Il blog di Joe7

  1. DIVINA COMMEDIA DI NAGAI E DI DANTE: PARADISO, CANTO 13

    Tags
    Divina Commedia
    By joe 7 il 3 Feb. 2024
     
    2 Comments   57 Views
    .
    PARADISO CANTO 13 - QUARTO CIELO DEL SOLE - TOMMASO D'AQUINO SPIEGA LA QUESTIONE DI SALOMONE
    (primo post: qui; precedente post: qui)

    Re-Salomone
    La Regina di Saba incontra Re Salomone


    GLI SPIRITI SAPIENTI E LE STELLE IN CIELO

    Dante cerca di descrivere adeguatamente il movimento rotatorio delle due corone di spiriti sapienti, composte ciascuno dai dodici spiriti di cui abbiamo parlato finora. Per farlo, invita il lettore a immaginare le quindici stelle più splendenti della volta celeste. Infatti, le stelle di prima grandezza, ufficialmente conosciute a quei tempi, erano quindici, descritte nell'Almagesto di Tolomeo1. Poi aggiunge le sette stelle dell'Orsa Maggiore, che, che essendo una costellazione circumpolare, non tramonta mai e resta sempre nel polo artico (e con queste siamo arrivati a 22 stelle):

    imagini quel carro a cu’ il seno (immagini poi il Carro dell'Orsa Maggiore,)
    basta del nostro cielo e notte e giorno, (a cui lo spazio del nostro polo è sufficiente per il moto diurno e notturno,)
    sì ch’al volger del temo non vien meno; (cosicché al volgere del suo timone non tramonta mai;)

    Infine, Dante aggiunge le due stelle, più basse, dell'Orsa Minore. Il poeta descrive la costellazione dell'Orsa Minore come se fosse un corno, la cui punta coincide con la Stella Polare, mentre la parte bassa (la bocca del corno) è formata appunto dalle due stelle più basse dell'Orsa Minore. La Stella Polare si trova sull'asse sulla quale Dante immagina che ruoti il Primo Mobile (cioè il Nono Cielo, sotto cui stanno tutti gli altri Cieli che Dante sta attraversando adesso. Ricordiamo che ora è nel Quarto Cielo del Sole, dedicato agli Spiriti Sapienti. Sopra il Primo Mobile c'è l'Empireo, o Cielo Immobile, in cui c'è la Presenza di Dio):

    imagini la bocca di quel corno (immagini la parte bassa di quel corno (l'Orsa Minore)
    che si comincia in punta de lo stelo (che ha il vertice nella punta (la Stella Polare) dell'asse)
    a cui la prima rota va dintorno, (attorno a cui ruota il Primo Mobile ("prima rota")

    Abbiamo così in tutto 24 stelle, come i 24 beati delle due corone. Dante paragona queste stelle a quelle in cui Arianna, la figlia di Minosse ("Minoi" lo chiama il poeta), si era trasformata dopo la sua morte. Sembra che Dante abbia letto un'altra versione di Arianna. oggi perduta, perchè, nel mito attualmente conosciuto, Arianna, dopo essere stata abbandonata da Teseo, fu presa in sposa dal dio Dioniso. Per le nozze, Dioniso fece dono ad Arianna di un diadema d'oro creato da Efesto che, lanciato in cielo, andò a formare la costellazione della Corona Boreale (una costellazione del Nord). Invece, nella versione letta da Dante, è la stessa Arianna a trasformarsi in una costellazione dopo la morte.

    Se queste ventiquattro stelle, continua il poeta, formassero due corone concentriche che ruotano una in senso opposto rispetto all'altra, esse darebbero un'immagine sbiadita delle due corone di beati che danzano e cantano davanti agli occhi di Dante e Beatrice. Infatti, quello spettacolo trascende a tal punto le cose del mondo ("ch’è tanto di là da nostra usanza"), quanto lo è lo scorrere lento della Chiana (fiume della Toscana: ai tempi di Dante, si impaludava nella Val di Chiana, ricordata come luogo di malaria, e scorreva lentissimo).

