorò tanto quanto lui, quando il figlio di Zeus impazzì d'amore per Iole3. Folchetto confessa quindi di essere stato ardente di passione in gioventù e, per dare un'idea del suo ardore amoroso, ricorda tre drammatiche storie d'amore. Sembra quasi che voglia intendere che amò indifferentemente delle maritate (famoso e scandaloso fu il suo amore per una maritata), delle vedove e delle giovani. Qui, spiega Folchetto, non ci si pente di questo influsso d'amore, me se ne sorride: qui Folchetto non si riferisce alle colpe commesse, si badi bene, che qui non sono più ricordate, e delle quali comunque lui si era già pentito, ma delle circostanze attraverso le quali Dio si era fatto conoscere nella sua vita. Come dire che Dio scrive dritto tra le righe storte. Qui in Paradiso, aggiunge Folchetto, si contempla l'arte divina della creazione, che l'amore di Dio abbellisce, e si comprendono i fini della Provvidenza divina con cui i Cieli danno forma al mondo terreno. In sostanza, in Paradiso si comprende meglio di chiunque altro quanto nel mondo tutto abbia un senso e un significato conosciuto da Dio.

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    1 Lucano: Marco Anneo Lucano, poeta latino vissuto nell'età di Nerone (39-65 d.C.). Era il nipote del filosofo Seneca. Nacque come lui a Córdoba, in Spagna, e fu portato ancora piccolo dai genitori a Roma, dove ebbe la sua prima educazione e mostrò un ingegno precocissimo. Studiò ad Atene e al suo rientro nella capitale fu accolto nella cerchia degli amici dell'imperatore Nerone, del quale Lucano cantò le lodi in occasione delle feste Neronia (60 d.C.) ottenendo l'incoronazione poetica. Poco dopo, pubblicò i primi tre libri della Pharsalia o Farsalia (opera conosciuta anche col titolo Bellum civile), poema epico sulla guerra tra Cesare e Pompeo, che divenne una sorta di manifesto politico antimperiale, per cui si consumò la rottura tra lui e Nerone. Nel 62, Lucano entrò a far parte della congiura dei Pisoni: quando nel 65 la trama venne scoperta, Lucano venne arrestato e confessò, accusando tra l'altro anche la madre. Ricevette l'ordine di suicidarsi e si tagliò le vene, declamando un proprio brano poetico. La tragica fine gli impedì di portare a termine il poema, che rimase incompiuto al X libro (è probabile che il numero dovesse essere di dodici, in ossequio alla tradizione dell'Eneide rispetto alla quale l'opera presenta comunque molte differenze): i primi sette libri raccontano le vicende della guerra fino alla battaglia di Farsàlo, l'ottavo è sulla fine di Pompeo, gli ultimi due narrano le imprese di Catone Uticense in Africa. L'opera è una forte protesta libertaria contro l'assolutismo, presenta uno stile enfatico e declamatorio, contiene varie incongruenze e inesattezze che ne rendono talvolta difficile la lettura; nondimeno, Lucano e il suo poema conobbero grande fama già nell'antichità e durante il Medioevo egli fu considerato tra i principali poeti latini accanto a Virgilio, mentre la sua opera ebbe una vasta trasmissione manoscritta. Dante lo include tra le anime del Limbo (Quarto Canto), insieme ai poeti Omero, Orazio e Ovidio: l'ordine in cui sono presentati è indicativo probabilmente della gerarchia d'importanza con cui venivano inclusi nel canone medievale (Lucano viene per ultimo dopo gli altri).

    2 Fillide, chiamata Rodopea da Dante, perchè abitava presso il monte Rodope: era figlia di Sitone, re di Tracia. Si innamorò di Demofoonte, sbattuto da una tempesta sulle rive della Tracia, mentre ritornava dalla guerra di Troia. Demofoonte giurò di sposarla non appena tornato da Atene, da dove veniva. Però, giunto il tempo stabilito del ritorno, Demofoonte non ritornò. Fillide in un sol giorno si recò ben nove volte sulla riva del mare per spiare l'arrivo del suo amato. Dapprima si illuse, cercando di giustificare il ritardo, poi cominciò a sospettare di essere stata abbandonata, al punto da desiderare di morire. Infine, ritenutasi ingannata, si impiccò e fu mutata dagli dei in un albero di mandorlo senza foglie. Demofoonte, ritornato e venuto a conoscenza del fatto, abbracciò il tronco dell'albero, che, quasi sentisse la presenza dello sposo, si coperse di foglie (il termine "foglia" infatti viene da Fillide).

    3 Iole: principessa d'Ecalia (gruppo di città della Grecia), era una donna bellissima, che fu promessa in sposa a chiunque avesse battuto il padre, re Eurito, e i fratelli di lei in una gara di tiro con l'arco. Ercole vinse, ma Eurito gli negò la mano della figlia. Ercole, allora, si vendicò saccheggiando le citta di Ecalia e uccidendo Eurito: Iole si gettò dalle mura e, nel volo, il vestito le si aprì come un paracadute, permettendole di non sfracellarsi a terra. Fu comunque catturata da Ercole, che ne fece una concubina. Durante la prigionia, Iole ebbe il controllo su Ercole poiché lo costrinse a vestire abiti femminili, mentre lei vestiva i suoi (la pelle di leone e la mazza) e lui, così vestito si vantava delle sue azioni eroiche. Questa versione mostra la vendetta di Iole verso Ercole, reo di averle ucciso il padre. Successivamente, prima di morire, Ercole la fece sposare con il figlio di lui, Illo.

    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-ix.html

    (Continua qui)

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    Edited by joe 7 - 7/10/2023, 14:45
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