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  1. DIVINA COMMEDIA DI NAGAI E DI DANTE: PARADISO, CANTO 15 (prima parte)

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    Divina Commedia
    By joe 7 il 17 Feb. 2024
     
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    PARADISO CANTO 15 - QUINTO CIELO DI MARTE: SPIRITI COMBATTENTI PER LA FEDE - L'AVO CACCIAGUIDA (prima parte)
    (primo post: qui; precedente post: qui)

    Cacciaguida
    Dante, con Beatrice, incontra l'avo Cacciaguida tra gli Spiriti Combattenti: infatti morì combattendo da Crociato contro i Musulmani in Terrasanta.


    SILENZIO DEI BEATI E APPARIZIONE DI CACCIAGUIDA

    Dante descrive il silenzio degli spiriti combattenti, che, dopo il loro canto, detto "dolce lira", tacciono per permettergli di parlare:

    Benigna volontade in che si liqua (La volontà di fare il bene ("benigna"), in cui si manifesta ("liqua", da "liquare", "manifestarsi")
    sempre l’amor che drittamente spira, (sempre l'amore ben diretto,)
    come cupidità fa ne la iniqua, (così come la cupidigia si manifesta nella volontà malvagia,)

    silenzio puose a quella dolce lira, (fece stare in silenzio quel dolce canto)
    e fece quietar le sante corde (e fece acquietare le sante corde)
    che la destra del cielo allenta e tira. (che la mano di Dio allenta e tira (cioè: i beati interruppero il canto).

    Infatti, gli spiriti combattenti, presenti nella grandiosa immagine della croce descritta da Dante nel precedente canto, mettono fine alla loro musica melodiosa, spinti dalla volontà di fare il bene e quindi consentire a Dante di esporre i suoi desideri. E Dante osserva che non ha senso pensare che i santi non ascoltino mai le preghiere degli uomini, visto che qui i santi si sono interrotti tutti insieme per poter ascoltare la preghiera del solo Dante.

    Come saranno a’ giusti preghi sorde (Com'è possibile che alle giuste preghiere siano sorde)
    quelle sustanze che, per darmi voglia (quelle anime, visto che per indurmi)
    ch’io le pregassi, a tacer fur concorde? (a pregarle, furono tutte concordi nel tacere?)

    Il poeta conclude severamente che chi preferisce dei beni da nulla - e lo fa fino alla fine, per tutta la sua vita - al posto di questo amore così enorme, così immenso, che lascia senza fiato e senza parole, è giusto che finisca nell'Inferno per una così grande trascuratezza. E' un pò come chi disprezza i grandiosi regali di un ricco che lo ama molto, ma gli preferisce piuttosto le carrube dei maiali, che lo trattano male.

    Bene è che sanza termine si doglia (È giusto che soffra in eterno)
    chi, per amor di cosa che non duri, (colui che, per amore di beni effimeri,)
    etternalmente quello amor si spoglia. (si priva in eterno dell'amore di Dio.)

    COMPARE CACCIAGUIDA

    Dante-Cacciaguida
    Cacciaguida nella rappresentazione di Nagai.


    Allo stesso modo di una stella cadente, che d'improvviso attraversa il cielo sereno (con l'unica differenza che chi guarda la stella cadente non la vede scomparire: le stelle cadenti normali, infatti, alla fine scompaiono), così fa una delle luci dei beati (cioè l'anima di Cacciaguida), che, dall'enorme croce luminosa, si muove, senza però staccarsene. Passa infatti lungo il braccio destro della croce, dall'estremo del braccio verso il centro; poi, scende verso il basso.

    Il beato non abbandona la croce, ma si muove lungo questa, proprio come fa una gemma che resta attaccata al suo nastro. Dante paragona questa luce a un fuoco che è dietro a una parete di alabastro ("che parve foco dietro ad alabastro"). Infatti, le finestre delle chiese tante volte erano fatte di alabastro, un materiale alternativo al vetro, che è capace di lasciar trasparire la luce del sole.

    Dante vede che quella luce, cioè quel beato che gli si avvicina, Cacciaguida, che per adesso lui non riesce a riconoscere e che non si è ancora presentato, si avvicina in un modo talmente devoto, ossequioso, felice, che lui lo paragona all'anima di Anchise, il padre di Enea, che, dopo la sua morte, incontra il figlio Enea, da vivo, nei Campi Elisi (l'aldilà pagano simile al Paradiso), come racconta Virgilio, "nostra maggior musa".

    Cacciaguida ancora non si presenta a Dante, ma, pieno di gioia nel vedere un suo discendente in cielo, gli parla. Le sue prime parole, però, non sono in italiano, ma in latino, un caso unico nella Commedia (tranne negli altri casi particolari e precedenti, di cui parlieremo tra poco):

    "O sanguis meus, o superinfusa ("O mio discendente, o abbondante)
    gratia Dei, sicut tibi cui (grazia divina, a chi come a te fu aperta)
    bis unquam celi ianua reclusa?". (due volte la porta del Cielo?")