    Il canto intonato dai beati non inneggia agli dei Bacco o Apollo, ma alla Trinità e alla duplice natura di Cristo, umana e divina:

    Lì si cantò non Bacco, non Peana, (Lì non si inneggiava agli dei Bacco o Apollo ("peana" significa inno in onore di Apollo, quindi per associazione indica Apollo stesso)
    ma tre persone in divina natura, (ma alle tre persone della Trinità)
    e in una persona essa e l’umana. (e alla duplice natura di Cristo, divina e umana.)

    Il canto e la danza dei beati nelle due corone viene completato, poi si fermano gioiosi e ansiosi di risolvere gli altri dubbi di Dante.

    SAN TOMMASO D'AQUINO RIPRENDE LA PAROLA

    Il silenzio felice dei beati è interrotto da san Tommaso d'Aquino, che, poco prima, aveva raccontato a Dante la vita di san Francesco (Canto 11). E inizia dicendo che, dopo aver risolto, sempre nel Canto 11, il primo dubbio di Dante relativo ai Domenicani ("l’una paglia è trita" e "la sua semenza è già riposta": cioè ha risolto il primo dubbio, "paglia", di Dante e l'ha messo via), ora è pronto a sciogliere l'altro dubbio, come gli dice l'amore di Dio ("dolce amor l'invita"). L'altro dubbio riguardava la frase di San Tommaso d'Aquino su Salomone, che il beato aveva dichiarato essere l'uomo più saggio mai vissuto. Si veda il Canto 10, quarta parte:

    entro v’è l’alta mente u’ sì profondo (dentro vi è l'alta mente dove fu infuso un sapere così profondo,)
    saver fu messo, che, se ‘l vero è vero (che, se le Scritture dicono il vero,)
    a veder tanto non surse il secondo. (non ci fu un uomo più saggio di lui (Salomone).

    Eppure, alla fine della sua vita, Salomone era finito male, seguendo donne straniere che adoravano altri dei. Per cui è necessaria una spiegazione. Tommaso d'Aquino inizia a farla, dicendo che Dante è convinto che in Adamo, dalla cui costola è stata creata Eva, e in Cristo, che morendo sulla croce redense l'umanità del peccato originale, sia stata infusa da Dio la massima sapienza consentita a un uomo. Si tratta della scienza infusa, cioè il conoscere ogni cosa.

    Tra l'altro, Dante confronta il peccato originale di Adamo e di Eva con la salvezza di Cristo:

    adamo_eva-large
    Gesù Cristo, con Adamo ed Eva.


    Tu credi che nel petto onde la costa (Tu credi che nel petto (di Adamo), da dove fu presa la costola)
    si trasse per formar la bella guancia (per creare la bella guancia (di Eva)
    il cui palato a tutto ‘l mondo costa, (il cui palato è costato all'umanità il peccato originale (per aver gustato il frutto proibito),

    e in quel che, forato da la lancia, (e nel petto di Cristo che, trafitto dalla lancia)
    e prima e poscia tanto sodisfece, (redense tutti gli uomini vissuti prima e dopo)
    che d’ogne colpa vince la bilancia, (dallo stesso peccato originale,)

    quantunque a la natura umana lece (fu infusa tutta la sapienza ("lume")
    aver di lume, tutto fosse infuso (che è lecita ("lece") alla natura umana)
    da quel valor che l’uno e l’altro fece; (da Dio stesso ("quel valor") che creò l'uno e l'altro)

    Questo aveva suscitato il dubbio di Dante, visto che Tommaso aveva detto che nessun uomo è mai stato più saggio di Salomone. E Adamo allora? Il beato invita Dante ad ascoltare con attenzione il suo ragionamento, che gli spiegherà in che modo ciò che lui aveva detto e ciò che Dante crede sono parte della stessa verità. Da notare, en passant, che Dante dice chiaramente che il sacrificio di Cristo ha redento tutti gli uomini vissuti prima e dopo di lui: non solo quelli dopo, ma anche quelli prima. E' un aspetto che è stato spesso trascurato: il sacrificio di Cristo, infatti, anche se è avvenuto nel tempo, nello stesso tempo trascende il tempo.

    TOMMASO SPIEGA LA SAPIENZA DI SALOMONE

    Tommaso risponde a Dante, dicendo che quello che il poeta crede (cioè che Adamo e Cristo abbiano avuto entrambi la Scienza Infusa, cioè il conoscere ogni cosa) coincide con quello che ha detto lui su Salomone (che cioè nessun uomo fu più saggio di lui), perchè fanno parte della stessa verità ("il tuo credere e ‘l mio dire / nel vero farsi come centro in tondo": cioè, le due affermazioni fanno parte della stessa verità, come tutti i punti del cerchio sono alla stessa distanza dal centro), ed ora glielo spiegherà.

    Per prima cosa, inizia, devi sapere che tutte le cose incorruttibili ("ciò che non more") e corruttibili ("ciò che può morire") sono riflesso della Trinità. Qui Dante dà una descrizione perfetta della Trinità: il Figlio è l'Idea che viene dal Padre. "Idea", cioè "Logos" (Ragione), "Parola", "Verbo": come dice il Vangelo di San Giovanni proprio all'inizio, "In principio era il Verbo, e il Verbo era Dio, e il Verbo era presso Dio". Il Figlio è generato dal Padre attraverso l'Amore, cioè lo Spirito Santo. Leggete qua la sintesi di Dante, che ha dell'incredibile: parla della Trinità in due sole terzine di un poema! Ecco la prima terzina:

    Ciò che non more e ciò che può morire (Ciò che è incorruttibile e ciò che è corruttibile)
    non è se non splendor di quella idea (non è altro che riflesso di quell'Idea (il Figlio)
    che partorisce, amando, il nostro Sire; (che il nostro Signore ("Sire": il Padre), amando, genera con lo Spirito Santo; )

    Poi la seconda, in cui parla del Figlio, detto "viva luce" che procede ("si mea": è un latinismo, da "meare", cioè "passare", "derivare") dal Padre. Il Padre, a sua volta, è indicato come "suo lucente": infatti, il termine significa "che emana luce". Inoltre, sono inscindibili : il Padre, il "lucente", non si separa dal Figlio, "viva luce", nè dall'amore che c'è tra loro due, cioè lo Spirito Santo, chiamato da Dante "l'amor che a lor s'intrea". Cioè, lo Spirito Santo è l'Amore che si inserisce tra loro due: "s'intrea" è un neologismo, cioè una parola inventata ad Dante per esprimere un concetto non spiegabile con altre parole. "Intreare" significa proprio "porsi come terzo elemento accanto ad altri due".

    ché quella viva luce che sì mea (perché quella viva luce (il Figlio) che promana (o procede)
    dal suo lucente, che non si disuna (da chi la genera (il Padre, "suo lucente"), che non si disunisce)
    da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea, (da Lui né dallo Spirito Santo che si inserisce come terzo fra Loro)

    Ora, la Trinità, questa viva luce, manda i suoi raggi, che vengono raccolti nei Nove Cori Angelici. Qui non bisogna fare confusione: questi non sono i Nove Cieli del Paradiso, ma sono le Nove Gerarchie Angeliche, presenti nell'Empireo, il punto più alto del Paradiso, dove è presente Dio (vedere lo schema qui). I Nove Cori Angelici sono chiamati da Dante le "nove sussistenze", cioè le nove "esistenze": esistono infatti in modo direttamente dipendente da Dio. La luce della Trinità manda i suoi raggi nei Nove Cori Angelici, senza mai perdere la sua unità. Da qui scende più in basso, di Cielo in Cielo ("di atto in atto": ogni Cielo è un "atto", un'azione, perchè tutti i Cieli sono in movimento, a differenza dell'Empireo), fino alle "ultime potenze", cioè gli elementi dei mondo sublunare e materiale: il nostro mondo, insomma. La luce divina si riduce al punto da fare cose effimere, dette "brevi contingenze", attraverso i movimenti dei Cieli: cose effimere con seme (viventi) o senza seme (i non viventi o inanimati).