    IL LATINO NELLA DIVINA COMMEDIA

    cicerone-senato
    Cicerone parla al Senato Romano e un sacerdote dice la Messa in latino. Essendo totalmente precisa nelle definizioni, e avendo una costruzione sintattica con un ordine rigorosamente matematico, il latino è la lingua solenne per eccellenza. Per questo è sempre stata la lingua ufficiale della Chiesa.


    Nell'INFERNO le parole in latino sono molto poche. Interi canti si succedono, ma solo in volgare. C’è addirittura una frase in lingua “satanica”, famosissima: "Pape Satàn, pape Satàn aleppe!" (Canto 7 dell'Inferno: è stato pronunciato dal cane da guardia Pluto, al Quarto Cerchio (avari e prodighi).

    Non mancano comunque dei latinismi in quantità (il latinismo è una parola presa direttamente dal latino: per esempio, “pulcro”, cioè "bello", da "pulchrus", che significa appunto "bello" in latino). Ci sono anche dei passi ispirati da celebri versi latini.

    Ma in tutto ci sono solo quattro parole latine, e si trovano nel primo e secondo Canto dell'Inferno:
    - "Miserere" (Canto 1), cioè "Abbi pietà di me": Dante lo dice nella selva oscura, non nell'Inferno, quando vede per la prima volta Virgilio;
    - "sub Iulio" (sempre nel Canto 1), "sotto Giulio (Cesare)": lo dice Virgilio parlando della sua vita. Qui siamo sempre nella selva oscura, non nell'Inferno come luogo.
    - "Vas" (Canto 2), termine che Dante usa in riferimento a San Paolo, chiamato Vas d’elezione, cioè "strumento della scelta (divina)".

    Inoltre, nel 34° Canto dell'Inferno, cioè l'ultimo canto, c'è un verso intero in latino: "Vexilla regis prodeunt inferni", che imita l'incipit dell’Inno alla Croce di Venanzio Fortunato: ma è capovolto, mostrando i "vessilli di satana", il re dell'Inferno, non quelli di Cristo, in una sorta di solenne e religioso orrore.

    L’Inferno, infatti, è la cantica del buio, del frastuono e del disgusto, dove il nome di Cristo non è degno di comparire. E tutta la cantica dell'Inferno sembra quasi indegna della lingua latina, che è timidamente attestata all’inizio (fuori dall'Inferno, nella selva oscura) e alla chiusura della cantica.

    Nel PURGATORIO, invece, le parole latine compaiono numerose in tutta la Cantica. Sono riferibili a preghiere, passi evangelici, testi biblici e religiosi in genere. Sono parole singole, o coppie di parole, endecasillabi interi: la lingua latina è costantemente presente, e in misura decisamente superiore rispetto alle altre due cantiche, sia quella del Paradiso che quella dell'Inferno. La sua ricca presenza culmina in una terzina quasi completamente in latino, collocata nell’ultimo canto (il 33°):

    Modicum, et non videbitis me; (Fra poco non mi vedrete)
    et iterum, sorelle mie dilette, (e di nuovo, sorelle mie dilette,)
    modicum, et vos videbitis me. (fra poco voi mi vedrete.)

    Sono parole solenni tratte dal Vangelo di Giovanni (sedicesimo capitolo, versetto 16), con le quali Gesù annuncia la propria morte e risurrezione, auspicio di una Chiesa riformata e corretta. Ho contato la notevole somma di centosei parole latine nel Purgatorio, un numero immensamente superiore a quello dell’Inferno. La lingua latina, come la luce, illumina la lunga strada che deve percorrere il peccatore per redimersi: è lingua nobile, della fede e della preghiera.

    Nella cantica del Purgatorio è presente anche un’altra lingua, il provenzale, cioè il francese di quei tempi (Canto 26), pronunciata dal penitente, e trovatore, Arnaut Daniel:

    El cominciò liberamente a dire: (Lui cominciò volentieri a dire:)
    «Tan m’abellis vostre cortes deman, («La vostra cortese domanda mi piace a tal punto,)
    qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire. (che non posso né voglio nascondere la mia identità.)

    Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan; (Io sono Arnaut, che piango e vado cantando;)
    consiros vei la passada folor, (preoccupato guardo la mia passata follia d'amore,)
    e vei jausen lo joi qu’esper, denan. (e vedo gioioso la gioia che spero, davanti a me.)

    Ara vos prec, per aquella valor (Ora vi prego, per quella virtù)
    que vos guida al som de l’escalina, (che vi guida alla sommità di questa scala,)
    sovenha vos a temps de ma dolor!». (di rammentarvi al momento opportuno del mio dolore!»)

    Dopo aver detto questo, il Daniel scompare entro le fiamme che lo purificano. Il provenzale non è la lingua “chioccia”, disarmonica, incomprensibile, demoniaca dell'Inferno, ma è nobile come il latino, è poetica e musicale, una piccola tentazione che ricorda la vita terrena. Il latino è ben presente in questa cantica della speranza del Purgatorio: è lingua di consolazione e di solidarietà umana.