    26407-Fig_14b
    La Creazione di Michelangelo.


    Ora, la materia delle cose create e l'influsso dei Cieli non sono identici (cioè, la grazia divina non è uguale per tutti: se no, saremmo tutti fatti con lo stampino). Quindi la materia riflette più o meno la luce dell'idea divina, a seconda dei casi. Per esempio, due peri possono dare delle pere buone o meno buone. E gli uomini, pur essendo uguali, nascono con indole diversa ("diverso ingegno", dice Dante). Se la materia creata fosse la migliore possibile, e l'influsso astrale fosse nella migliore condizione, allora l'essere creato - in questo caso, l'uomo - rifletterebbe tutta la luce divina. Ma questo non avviene mai, perché la natura che genera è imperfetta, a causa del peccato originale: è simile a un artista che realizza la sua opera con mano tremante.

    Se lo Spirito Santo, però, imprimesse direttamente la luce della potenza divina, allora la cosa creata - l'uomo, in questo caso ("cosa" non nel senso di "oggetto", ma di "concetto", "essenza") - sarebbe pienamente perfetta. E in questo modo, all'inizio, la Terra fu creata, degna di tutta la perfezione degli esseri animati, compreso Adamo. Pure in questo modo la Vergine fu resa incinta di Cristo, Dio fatto uomo. Ecco come Dante esprime questo confronto:

    Così fu fatta già la terra degna (Così la Terra fu creata degna)
    di tutta l’animal perfezione; (di tutta la perfezione degli esseri animati (quando fu creato Adamo; "animal" nel senso di "esseri animati", non di "animale")
    così fu fatta la Vergine pregna; (così la Vergine fu resa incinta di Cristo-uomo; )

    Quindi, conclude San Tommaso, il pensiero di Dante circa la somma perfezione della conoscenza di Adamo e di Gesù è corretto. Oltre ad Adamo, anche Eva, ovviamente, aveva la scienza infusa: ma Dante si riferisce ad Adamo come ai "progenitori", quindi parlava di Adamo ed Eva, insieme.

    Tommaso d' Aquino anticipa l'obiezione del poeta, cioè: come fu possibile, allora, che la sapienza di Salomone, come lui ha detto, fosse senza pari, come lo era quella di Adamo e Gesù? Salomone non aveva la scienza infusa come loro. Eppure San Tommaso, dalle sue parole, sembrerebbe dire il contrario.

    Tommaso invita Dante a riflettere: chi era Salomone? Un re. E Dio gli apparve in sogno, invitandolo a chiedergli cosa volesse da lui (Primo libro dei Re, capitolo 3, versetti 4-12). Ora, essendo re, Salomone gli chiese la saggezza necessaria a governare con giustizia. Non aveva chiesto la sapienza in quanto tale (cioè, appunto, la scienza infusa), al fine di conoscere i problemi insolubili per la mente umana.

    A questo proposito, Tommaso ne elenca quattro, di problemi insolubili: uno di natura teologica, uno di natura logica, uno di natura filosofica/metafisica e uno di natura geometrica:

    1) Quale sia il numero degli angeli. E' un numero talmente sterminato che è impossibile contarli.

    2) Un problema di logica aristotelica: se una premessa necessaria (cioè una premessa che non può essere altrimenti, che deve essere fatta così) e una premessa contingente (cioè non necessaria, solo possibile), insieme, hanno mai prodotto una conseguenza necessaria? (cioè una conseguenza che non può essere altrimenti, che deve essere così). So che è complicato da seguire: è pura filosofia. Questo, comunque, è un problema filosofico di base, su cui si era molto riflettuto nell'antichità e nel Medioevo, senza mai trovare una risposta soddisfacente. Nemmeno adesso si ha una risposta.

    3) Il problema dell'esistenza di un primo moto, non generato da un altro moto. Infatti, ogni movimento è regolato da un altro movimento che è stato fatto prima: per esempio, per abbassare una cosa, la devi prima alzare. Qui si parla invece di un moto che avviene da solo, senza alcun'azione precedente: è il concetto di Primo Mobile, cioè Dio.

    4) Il problema se in un semicerchio si può inscrivere un triangolo non rettangolo. Infatti, qualsiasi triangolo inscritto in un semicerchio (e quindi coi vertici che coincidono col semicerchio) è sempre un triangolo rettangolo, la cui ipotenusa coincide con il diametro della semicirconferenza. Non ci sono altre soluzioni: ma qui si reputa possibile un'alternativa, che per logica non dovrebbe esserci.

    download


    Questi esempi mostrano quanto fosse elevato il pensiero nel "buio" Medioevo: oggi neanche a scuola si capisce di cosa si sta parlando, se si presentano questi casi.

    Riassumendo, Salomone voleva solo quella sapienza necessaria a ricoprire il suo ruolo di sovrano. Quando Tommaso aveva detto che non c'era stato un uomo più saggio di lui, lui si riferiva in rapporto a tutti gli altri re, non a tutti gli altri uomini: infatti i re sono molti, ma pochi di questi sono saggi e giusti. Quindi l'affermazione di Tommaso non è in contraddizione con quanto Dante crede, riguardo alla sapienza di Adamo e Cristo.

    1re%2BPREGHIERA%2BDI%2BSALOMONE019
    Salomone chiede a Dio la sapienza necessaria per essere un buon re.


    MONITO DI TOMMASO A NON DARE GIUDIZI PRECIPITOSI

    Quanto detto da Tommaso deve indurre Dante - e ogni uomo - a usare i piedi di piombo, quando si giudica su una questione che non è ovvia. Infatti, l'uomo stolto si lascia andare a giudizi affrettati su ciò che non conosce. Poi l'opinione corrente lo porta a conclusioni errate, poi l'amore per la sua tesi gli impedisce di riconsiderare la sua idea sbagliata. E quindi gli impedisce di riflettere per conto suo: un errore frequentissimo oggi, in un tempo di mass media imperante. Chi va a cercare la verità - continua San Tommaso - e non ne è capace, cioè non ne ha i mezzi perchè non riflette davvero e non ha delle vere guide, ma ha come guida solo l'opinione comune - lascia la riva, cioè fa la sua "analisi" inutilmente, e con proprio danno, perchè raggiunge così delle conclusioni sbagliate, di cui però è sicurissimo. Questa è l'ottusità.

    Questo errore si vede, continua San Tommaso, nei filosofi come:
    - Parmenide (V sec. a.C.) sostenitore dell'esistenza del solo visibile, l'Essere, visto come l'unica realtà possibile e necessaria. Quindi rifiuta l'aldilà perchè non visibile. Inoltre, rifiuta il concetto di essere che nasce dal nulla, che invece è proprio quello che accade nella Genesi, in cui Dio crea dal nulla.
    - Melisso di Samo (metà V sec. a.C.), discepolo di Parmenide. Approfondisce la filosofia del maestro, aggiungendo che l'Essere è infinito (invece è finito: anche l'universo, per quanto grande, ha una fine). In pratica, si tratta di una divinizzazione del creato.
    - Brisone di Eraclea. Discepolo di Socrate, tentò di risolvere la quadratura del cerchio, una cosa di per sè impossibile.

    Lo stesso errore commisero anche famosi eretici come Sabellio (autore di una dottrina che negava la Trinità) e Ario (negava la natura divina di Cristo), che deformarono con le loro false dottrine la verità delle Scritture.

    Gli uomini non devono essere precipitosi nel giudicare, conclude San Tommaso, come colui che pensa che il grano sia già maturo anche se non lo è ancora: spesso un pruno rinsecchito in inverno fa sbocciare i suoi fiori a primavera. Oppure, una nave può percorrere speditamente la sua rotta, però può naufragare in vista del porto (tipo il Titanic...). E conclude: non si creda del destino eterno di un uomo che ruba e di uno che fa pie offerte: infatti il primo può redimersi e salvarsi, il secondo può peccare e finire dannato.