    Nel PARADISO la lingua latina ha una buona rappresentanza, ma in misura minore rispetto al Purgatorio. Ho potuto contare solo sessantotto parole, latinismi esclusi. Due intere terzine sono in latino: la prima include due parole ebraiche e si trova all’inizio del settimo canto, ed è cantata dall'imperatore Giustiniano:

    "Osanna, sanctus Deus sabaòth, ("Osanna, o santo Dio degli eserciti,)
    superillustrans claritate tua (che illumini dall'alto con la tua luce)
    felices ignes horum malacòth!". (i beati fuochi di questi regni!")

    "Sabaoth" è un termine ebraico e significa "degli eserciti": appunto "Dio degli eserciti". Oggi il termine è visto come troppo "aggressivo" ed è stato sostituito nella Messa con "Dio dell'Universo". Malacòth è un altro termine ebraico che significa "dei regni": l'originale è "mamlacoth", che Dante ha alterato per farlo "adattare" al poema. Superillustrans, cioè "che illumini dall'alto", è una creazione di Dante: il latino ha solo superillustris, cioè "illustrissimo". Questo canto è un'invenzione dantesca: "Osanna sanctus Deus" riecheggia il Sanctus della Messa, che oggi è detto in italiano, e cioè:

    "Santo, santo, santo il Signore Dio dell’universo;
    i cieli e la terra sono pieni della tua gloria.
    Osanna, osanna nell’alto dei cieli.
    Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
    Osanna, osanna nell’alto dei cieli."


    La solennità della terzina è aumentata dalla presenza delle parole ebraiche.

    Infine, la seconda terzina, interamente in latino, è proprio quella di Cacciaguida. Ha una caratteristica che la distingue da tutte le altre: non deriva dall’ambito religioso, perché contiene le parole con cui Cacciaguida accoglie il suo discendente:

    "O sanguis meus, o superinfusa ("O mio discendente, o abbondante)
    gratia Dei, sicut tibi cui (grazia divina, a chi come a te fu aperta)
    bis unquam celi ianua reclusa?". (due volte la porta del Cielo?")

    Non ho certo la pretesa di competere con gli studi accurati degli esperti che si sono occupati e si occupano di questi versi latini. A me, però, basta osservare che, in questa terzina, unica in tutta la Commedia, Dante usa la lingua latina pura, senza contaminazioni con altre lingue.

    A mio modesto parere, questa sembra essere stata una scelta linguistica, finalizzata a dare particolare rilievo all’incontro di Dante col suo avo. Sono parole destinate a restare per sempre impresse nella mente di noi lettori, per l’alto valore espresso e per la forma solenne di lezione morale su cui riflettere.

    E qui ci fermiamo. La differente presenza del latino nelle tre Cantiche porta a una conclusione sicura: il latino non è una lingua “da Inferno”: è una lingua nobile, che tace nel mondo della perdizione, ed è invece degna cittadina delle cantiche della salvezza e della beatitudine divina. Come la luce, che, in diversi gradi, accompagna l’uomo nel suo cammino verso le stelle.

    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-xv.html

    https://www.latinamente.it/notizie/443-la-presenza-della-lingua-latina-nella-divina-commedia.html

    (Continua qui)

    QUI TUTTI I LINK SULL'ANALISI SU DANTE

    Edited by joe 7 - 24/2/2024, 17:35
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    Dante aveva un avo all'inferno, Geri del Bello e uno in paradiso, Cacciaguida appunto.
    Una situazione sulla quale riflettere.
     
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    CITAZIONE (Andrea Micky 3 @ 18/2/2024, 18:01) 
    Dante aveva un avo all'inferno, Geri del Bello e uno in paradiso, Cacciaguida appunto. Una situazione sulla quale riflettere.

    Mi ero dimenticato di Geri del Bello: grazie per avermelo fatto ricordare. Nell'Inferno, Dante nemmeno parla con Geri del Bello, quindi non è facile ricordarselo. Inoltre, Geri, invece di salutare Dante, come fa Cacciaguida, lo accusa puntandogli contro il dito, senza dire nulla, perchè non ha vendicato la sua morte. Nell'Inferno c'è solo l'accusa. Senza contare che qui Dante condanna anche la vendetta per l'uccisione dei parenti.

    Geri era il cugino di Alighiero II, il padre di Dante: fu accusato di rissa e percosse in un processo a Prato (infatti Geri è tra i seminatori di discordie all'Inferno). Sembra che l'assassino di Geri fu un certo Brodaio dei Sacchetti, e la sua morte fu vendicata con l'omicidio di uno dei Sacchetti, trent'anni dopo. La riconciliazione tra gli Alighieri e i Sacchetti avvenne solo molti anni dopo per volontà delle autorità, tanto furono lunghi e profondi gli odi familiari.

    Edited by joe 7 - 21/2/2024, 17:30
     
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