    Non creda donna Berta e ser Martino, (Non credano donna Berta e ser Martino)
    per vedere un furare, altro offerere, (che, se vedono un uomo che ruba e un altro che fa pie offerte,)
    vederli dentro al consiglio divino; (essi siano già giudicati da Dio;)

    ché quel può surgere, e quel può cadere». (infatti il primo può salvarsi, l'altro può finire dannato».)

    Donna Berta e Ser Martino sono dei nomi convenzionali di uso assai frequente nel Medioevo: indicano delle persone qualunque, come i nostri Tizio e Caio. I titoli "donna" e "ser" vogliono forse indicare saccenteria presuntuosa.

    COMMENTO

    Questo Canto costituisce una parentesi, o approfondimento (come il Canto 2, che parlava delle macchie lunari; i Canti 4 e 5, che parlavano di Platone e del problema di fare dei voti davanti a Dio; e il Canto 7, che parlava della crocifissione di Gesù e del problema ebraico), essendo dedicato soprattutto al problema della sapienza di Salomone. Può sembrare un argomento ozioso e di scarso interesse anche per i contemporanei del poeta: ma, in realtà, Dante affronta la questione assai più delicata dei limiti della sapienza umana rispetto al giudizio divino, che, da un lato, si collega al suo «traviamento» intellettuale di cui si è già parlato, dall'altro anticipa il grande tema della giustizia divina, di cui si parlerà nel Cielo di Giove.

    Il Canto si apre con la descrizione delle due corone di spiriti che ruotano in senso opposto: per descriverli, Dante ricorre a una similitudine tratta dall'ambito astronomico: il lettore provi a immaginare le quindici stelle più lucenti del cielo, più le sette dell'Orsa Maggiore e le due più basse dell'Orsa Minore (24 in tutto) che formino per assurdo due corone concentriche, e avrà solo una pallida idea del meraviglioso spettacolo cui lui ha assistito nel Cielo del Sole. È il consueto tema della "visione inesprimibile con parole umane", per cui il poeta è costretto a ricorrere a complesse e intellettualistiche similitudini per rappresentare solo una traccia di quanto ha visto (come ha spiegato all'inizio del Primo Canto del Paradiso). Ma è anche il preannuncio del tema al centro del Canto, ovvero il limite insuperabile della sapienza (e dunque della ragione) umana che non può conoscere tutto, come nel caso di complesse questioni filosofiche e scientifiche e del delicato problema della salvezza, che sarà ampiamente discusso nel Canto 20. Dante sottolinea che il canto dei beati va al di là di ogni realtà umana, quindi non si può descrivere col solo ausilio della parola poetica (cfr. X, 70-75; XII, 7-9), anche perché esso inneggia alla Trinità il cui mistero qui è oggetto della dotta spiegazione di san Tommaso.

    Tommaso d'Aquino riprende la parola dopo la fine del canto degli altri spiriti (San Bonaventura che ha parlato di San Domenico), per sciogliere il dubbio di Dante riguardo a quanto da lui detto prima a proposito di Salomone, ovvero che in lui fu posta da Dio tanta sapienza che "a veder tanto non surse il secondo" (Canto 10). Tale affermazione trae spunto dal passo biblico in cui Dio appare in sogno al re d'Israele e gli chiede cosa desideri: Salomone risponde di volere la saggezza necessaria a giudicare il suo popolo e distinguere il bene dal male. Dio esaudisce la sua richiesta e dichiara: "Ti ho dato un cuore saggio e sapiente, al punto che nessuno è stato simile a te in precedenza, né alcuno nascerà in futuro".

    Il dubbio di Dante nasce dal fatto che egli sa, in base alla dottrina cristiana, che la massima sapienza fu quella infusa da Dio in Adamo e in Cristo-uomo, che erano perfetti, in quanto creati direttamente da Dio: quindi, quello che ha detto Tommaso d'Aquino sembra contraddire questo fatto. Ma il santo dimostra il contrario, con una lunga e complessa spiegazione filosofica, simile a una lectio magistralis, cioè una lezione di alto livello, tenuta da un insegnante con notevoli competenze e grande fama. Per esempio, c'è stata la Lectio Magistralis di Papa Ratzinger a Ratisbona il 12 Settembre 2006.

    Lectio-Magistralis
    La Lectio Magistralis di papa Ratzinger a Ratisbona.


    Partendo dal mistero della Trinità, che egli non spiega in quanto inconoscibile all'uomo, Tommaso d'Aquino spiega come solo ciò che è creato direttamente da Dio è perfetto: cosa che non si può certo dire per Salomone. La sapienza chiesta a Dio da Salomone e a lui concessa, infatti, riguardava solo il suo ufficio di re, quindi la necessità di saper giudicare e distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato: ovvero il tema trattato nel libro della Sapienza della Bibbia, che, tradizionalmente, è attribuito a Salomone stesso (e che contiene il famoso verso "Diligite iustitiam, qui iudicatis terram" cioè "Imparate la giustizia, voi (potenti) che giudicate la Terra. Ed è chiaro che la giustizia, comunque, la devono imparare tutti: ma i potenti in particolare, perchè hanno maggiore responsabilità).

    Tommaso sottolinea dunque il limite invalicabile della ragione umana, che deve arrestarsi di fronte ad argomenti superiori alle sue forze, come quelli della fede, per cui sembra di leggere un riferimento abbastanza trasparente al cosiddetto «traviamento» di Dante, cioè al suo tentativo di arrivare alla piena conoscenza solo grazie alla ragione e all'intelletto. Da qui, probabilmente, nasce il monito finale del beato a non emettere giudizi precipitosi e superficiali, come hanno fatto in passato filosofi pagani e degli eretici: troppa facilità nel giudicare su delicati argomenti filosofici può portare a pericolose deviazioni che portano alla propria rovina.

    Altrettanta prudenza è necessaria anche rispetto al tema, ugualmente delicato sul piano dottrinale, della salvezza, che viene decretata dalla giustizia divina in modi non sempre conoscibili dalla ragione umana: ciò è legato anzitutto al destino ultraterreno dello stesso Salomone, cui la Scrittura attribuiva il peccato di lussuria senile e la cui salvezza era dubbia per gli uomini: ma si riferisce in generale a tutti i casi di inattese dannazioni e clamorose salvezze che Dante ha mostrato nel corso del poema, di cui Guido da Montefeltro (Inferno, Canto 27) e Manfredi di Svevia (Purgatorio, Canto 3) erano gli esempi più lampanti.

    Tommaso ribadisce che solo Dio, nella sua infinita saggezza, può conoscere in anticipo il destino escatologico delle persone, per cui un uomo può rubare e poi ravvedersi guadagnando la salvezza, mentre un altro può fare pie offerte e in seguito peccare e finire all'Inferno. E' il delicatissimo problema della predestinazione: per quanto sia difficile da capire, Dio sa del destino eterno di ciascuno, e, nello stesso tempo, ciascuno è assolutamente libero di salvarsi o di dannarsi. Anche se questa sembra una contraddizione, è così: è un mistero che non si può spiegare a viste umane.

    L'uomo è e resta assolutamente libero di salvarsi o meno, e il suo destino è sempre da definire. Questo sarà ampiamente spiegato dall'aquila nel Cielo di Giove, che vedrà anche in quel caso due clamorosi esempi di salvezza imprevedibile, ovvero l'imperatore Traiano e Rifeo, che saranno fra i beati dell'occhio dell'aquila e che la sola sapienza umana, con tutti i limiti che san Tommaso ha ben evidenziato in questo Canto, non può pretendere di comprendere razionalmente.

    BIBLIOGRAFIA

    https://divinacommedia.weebly.com/paradiso-canto-xiii.html

    -------------------------------
    1 L'Almagesto ("Grande trattato") era un'importante opera astronomica scritta intorno al 150 d.C. da Claudio Tolomeo (100-168: fu un astronomo, astrologo e geografo greco, con cittadinanza romana. Fu autore di importanti opere scientifiche: la principale fu appunto l'Almagesto). Per più di mille anni, fino ai tempi di Dante, l'Almagesto costituì la base delle conoscenze astronomiche. Tolomeo fu il fondatore del "sistema tolemaico", secondo il quale era il Sole a girare intorno alla Terra, considerata un pianeta fisso. Solo nel '500 entrò in vigore la visone copernicana, in cui era la Terra invece a girare intorno al Sole. L'idea copernicana non era una novità: infatti era un'ipotesi già sostenuta sin dai tempi dell'antica Grecia da Aristarco di Samo (astronomo e matematico).

    (Continua qui)

    QUI TUTTI I LINK SULL'ANALISI SU DANTE

    Edited by joe 7 - 10/2/2024, 18:35
      Share  
     
    .

Comments
  1. view post
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Member
    Posts
    105

    Status
    Offline
    Un'incongruenza che ho notato io é che in certi passi la Bibbia ordina di lapidare le persone fino ad ucciderle, mentre spesso ho sentito dire che solo Dio può togliere la vita.

    Un mio amico dice che il 99% del cristianesimo si basa sul Nuovo Testamento e che la Chiesa stessa cerca di rigettare il Vecchio Testamento il più possibile.
     
    Top
    .
  2. view post
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Administrator
    Posts
    13,426

    Status
    Anonymous
    CITAZIONE (Andrea Micky 3 @ 16/2/2024, 17:52) 
    Un'incongruenza che ho notato io é che in certi passi la Bibbia ordina di lapidare le persone fino ad ucciderle, mentre spesso ho sentito dire che solo Dio può togliere la vita.

    Un mio amico dice che il 99% del cristianesimo si basa sul Nuovo Testamento e che la Chiesa stessa cerca di rigettare il Vecchio Testamento il più possibile.

    I tempi dell'Antico Testamento non erano i tempi di adesso.

    Se ti sembra scioccante lapidare gli infedeli, ti informo che, dovunque, fuori da Israele, si faceva di peggio. Erano tempi crudeli: tipo Conan il barbaro, e peggio ancora. Pensa solo alle centinaia di sacrificati spellati vivi sulle teocalli degli aztechi in un giorno solo.

    Insegnare l'amore e la tolleranza a quei tempi non sarebbe servito a niente: non sarebbe stato capito.

    Nell'educare bisogna rispettare i tempi. Una persona lapidata, a quei tempi faceva capire chiaramente alla gente cosa era bene e cosa era male. Non c'era altro modo per insegnarlo.

    Solo dopo, quando l'uomo era stato capace di maturare proprio grazie all'Antico Testamento, Gesù poteva dire: "Chi è senza peccato scagli la prima pietra". Ma una frase simile non avrebbe funzionato per nulla nel mondo dell'Antico Testamento.

    Se noi ora inorridiamo per la lapidazione, è stato proprio, paradossalmente, per la lezione dell'Antico Testamento: quando Isaia diceva di "lacerarsi il cuore, non le vesti", per esempio. Ammettendo certe cose come la lapidazione, che allora erano normali dovunque, intanto l'Antico Testamento insegnava agli ebrei l'interiorità. Tant'è vero che la lapidazione non è contemplata nel cristianesimo: ma senza l'Antico Testamento non si sarebbe mai arrivati a questo punto. Anzi, si sarebbe continuato a lapidare fino ai giorni nostri.

    Quindi il tuo amico sbaglia: l'Antico Testamento è sempre valido, anche oggi, perchè, nell'interpretazione corrente della "lapidazione" di oggi, si intende "lapidare, uccidere, sterminare il peccato dentro di sè", non certo gli uomini. Ma senza l'Antico Testamento e senza la venuta di Gesù Cristo, che dava l'interpretazione giusta, che sarebbe stata capita perchè allora i tempi erano maturi, si lapiderebbe tranquillamente anche oggi.
     
    Top
    .